PUBBLICITÀ
HomeRassegna StampaColpo ai Casalesi: preso il boss dei pizzini

Colpo ai Casalesi: preso il boss dei pizzini

PUBBLICITÀ

La telecamera dei carabinieri era piazzata di fronte al cancello di una piccola fabbrica di suole per scarpe in via Goldoni a Lusciano ed era collegata con la compagnia di Casal di Principe. Erano le 19 di ieri quando l’occhio della telecamera ha inquadrato un uomo nell’appartamento che, stando alla versione del proprietario, doveva essere vuoto. L’uomo inquadrato era Nicola Panaro, 41 anni, detto «Nik il principino», latitante dal 2003, mezzo parente del boss Francesco Schiavone-Sandokan e uomo di fiducia del clan dei Casalesi. Ma, soprattutto, Panaro è considerato il braccio destro di Nicola Schiavone, figlio di Sandokan, ancora libero e presunto detentore delle redini del clan dei Casalesi. Era nascosto in un appartamento di proprietà di un cugino della moglie che al piano terra gestisce un piccolo opificio in cui si producono suole per scarpe. Lì sono piombati i militari arrivati da altre province per aiutare, con le loro facce sconosciute, i colleghi del posto, quando non hanno avuto dubbi sull’identità di quell’uomo che, appena catturato, ha detto: «Non dirò una sola parola». Su quell’anonima fabbrichetta nessuno aveva messo gli occhi, fino a quando i carabinieri del capitano Andrea Corinaldesi – coordinati dal pm Giovanni Conzo della Dda di Napoli – hanno capito che per trovare il numero due del clan Schiavone, dovevano prima scoprire cosa ci fosse in quei tre appartamenti in via Goldoni, lontani da Casale ma abbastanza vicini da essere raggiunti da Panaro, camorrista della prima ora, inserito nell’elenco dei trenta latitanti più ricercati d’Italia dopo Michele Zagaria, Antonio Iovine e Mario Caterino. In casa aveva diversi computer con i quali manteva, probabilmente, i rapporti con gli altri affiliati. L’appartamento che occupava, arredato fin nei minimi dettagli, era circondato all’esterno da telecamere collegate a un monitor del salone di casa, dove Panaro trascorreva gran parte del tempo. Stando alle informative dei carabinieri, Panaro è uno specialista nell’uso di computer e congegni elettronici. Accusato di estorsione per la ricostruzione della ex Alifana, rapina e associazione mafiosa, era finito in carcere negli anni Novanta accusato dell’omicidio di Aldo Scalzone, ma era stato poi assolto. Poi, dalle indagini di Spartacus III, era finito nell’inchiesta della Dda perché nel file sequestrato a Vincenzo Schiavone detto «copertone» comparivano i suoi pizzini. «Un altro successo straordinario nella lotta alla camorra», ha commentato in serata il ministro dell’Interno, Roberto Maroni che si è congratulato con il generale Leonardo Gallitelli.

Marilù Musto
Il Mattino il 15/04/2010

PUBBLICITÀ


Nicolino, il «principino» di Casale consigliere del figlio di Sandokan

Se i simboli voglio dire qualcosa, il nascondiglio a Lusciano era come una bandierina sul nuovo territorio conquistato. Perché la cittadina aversana era stata sempre territorio di Bidognetti e dei suoi uomini più fedeli, e invece ora stava ospitando il braccio destro di Nicola Schiavone, il figlio di Sandokan che ha preso in mano già da qualche anno l’impero di famiglia. Nicolino Panaro, più grande di dieci anni, lo aveva quasi portato per mano lungo la strada del coordinamento del clan, insegnandogli a parlare poco (soprattutto al telefono) per conservare margini di sicurezza nella latitanza domestica: pochissime parole, qualche «pizzino» in codice, rapporti limitati con amici e familiari. In questo modo Panaro, il principino di Casale – così come lo chiamavano – era riuscito a restare latitante per quasi sette anni, dal 2003 fino a ieri sera, quando i carabinieri sono riusciti a superare lo sbarramento di misure elettroniche che aveva messo a guardia dell’appartamento di via Goldoni. Cinque ordinanze di custodia cautelare a suo carico, accuse che vanno dall’associazione camorristica all’estorsione. Ma a metterlo in fuga era stato un ordine di carcerazione per un cumulo di pene definitive, la più pesante a sei anni e quattro mesi in uno dei filoni del processo Spartacus, per complessivi nove anni e quattro mesi. L’ultimo provvedimento è della fine di settembre del 2008, terzo troncone dell’inchiesta sul clan dei Casalesi che portò alla cattura anche di Giuseppina Nappa, moglie di Francesco Schiavone-Sandokan. In quella circostanza gli è stata contestata l’appartenenza al clan fino a tutto il 2004. Il suo nome era nell’elenco degli affiliati gestito da Vincenzo Schiavone, il cassiere chiamato Copertone, irreperibile da quella stessa notte. Nicola Panaro – che di Sebastiano Panaro, killer del gruppo, è cugino – era tra i «dipendenti» con lo stipendio mensile più elevato: quattromila euro al mese dalla sola cassa comune della confederazione del clan, quella formata dai proventi delle estorsioni. Attività, questa, in cui Nicolino Panaro eccelleva, tanto da aver continuato a gestire – ritengono gli investigatori e la Dda – questo segmento di mercato in maniera quasi industriale. Alla maniera di Gigino Guida, il boss della Sanità che era stato per anni il reggente della famiglia Bidognetti anche a Lusciano e che da settembre collabora con la giustizia.


Rosaria Capacchione

Il Mattino il 15/04/2010



Nardone: così spezzata la rete delle complicità


«Il cerchio si sta stringendo ogni giorno di più, segno che l’attività investigativa sta dando i suoi frutti. E anche Panaro è caduto nella rete». Il colonnello Crescenzio Nardone, comandante provinciale dei carabinieri di Caserta, ha da poco ultimato una conversazione telefonica con i vertici nazionali dell’Arma. «Un gran risultato – commenta – e anche quando sembra che ci sia quiete, che non si muove nulla, forze dell’ordine e magistratura lavorano sempre con intensità». Colonnello, come ci siete arrivati… «Attività investigativa pura. Del resto, un latitante come Panaro, ha potuto certamente contare su una fitta rete di complicità e di omertà. Vantaggi che però non sono bastati». Da quanto tempo lo stavate cercando? «Era latitante dal 2003. È il cugino di Schiavone e certamente rappresenta un esponente molto pericoloso del clan dei Casalesi». Quanti uomini hanno preso parte al blitz? «Trenta. Hanno agito tutti con abilità e coraggio. Lui non si è accorto di nulla». Ci delinei il profilo criminale di Panaro… «Un esponente di primo piano del clan e, soprattutto, molto esperto di sistemi informatici, segno questo che, tra l’altro, la camorra di oggi è capace di utilizzare le più moderne tecnologie. L’appartamento di Lusciano dove siamo intervenuti era munito di un dispositivo di controllo esterno e di telecamere». Avete trovato altre vie di fuga, cunicoli o nascondigli? «Al momento no ma le verifiche sul luogo continuano». Era armato? «Al momento dell’irruzione Panaro non aveva armi nella sua immediata disponibilità. Stiamo eseguendo ulteriori verifiche». Che tipo di appartamento occupava? «Un’abitazione con tutti i comfort: segno che personaggi come questi devono mostrare il loro status e segno anche che lì si sentiva abbastanza protetto e sicuro. Abbastanza: perché poi lo abbiamo preso».


Lorenzo Calò

Il Mattino il 15/04/10

PUBBLICITÀ