Raccontare quella storia è servito a poco, se non a cambiare la sua vita, se non a trasformare di colpo una routine di badante immigrata da un paese lontano. Lei, l’unica testimone nel delitto di un tabaccaio in provincia, il suo dovere l’ha fatto: ha riconosciuto un uomo indicato come basista sul luogo del delitto, ha retto alle domande, si è dimostrata convincente. Tanto da fornire particolari inediti su un delitto consumato alla luce del sole, in pieno centro storico di un comune dell’hinterland napoletano. Quello del tabaccaio Francesco Gaito, ucciso un lunedì mattina di tre anni fa, nel giorno in cui portava gli incassi settimanali dal negozio alla banca. Era l’otto ottobre del 2007, omicidio numero 91 di un anno record quanto a delitti e azioni predatorie. Un omicidio destinato a rimanere impunito: pochi giorni fa, infatti, il gip ha archiviato la posizione dell’unico indagato, Tammaro Pedata (difeso dal penalista Giovanni Cappuccio), accogliendo la richiesta del pm Francesco Valentini. Non è bastato il racconto della testimone per tenere in cella un indagato, né a provare la sua responsabilità anche solo come basista o fiancheggiatore in un omicidio a scopo di rapina. Meno di tre anni dopo quel delitto, resta solo un lungo verbale di interrogatorio e una vita cambiata di colpo: quella di una cittadina polacca, che a Sant’Antimo lavorava come badante in casa di anziani. Lei non si è tirata indietro e non è rimasta in silenzio. Anzi: il suo verbale di interrogatorio iniziava proprio dal tentativo in extremis di salvare la vita del 47enne di Sant’Antimo che da vent’anni, ogni lunedì, faceva sempre lo stesso tragitto – casa, negozio e banca – in pieno centro cittadino, passando davanti a uffici, boutique e amici di sempre: «L’ho soccorso, ma non ce l’ho fatta a salvargli la vita – aveva dichiarato agli inquirenti -, in pratica è morto tra le mie braccia. All’inizio, ho pensato di non parlare con nessuno, anche qui mi dicevano di stare zitta, poi mi sono decisa a raccontare tutti i particolari di quei minuti in cui sono rimasta lì a guardare». Decisivo, nel corso del racconto, il riferimento a Tammaro Pedata, che viene indicato come uno dei soggetti presenti sul luogo del delitto. Su di lui si è indagato a lungo, ma al di là della circostanza raccontata dalla testimone, non è emerso nulla di utile. Indagine aperta per mesi, intercettazioni e pedinamenti, incroci di informative, fonti confidenziali: quanto basta a far sbocciare indagini per droga o a inchiodare bande specializzate nella tecnica estorsiva dei «cavalli di ritorno», ma sull’omicidio del tabaccaio nessun passo in avanti. Niente: nessun accenno, nessun tassello in più oltre al racconto della testimone che, dal canto suo, ha dovuto affrontare tutti gli oneri del caso. Ha lasciato il lavoro, è andata a vivere in una località protetta. Protocollo rigoroso, pochi contatti, la speranza di chiudere in fretta con una storia processuale difficile. Poi la fuoriuscita, quando è apparso chiaro a tutti, che il verbale reso dalla badante polacca nell’immediatezza dei fatti, sarebbe rimasto lettera morta, in un processo nato prima di iniziare, in un’inchiesta archiviata per mancanza di altri contributi o testimonianze.
Leandro Del Gaudio
Il Mattino il 21/04/10