Basile Domenico alias “Mimmolone” fu arrestato per corruzione nel febbraio del 2013 e posto agli arresti domiciliari presso la propria abitazione. Durante la notifica di tale provvedimento, venne effettuata una perquisizione domiciliare durante la quale furono rinvenute delle armi, di cui una pistola con matricola abrasa ed altre quattro ritenute a prima vista armi giocattolo, ma successivamente si accertò che due di queste erano state modificate nella loro potenzialità offensiva. In tale contesto, il rinvenimento di armi determina la flagranza di reato con l’arresto immediato del detentore, ma la Polizia Giudiziaria Operante non esegui il suddetto fermo, lasciando il Basile agli arresti domiciliari per la originaria ipotesi di corruzione. Immediata fu la reazione ad opera del procuratore Distrettuale, la dottoressa Ribera della Direzione Distrettuale Antimafia presso la Procura della Repubblica di Napoli, con la richiesta di applicazione di misura cautelare in carcere per le ipotesi di reato di ricettazione, detenzione abusiva di armi e di munizioni, possesso di arma clandestina e recidiva specifica reiterata.
La richiesta di carcerazione fu rigettata dal giudice per le indagini preliminari nel giugno 2014, nonostante i ripetuti solleciti. Tale rigetto produsse una immediata impugnazione al Tribunale del Riesame di Napoli da parte del Procuratore distrettuale. La Procura non solo insisteva nella applicazione di una misura cautelare improntata al massimo rigore ma, altresì, chiedeva il riconoscimento nella imputazione, anche dell’aggravante per associazione camorristica. Tale aggravante viene applicato ai mafiosi o comunque a persone che delinquono al fine di favorire un clan.
Non a caso il procuratore distrettuale riteneva, insistendo con forza e partecipando attivamente alla celebrazione di tutte le udienze a carico del Basile Domenico, che lo stesso avesse detenuto le pistole non per uso privato, ma allo scopo di favorire il clan Mallardo nella commissione dei reati. Celebratasi l’udienza innanzi al Tribunale del Riesame, questi stabilì, che il Basile fosse arrestato per la detenzione abusiva di armi con tutte le aggravanti summenzionate ad eccezione di quella di associazione mafiosa. Il supremo collegio in data 19.03.2015 dispose che il Basile dovesse essere incarcerato.
In tale data si celebrò a Napoli, l’udienza preliminare innanzi al G.U.P.
Il procuratore distrettuale chiedeva una condanna pari ad anni dieci di reclusione, mentre il difensore con la propria discussione riusciva a smantellare, sia in fatto che in diritto, gran parte delle accuse mosse verso Basile ad eccezione di quelle sulla responsabilità. Il GUP dopo una camera di consiglio protrattasi fino al tardo pomeriggio, scioglieva la riserva infliggendo al Basile la pena di anni 3 mesi 8 di reclusione. Pena mite se si considerano la esistenza delle diverse aggravanti che fanno lievitare la pena irrogata dei due terzi e soprattutto con una richiesta della Procura della Repubblica pari ad anni 10 di reclusione.
Il Basile Domenico attese la esecuzione del provvedimento di arresto disposto dalla cassazione, senza sottrarsi alla giustizia, riponendo la propria fiducia esclusivamente nelle mani del suo difensore. Dall’atto della incarcerazione, il difensore del Basile, il penalista Antonio Peluso del Foro di Napoli, è riuscito a dimostrare che le esigenze di cautela si fossero attenuate e che le stesse potessero essere salvaguardate attraverso una imposizione cautelare meno afflittiva rispetto a quella improntata al massimo rigore, come quella degli arresti domiciliare in un comune diverso da quello di residenza.

