Nelle carte della Dda, Michele Russo non è soltanto un nome: è la sagoma di un clan che prova a rifarsi il trucco. Quarant’anni scarsi, un passato da detenuto eccellente nell’inchiesta che nel 2007 azzerò il gruppo nolano, e una laurea in Ingegneria conquistata in cella che diventa, secondo gli inquirenti, la chiave di un nuovo corso. Non più estorsioni con il cappuccio calato e il blocchetto dei “favori” in tasca, ma progetti, consulenze, servizi obbligatori venduti come se fossero prodotti di uno studio tecnico. Una camorra che cambia etichetta, non natura.
L’immagine che emerge dalle intercettazioni è quella di un clan in pieno trasloco: dai cantieri al computer, dalle minacce esplicite alle pressioni mascherate da professionalità. Un’estorsione “di ingegneria”, la definiscono gli investigatori, capace di insinuarsi senza rumore nei settori dove passano soldi e concessioni.
Ma il restyling non convince tutti. La vecchia guardia, quella cresciuta nel mito dei capi “generosi” dell’epoca Alfieri, guarda al nuovo ingegnere di famiglia con diffidenza e sarcasmo. «Lui fa l’ingegnere… mo’ vediamo», si sente in una delle conversazioni captate. Traduzione: l’aria nuova non piace a chi da vent’anni vive di malavita e pretende di farlo alla vecchia maniera.
In questo scontro tra chi vuole modernizzare e chi vuole restare dove è sempre stato, si consuma la fotografia del clan: un gruppo che tenta di diventare invisibile per diventare più forte. Una camorra 2.0 che preferisce i permessi edilizi ai motorini, i progetti ai pizzini, le fatture alle minacce. Una metamorfosi che ieri si è fermata con il nuovo arresto di Michele Russo, accusato di essere il motore di questa trasformazione.
La forma cambia, la sostanza no: anche quando indossa la giacca da professionista, la camorra resta camorra.


