11.8 C
Napoli
mercoledì, Aprile 24, 2024
PUBBLICITÀ

FORUM SOCIALE DI FIRENZE: IL FURORE DELLA FALLACI, L’ANALISI DELLA SPINELLI

PUBBLICITÀ

Affluenza straordinaria e nessun incidente al corteo contro la guerra organizzato dal Social forum europeo. Nei giorni scorsi l’articolo di Oriana Fallaci apparso sul “Corriere della Sera” («Fiorentini, esprimiamo il nostro sdegno») aveva aperto la strada a uno strascico di polemiche. Barbara Spinelli, scrittrice ed editorialista, replica oggi alla Fallaci con il fondo sulla “Stampa” («Il massacro della conoscenza»). InterNapoli pubblica i due articoli senza commenti. Lasciamo ai nostri utenti la facoltà di giudicare. ufer









«Fiorentini, esprimiamo il nostro sdegno»




di ORIANA FALLACI – Corriere della Sera 6 novembre 2002




Fiorentini, abbiate dignità. Non siate inerti, non siate rassegnati, esprimete il vostro sdegno. In maniera civile. Educata, civile! Chiudete i negozi. Inclusi quelli dei generi alimentari. Tanto cinque giorni passano presto, e in cinque giorni non s i muore certo di fame. Chiudete i ristoranti, i bar, i mercati. Chiudete i teatri, i cinema, le farmacie. Chiudete tutto, abbassate le saracinesche, metteteci il cartello che i coraggiosi misero nel 1922 cioè quando i fascisti di Mussolini fecero la marcia su Roma. «Chiuso per lutto». Lo stesso cartello che dovrebbe stare all’ ingresso degli Uffizi, degli altri musei tenuti aperti dal Municipio, del Battistero, di Santa Maria del Fiore, di tutte le chiese, nonché sul Ponte Vecchio e sul Ponte a Santa Trinita. E non mandate i bambini a scuola. Non rivolgete la parola a coloro che come minimo vogliono imbrattare i nostri monumenti. Non guardateli nemmeno, non rispondete alle loro provocazioni. Imponetevi una specie di coprifuoco, sentitevi co me vi sentivate nel 1944 cioè quando i tedeschi fecero saltare in aria i nostri ponti e via Guicciardini, via Por Santa Maria. Offrite al mondo il doloroso spettacolo di una città offesa, ferita, tradita e tuttavia orgogliosa. Orgogliosa! Perché è po ssibile che quei gentiluomini e quelle gen tildonne usi a imbrogliare con la parola più sputtanata del mondo, la parola Pace, non ci devastino Firenze. E’ possibile che per non perder la faccia e i privilegi di sindaco, di presidente della Regione, d i deputato, di senatore, di ministro, di segretario generale, gli squallidi mecenati del Social Forum li convincano a rimangiarsi la minacciosa promessa «Non sarà una manifestazione non-violenta». Cioè a non fare ciò che hanno fatto a Seat tle, a Pra ga, a Montreal, a Nizza, a Davos, a Napoli, a Quebec City, a Göteborg, a Genova, a Barcellona. E’ possibile, sì, e augurandomi di non sbagliare aggiungo: con le dovute eccezioni, secondo me andrà così. Non oseranno spaccarli i genitali del David e de l Biancone. Non oseranno romperle le braccia del Perseo di Cellini. Forse non oseranno nemmeno assaltare le banche e i consolati e le caserme. Ma non esiste solo la violenza fisica. La violenza che nutrendosi di cinismo va in cerca del morto da santi ficare, che per trovarlo scaglia pietre o estintori contro il carabiniere terrorizzato. La violenza che nutrendosi di cretineria imbratta le facciate degli antichi palazzi, frantuma le vetrine, saccheggia i Mac Donald, brucia le automobili. Che occup a le case e le banche e le fabbriche, che distrugge i giornali e le sedi degli avversari. Che (non avendo studiato la storia loro non lo sanno) ripete gli sconci cari ai fascisti di Mussolini e ai nazisti di Hitler. Esiste anche la violenza morale, p erdio. Ed è la violenza che si manifesta con le demagogie e i ricatti, che si esprime con le minacce e le intimidazioni. La violenza che sfruttando la legge umilia la Legge, la ridicolizza. La violenza che servendosi della democrazia oltraggia la Dem ocrazia, la dileggia. La violenza che approfittandosi della libertà uccide la Libertà. La assassina. E questa violenza Firenze la subisce in misura sfacciata. Scandalosa. La subisce per colpa di coloro che per tenersi le poltroncine del Potere, procu rarsi altrove i voti negatigli dal Popolo, le hanno imposto l’ oceanico e protervo raduno detto Social Forum. Che usando anzi sprecando il denaro pubblico, il denaro dei cittadini, lo hanno piazzato in uno dei suoi monumenti: la Fortezza da Basso. Ch e ignorando o fingendo di ignorare il suo patrimonio artistico, la sua vulnerabilità, la sua indifendibilità, le rovesceranno addosso (così molti affermano) una moltitudine pari ad oltre la metà dei suoi trecentottantamila abitanti. Cioè duecentomila persone. Che insieme alla gente di buonafede (a mio avviso una pericolosissima buonafede ma finché non partorisce il Male la buonafede va rispettata) ha lasciato entrare i teppisti cui dobbiamo le nequizie dei precedenti Social Forum. I falsi rivolu zionari, i figli di papà, che vivendo alle spalle dei genitori o di chi li finanzia osano cianciare di povertà. Di ingiustizia. I presunti pacifisti, le false colombe, che la pace la invocano facendo la guerra e la esigono da una parte sola. Cioè dal la parte degli americani e basta. (Mai che la chiedano a Saddam Hussein o a Bin Laden. Mai che improvvisino un corteuccio per le creature assassinate o gassate dal primo e le creature massacrate dal secondo. Infatti Saddam Hussein lo rispettano, Bin Laden lo amano. Ai regimi militari e teocratici dell’ Islam si inchinano, nei cosiddetti centri sociali nascondono i clandestini non di rado addestrati da Al Qaida in Iraq o in Iran o in Pakistan. E l’ 11 settembre erano i primi a sghignazzare «Bene, agli-americani-gli-sta-bene»). Quando parlo di coloro che per tenersi le poltroncine del Potere e procurarsi altrove i voti negatigli dal Popolo hanno imposto questo calvario a Firenze, parlo anzitutto della sgomentevole coppia formata dall’ ahimè p residente della Regione Toscana e dall’ ahimè sindaco di Firenze. Due sventure uscite da ciò che chiamo l’ ex Agenzia di Collocamento ovvero la Federazione Giovanile Comunista. Quel sindaco che sembra nato solo per dar dispiaceri alla città. (Basti p ensare alle prepotenze degli extracomunitari cui l’ ha consegnata, alla tenda dei somali eretta due anni or sono in piazza del Duomo, all’ orrenda tettoia con cui vorrebbe deturpare gli Uffizi. E menomale che nei punti dove andavano i pilastri si son scoperti preziosi reperti medievali). Quel sindaco che in aprile definì il Social Forum «un’ occasione da non perdere». Che in giugno tacciò di «fascisti» i comitati che vi si opponevano. Che in agosto negò l’ esistenza d’ un referendum col quale tr e quarti dei fiorentini s’ eran pronunciati contrari. E che in settembre, nel corso d’ un dibattito al Rondò di Bacco, blaterò: «Ho saputo che una nota scrittrice fiorentina si dà un gran daffare perché i no-global non vengano a Firenze. Quella-signo ra farebbe meglio a incontrarli, a vedere che bravi ragazzi sono». (Bravi come a Seattle, a Washington, a Praga, a Montreal, a Nizza, a Davos, a Göteborg, a Genova, a Barcellona, illustrissimo? Bravi come quel «disubbidiente» che ha promesso non-sarà -una-manifestazione-non-violenta? E a proposito: mi si racconta che sia pure obtorto collo Lei stia esaminando la richiesta dei fiorentini cui piacerebbe dare alla Fallaci un premio che da mezzo secolo viene attribuito solo ai comunisti russi o cines i o cubani eccetera. Insomma il Fiorino d’ Oro. Non si azzardi a darmelo, eh? Se si azzarda, glielo ficco in gola). Quel presidente della Regione che non ne imbrocca mai una, che è il più insignificante individuo mai apparso in Toscana, e che tuttavi a si crede il granduca Ferdinando III o Leopoldo II. Come un granduca si dà un mucchio di arie, frequenta le cene della defunta aristocrazia. (Un’ aristocrazia che nel 1938 ricevette Hitler con tutti gli onori, che al Teatro Comunale lo applaudì fino a spellarsi le mani). Quel presidente della Regione che lo scorso ottobre disse: «Il Social Forum è un’ esigenza costituzionale». Poi annunciò che sarebbe sfilato col corteo a cui la pace interessa da una parte sola, e dichiarò che «era disposto a v edermi». (Disposto-a-vedermi, giovanotto?!? Toccava a me dire se fossi disposta a vederla. E come le feci rispondere, non lo ero affatto). Parlo anche dei loro complici a destra e a sinistra. Dei loro compagni di partito, dei loro compagnons-de-route verdi o bianchi o rossi o viola o grigi, e dei loro avversari al governo. Cioè dei correi che per calcolo o per convenienza, per furbizia o per viltà, in tutti questi mesi non hanno mai mosso un dito. Che alla fine hanno aperto bocca solo per presta rsi allo scaricabarile della sgomentevole coppia, al suo codardo cercarsi un alibi, al suo pavido frignare «Tocca-al-governo-garantire-la-sicurezza. Con-la-sicurezza-noi-non-c’ entriamo». Vero, Pisanu? Vero, Fassino? Vi chiamo in causa perché (è giun to il momento di spiattellarlo pubblicamente) una volta tanto l’ ahimè sindaco di Firenze non si sbagliava. Quella-signora se lo dava davvero il gran daffare. Con assoluta discrezione ossia senza confidarmi con nessuno, senza appoggiarmi ai giornali, senza esibirmi alle Tv, per l’ intera estate mi sono battuta per impedire che i bravi-ragazzi venissero a Firenze. L’ intera estate! Disperatamente, incessantemente. E sebbene la sgomentevole coppia non l’ abbia voluta vedere, voi due vi ho visto. S ebbene con la sgomentevole coppia non abbia voluto parlare, con voi due ho parlato. (Coi vostri prefetti, il prefetto di Roma e il prefetto di Firenze, pure. Più volte). E con ciascuno, quindi sia con la destra che con la sinistra, ho incominciato il discorso così: «Ascoltatemi bene. Le pugnalate nella schiena io non le tiro: combatto a viso aperto. E a viso aperto vi dico che se non fermerete questa insensatezza, io vi sputtanerò. Oh, se vi sputtanerò!». Poi vi ho ricordato che Firenze non è Po rto Alegre. Che nonostante gli oltraggi inflittile ogni giorno dai figli d’ Allah è la testimonianza vivente della nostra cultura. Della nostra identità. Della nostra civiltà. Vi ho spiegato che difenderla è praticamente impossibile, che le sue belle zze non stanno soltanto nei musei: a Firenze ogni statua, ogni quadro, ogni palazzo, ogni strada, ogni piazza, ogni vicolo, ogni pietra è un ostaggio. E vi ho fornito un esempio storico. Vi ho raccontato che un secolo e mezzo fa, quando centinaia e c entinaia di facinorosi vennero da Livorno a Firenze per celebrarvi il loro «Forum», anch’ essi furono sistemati nella Fortezza da Basso. Ma da questa si spostarono in piazza Santa Maria Novella, da piazza Santa Maria Novella in via Tornabuoni, da via Tornabuoni in piazza della Signoria cioè nel Centro Storico, dal Centro Storico in Oltrarno. In tutta la città. E per oltre un mese vi rimasero a far nefandezze, distruggere, devastare, picchiare. Ve l’ ho raccontato, sì. E con tutta la passione di cui son capace vi ho supplicato d’ intervenire, d’ impedire il disastro. Io che non supplico mai nessuno. Neanche il Padreterno. A Lei, Fassino, chiesi anche di sturare le orecchie dei suoi alleati o rivali. Di quello che parla con l’ erre moscia, ad esempio, e di quello che sfoglia la margherita per sapere se la quercia lo ama o non lo ama. A Lei, Pisanu, chiesi anche di sturarle al cavaliere che anziché occuparsi del paese sta sempre a rodersi sui suoi processi o a far merende all’ estero. Che viaggia più del Papa ed ora è a Mosca per mangiare il caviale con Putin, ora nel Texas per mangiar la bistecca con Bush, ora a Ryad per bere il latte di cammella col suo socio in affari Al Walid, ora a Madrid per assistere al matrimonio della figlia di Aznar, ora a Tripoli per stringer la mano a quel farabutto di Gheddafi. Ma ne ricavai solo la promessa, pardon l’ assicurazione, che il corteo a sostegno di Saddam Hussein e degli iracheni da cui Saddam Hussein riceve il cento per cento dei voti non sarebbe entrato nel centro storico. E, tre giorni fa, la notizia che non sarebbe partito dalla gloriosa Piazza dell’ Indipendenza. (La piazza da cui nel 1859 i patrioti fiorentini si mossero per indurre gli Asburgo-Lorena ad andarsene via). Infat ti, caro Pisanu, lo scaricabarile della sgomentevole coppia Lei lo ha trasferito al Parlamento dove in sostanza ha chiesto all’ opposizione il permesso di fare il suo dovere cioè di governare. E quando l’ opposizione le ha rilanciato la palla, «veda- Lei, decida-Lei», ha indossato i panni del Ponzio Pilato. S’ è rivolto al Consiglio dei Ministri, gli ha chiesto di scegliere tra Gesù e Barabba. E loro hanno scelto Barabba. Hanno salvato il Forum, hanno crocifisso Gesù cioè Firenze. Quanto a Lei, F assino, se l’ è cavata sussurrando «lasciamoci-alle-spalle-ogni-recriminazione, ogni-rimprovero-reciproco, lavoriamo-insieme». In altre parole, con un cauto «Volemose bene». Volemose-bene?!? Ah…! Quanto il suo avversario mi ricorda Ponzio Pilato, t anto Lei mi ricorda i medici che stanno al capezzale di Pinocchio. «Se non è morto, è vivo. Se non è vivo, è morto». Perbacco, non c’ è proprio nessuno tra voi che dica pane al pane e vino al vino? Non c’ è proprio nessuno che abbia un po’ di coraggi o? Con rispetto parlando nel mucchio ci metto anche Lei, signor Presidente della Repubblica. Perché Lei non viene mai rimproverato, Eccellenza. A Lei non viene mai rivolto un briciolo di critica. Lei è come l’ Islam dell’ Islam-Non-Si-Tocca. Io, inve ce, La tocco eccome. E Le dico: mi dispiace d’ averLe inviato quella letterina di congratulazioni quando ricevette il prestigioso e impegnativo incarico. Mi dispiace perché Lei mi ha proprio deluso. La telefonata che feci al Quirinale in estate, cioè quando parlai con Sua moglie, era un grido di dolore rivolto a Lei, Eccellenza. Un SOS diretto all’ uomo che dovrebbe essere il babbo di tutti gli italiani, quindi anche dei fiorentini. E Lei non si degnò nemmeno di richiamarmi cioè di domandarmi pe r quali ragioni fossi così preoccupata anzi disperata. Glielo ha impedito l’ etichetta, forse? Che diamine! Non è mica Sua Maestà il Re d’ Italia, sor Ciampi! E’ un presidente al servizio dei cittadini! Per questo abbiamo licenziato la monarchia, per questo la teniamo in quel bel palazzo che apparteneva ai Savoia! O lo ha dimenticato? Bè, i Suoi predecessori non lo dimenticavano. Se avessi chiesto l’ aiuto di Pertini, Pertini avrebbe fatto fuoco e fiamme. Fuoco e fiamme! Lei invece s’ è limitato a un comodo «Penso-che-non-vi- sia-italiano-cui-non-prema-il-patrimonio-culturale-di-Firenze». Tutto qui?!? Temeva forse d’ offendere i bravi-ragazzi e i loro protettori (quei protettori cui deve il prestigioso e impegnativo incarico) a dire qualcos a di più anzi ad alzar la voce? E poi: non gliel’ ha riferito nessuno che non si tratta solo di italiani, che gomito a gomito con gli italiani ci saranno o meglio ci sono i teppisti greci e baschi e danesi e olandesi e inglesi e francesi e ungheresi e tedeschi e bosniaci cioè gente a cui del patrimonio-artistico non importa un cavolo? Peggio, (o quasi): non glielo ha detto nessuno che per cinque giorni Firenze diventerà una città blindata, una città sotto assedio, una città che vive nella paura, una città dove i cittadini perderanno anche la libertà di camminare nelle proprie strade? Ma chi sono i suoi ciambellani, pardon i suoi consiglieri? Allora aveva ragione Sua moglie, quando al mio grido di dolore rispose: «Grazie, cara signora, grazi e d’ averci informato. In questo momento mio marito è chiuso in ufficio a lavorare, ma stasera a tavola gli racconto tutto. Perché vede, qui al Quirinale non si sa mai nulla». Eh, sì, fiorentini: siamo proprio soli a difendere la nostra dignità. Soli con quei poveri carabinieri e quei poveri poliziotti che comunque vada ne usciranno maltrattati, insultati, calunniati. Quei poveri figli del popolo che a Genova vennero accusati d’ aver spento-le-sigarette-sul-morto. (Vergogna!). Quei poveri cristi a cui i teppisti greci hanno promesso una-pallottola-a-testa, e che durante i cinque giorni non avranno neanche il diritto di difendersi con la rivoltella. Di sparare per ammonimento. Bè, il coraggio è anzitutto ottimismo: io continuo a voler pensar e che i teppisti, pardon, i bravi-ragazzi greci eccetera quella pallottola se la terranno in tasca. Sia pure per lercia convenienza i loro protettori hanno capito che se avvenisse qualche tragedia ne pagherebbero il fio, e stanno davvero correndo ai ripari. Ma nessuno è profeta e… Comunque vada, l’ offesa rimane. Il calvario rimane. La violenza morale rimane. Sicché, fiorentini, abbassatele davvero quelle saracinesche. Mettetecelo davvero il cartello «Chiuso per lutto». Esprimetelo, esprimiamo lo davvero il nostro sdegno. Dico «esprimiamolo» perché a Firenze ci sarò anch’ io.

PUBBLICITÀ









Il massacro della conoscenza




di BARBARA SPINELLI – La Stampa 10 novembre 2002



L’ARTICOLO di Oriana Fallaci sulle manifestazioni no global di Firenze è stato interpretato in vari modi, nei giorni scorsi. Alcuni si sono adirati, convinti che la giornalista avesse perso il senno e fosse addirittura un caso clinico. Altri l’hanno ardentemente approvata, per la condanna inflessibile che nella Lettera aperta ai fiorentini colpisce indiscriminatamente i no global, i pacifisti che hanno concluso il Social Forum sfilando nel capoluogo toscano, e qualsiasi forma di disubbidienza civile. C’è chi ha parlato di «parole sante», di «bellissima lettera». C’è perfino chi – in Alleanza Nazionale – l’ha paragonata a Céline: per il linguaggio rude della Lettera, e per la vocazione della Fallaci a essere «estrema, categorica, solitaria». In realtà non c’è nulla di solitario, nella prosa della giornalista e nel suo rifiuto categorico di un movimento nel quale altro non si vede che l’appetito di imbrattare monumenti e di sconquassare le nostre belle città, e da molti punti di vista Oriana Fallaci è l’esatto opposto di Louis-Ferdinand Céline. Non è solitaria, bensì cammina allo stesso passo del gregge, o di quello che comunemente viene chiamato Zeitgeist, spirito del tempo. Non è insolente o irrispettosa, come forse vorrebbe, ma è condiscendente, se non corriva verso le opinioni dei più.
Per naturale inclinazione, la sua prosa si rimette di buon grado al volere e al parere di chi oggi governa i paesi occidentali: ne sposa non solo le forze ma anche le fobie e le fragilità, aderisce alle loro chiusure, alla mediocrità dei loro irrigidimenti, alla loro ottusa arrendevolezza verso i prefabbricati convincimenti delle maggioranze silenziose.
E’ solo più esplicita e insistentemente oltranzista di coloro che avendo in mano le redini del comando usano, se necessario, prudenza. Esagera un po’ di più, ma è in sintonia con essi e si riscalda al loro contatto telefonando confidenzialmente ai potenti. Parla come ha sempre parlato, a cominciare dal secolo scorso, l’estremismo del centro.
Gli stereotipi sono la sua molla recondita, e il raccapriccio provato di fronte a qualsiasi tipo di critica è il suo movente. Ogni manifestazione di dissenso, ogni movimento di emancipazione è guardato con sospetto, e trasformato in mera questione di ordine pubblico, in mera patologia criminale. Da questo punto di vista non c’è nulla di particolarmente nuovo, nella condotta dei responsabili occidentali come nella prosa di Oriana Fallaci: ancora una volta non si guarda al perché delle proteste o della disubbidienza civile o anche delle azioni violente, ma si redigono bollettini degni di un commissariato, che valgono per le più diverse circostanze e sono contrassegnati dall’uniformità.
Sono inflessibili sulla questione della legalità, com’è giusto, ma del tutto ciechi di fronte a quel che accade nel mondo. In passato abbiamo già visto come vanno le cose, quando le forze moderate non cercano di capire e soprattutto di distinguere: un’unica orda barbarica è alle porte – questo il grido d’allarme – e nulla distingue l’indipendentista ceceno minacciato da un genocidio dal terrorista kamikaze che abbatte le torri di Manhattan, il manifestante che provoca lo scontro da quello che s’interroga sul futuro dell’Europa e della Terra. Seymour Martin Lipset chiamava fascismo del centro questa vocazione all’immobilità del pensiero e alla fissità ripetitiva delle azioni di contrasto, assai forte nelle classi medie: il termine risale al 1960, quando il sociologo americano scrisse il suo Political Man.
Nei due secoli scorsi fu così che i moderati fecero bancarotta: la questione sociale che aveva fatto apparizione nell’ ‘800 fu trattata come mero problema di ordine pubblico, non come un male che andava curato alle radici, e la questione fu fatta marcire finché degenerò in due totalitarismi.
Altra risposta non si trovò, se non quella totalitaria, alle domande che lungo più generazioni avevano tormentato la società. Quel che caratterizza l’estremista del centro è l’adesione al luogo comune, e anche per la Fallaci lo stereotipo è punto d’appoggio essenziale.
Come dice il vocabolario, stereotipo è l’opinione rigidamente precostituita e generalizzata, che non viene acquisita sulla base di una esperienza diretta e che prescinde dalla valutazione dei singoli casi. Chi coltiva simili opinioni sa fare le guerre e le incursioni poliziesche, ma non sa costruire le paci e la convivenza tra individui diversi.
Sa ricorrere al potere delle armi, ma non a quello della persuasione e della politica, cui gli americani danno il nome di softpower, potere morbido (il giornalista Thomas Friedman parla di «armi di attrazione di massa», che mancherebbero all’Occidente nella lotta contro le armi di distruzione di massa).
Per il propagatore di stereotipi il terrorismo è un unico magma mondializzato, che non possiede radici locali e che non può mai nascere, come in Cecenia, da operazioni di sterminio e di colonizzazione.
Le situazioni locali e gli stermini non interessano in realtà né i pacifisti né a ben vedere la Fallaci, e da questo punto di vista il giudizio più calzante sulla lettera della giornalista è quello del segretario del partito radicale, Daniele Capezzone: «Come Casarini ha la tuta bianca, lei ce l’ha di un altro colore. Ma sempre di tuta si tratta».
Tutto questo ha poco a vedere con Céline, che di certo fu un ultrà del fascismo antisemita ma che esecrava lo stereotipo, le uniformi-tute, le città trasfigurate in sigillati musei. Non basta esagerare le frasi, per fare un poeta maledetto o un grande pensatore scabroso.
Il preciso giudizio espresso dall’esponente del partito radicale non è casuale. I radicali sono i soli che hanno preso sul serio i movimenti no global, contestando le loro sordità a quello che effettivamente accade nel mondo, criticando aspramente la ripetitiva fissità delle loro opinioni, ma entrando in discussione con essi.
I radicali sono intransigenti sulla legalità, ma cercano di capire i movimenti e di rispondere alle loro domande sul presente e il futuro. Guardano quel che succede in Europa e ai confini dell’Europa, e vedono che ci sono situazioni in cui la lotta al terrorismo non può essere generalizzata. Lo osservano, e scoprono che molto più micidiale della Coca-Cola è, al momento attuale, la politica di Putin nel Caucaso.
E’ veramente un terrorista – come sembra credere Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera – chi attrae l’attenzione del mondo sul genocidio che è in corso in Cecenia? Come avremmo chiamato l’ebreo che per denunciare l’esistenza dei Lager avesse preso in ostaggio gli spettatori di un teatro nella Germania nazista? E se è un terrorista da combattere con la forza dello Stato, perché è stato spinto da questo stesso Stato a divenire tale? Ieri a Firenze e domani a Bruxelles – dove ricorderanno il disastro ceceno ai margini dell’incontro fra Putin e l’Unione europea – i radicali hanno mostrato e mostreranno di avere una loro idea della mondializzazione.
Contrariamente ai no global non sono ostili all’unificazione dei mercati e anzi chiedono che la globalizzazione si intensifichi: che inglobi anche la politica e i diritti degli individui, dei popoli. Non i diritti che si possono solo acclamare senza poterli garantire, ma il diritto elementare a non esser privati con la violenza del proprio alloggio, a non esser torturati, a non esser soppressi come etnia e città aperta.A questi diritti inalienabili sono indifferenti gran parte dei no global e anche Oriana Fallaci. Per questo danno l’impressione di indossare la medesima tuta – la tuta del conformismo estremista – sia pure di colore diverso. Ha detto un anno fa a Roma Omar Khambiev, ministro della Sanità del governo ceceno: «Da noi è in corso un massacro di vite umane. Ma da voi è in corso un massacro di informazione, di conoscenza. E se non ci fosse questa strage da voi, si sarebbe già potuta impedire quella che è in corso da noi». Questa potrebbe essere una buona base di partenza, per cominciare a capire il mondo in cui viviamo e la sua peculiare globalizzazione, che unifica tutto tranne i diritti della persona e la conoscenza delle loro violazioni. Che spinge gli occidentali a chiudersi nella loro cittadella fortificata, con strumenti e pensieri completamente insufficienti. Perché a forza di generalizzare diveniamo partecipi di quel massacro dell’informazione e della conoscenza, grazie alle quali avremmo forse potuto evitare i massacri di popoli, o tassi eccessivi di disordine nelle nostre città. Una volta omologati gli oppositori, e visti in blocco come barbari, non resta che il ricorso alla guerra o alla polizia. Non resta che la ricostruzione dei loro tratti fisionomici, che la descrizione paternalistica dei cibi o dei vestiti che prediligono, che lo studio criminologico o etnologico dei loro stili di vita, delle loro abitudini psicologiche, delle loro tare congenite. Ogni oppositore o terrorista è un serial killer, nei confronti del quale non c’è altra risposta se non il cosiddetto profiling, l’attività che lo definisce e identifica. Televisori e giornali usano questo linguaggio forense-criminologico, anche quando parlano dei no global. Sono giorni e giorni che non fanno altro che profiling. Naturalmente è vero quel che dice Giovanni Sartori: l’onere della prova spetta ai no global, se si considerano le loro passate illegalità.Sono loro a dover dimostrare di poter manifestare pacificamente. Ma quel che spetta a Berlusconi o alla Fallaci è l’uso sapiente della ragione, e la rinuncia alla nefasta profezia che in segreto aspira ad auto-realizzarsi. Non è prevenzione, quando la Fallaci invita a chiudere i negozi per lutto, o quando il presidente del Consiglio dichiara, a Trieste, che «le devastazioni certamente verranno da alcuni dei partecipanti» al Social Forum. E’ l’azione pre-crimine di Minority Report, che immagina una realtà e immaginandola la crea. Non è fantascienza, a quanto pare: anche noi abbiamo i nostri precog, le nostre Erinni precognitive che sentono arrivare il delitto prima ancora che esso sia stato pensato. Vedono ammassarsi il crimine lì dove crimine non c’è, e non lo vedono lì dove popoli interi lo stanno subendo.

PUBBLICITÀ

RESTA AGGIORNATO, VISITA IL NOSTRO SITO INTERNAPOLI.IT O SEGUICI SULLA NOSTRA PAGINA FACEBOOK.

PUBBLICITÀ

Ultime Notizie

Sistema Caivano, stangata per i Sautto-Ciccarelli: quattro secoli di carcere

Oltre quattro secoli di carcere. Questa la decisione presa quest'oggi dal gip del tribunale di Napoli Valentina Giovanniello in...

Nella stessa categoria