Ergastolo. Non ha usato giri di parole il pubblico ministero Gloria Sanseverino della Direzione distrettuale antimafia nella sua requisitoria nel corso del processo per l’omicidio di Gianluca Cimminiello, il tatuatore ucciso nel febbraio 2010 a Casavatore. Ammazzato alle spalle da chi non ha avuto nemmeno il coraggio di affrontarlo guardandolo negli occhi. La “colpa” di Gianluca era stata quella di aver pubblicato e diffuso sui social una foto modificata dell’allora calciatore del Napoli e idolo dei tifosi Pocho Lavezzi. Episodio banale che infastidì un altro tatuatore, Vincenzo Donniacuo, conosciuto con il nomignolo di “Enzo il Cubano” che via Facebook manifestò critiche a Gianluca per quel fotomontaggio. “Enzo il cubano” è stato indagato perché avrebbe provocato la prima spedizione punitiva contro Gianluca che poi sfociò nella reazione del 31enne. Ci fu una “visita” presso il laboratorio Zendark Tattoo di Cimminiello. Si presentarono in quattro – tra loro Vincenzo Noviello e Ivan Pagano – rispettivamente cognato e nipote del boss degli scissionisti di Scampia, Cesare Pagano. L’intento era dare una lezione al tatuatore. Gianluca, esperto di arti marziali, non si fece intimidire, reagì. Un grave affronto, un atto da punire e sfociato poi con l’uccisione di Gianluca.
La richiesta del pm è stata emessa nei confronti di Arcangelo Abete, boss degli scissionisti e del suo luogotenente Raffaele Aprea, ritenuti i mandanti di quell’omicidio. Sarebbero stati loro in autonomia, contravvenendo agli ordini del boss Cesare Pagano (con cui in quel periodo erano alleati) a sbrigare la vicenda a modo loro. Secondo il racconto dei collaboratori di giustizia Pagano ordinò di dare una lezione a Gianluca e di gambizzarlo ma la vicenda fu gestita in modo autonomo dagli Abete-Abbinante con il tragico epilogo. Quello di un ragazzo pulito ucciso dalla brutalità camorristica e la sua famiglia che attende da otto anni giustizia.