Il giocattolo, alla fine, si è rotto. La macchina da soldi, la fabbrica di appalti-favori-tangenti, si è inceppata. E gli ingranaggi, che da due anni e passa non venivano più oliati, hanno travolto e stritolato chi era stato nella cabina di regia: presidente e amministratore del consorzio Ce4, il direttore generale del braccio operativo della ditta, cioè l’Ecoquattro, i manutengoli di camorra che sul sistema dei rifiuti hanno lucrato per anni. Sullo sfondo, il ruolo ambiguo dei Comuni, di pubblici amministratori che hanno partecipato e deciso con gli altri chi doveva controllare quel sistema. Non è solo un’inchiesta giudiziaria, quella raccontata nelle trecento pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Napoli Alessandro Buccino Grimaldi. È, invece, lo spaccato di quasi dieci anni di corruzioni e collusioni che hanno visto come protagonisti i dieci destinatari della misure cautelari e una mezza dozzina di altri indagati, colletti bianchi e camorristi insieme allo stesso tavolo. Pesanti le accuse contestate a Claudio De Biasio, subcommissario per l’emergenza rifiuti in Campania, ex manager del Consorzio intercomunale Ce4, quello che gestisce la raccolta dei rifiuti nell’area domiziana; a Michele e Sergio Orsi, amministratori della Ecoquattro, la società che fino alla liquidazione, due anni fa, si occupava della raccolta; a Giuseppe Valente, presidente del Ce4 fino al commissariamento del consorzio, alla fine di luglio dello scorso anno. Valente, che come De Biasio ha ottenuto gli arresti domiciliari, al momento della notifica del provvedimento ha tentato il suicidio: si è colpito a un braccio con un coltello da cucina. È stato medicato alla clinica Pinetagrande, poi è stato riaccompagnato a casa. Rispondono di truffa ai danni dello Stato e di falso ideologico, i due fratelli Orsi anche di favoreggiamento della camorra. Ed eccoli, gli uomini della camorra: Augusto La Torre, Giacomo e Giuseppe Fragnoli, Vincenzo Filoso, Gennaro Sorrentino, Giuseppe Diana (l’unico latitante, l’imprenditore monopolista della distribuzione del gas nell’area domiziana, che l’anno scorso era stato coinvolto nell’indagine della Dda sul riciclaggio fatto attraverso la scalata – firmata da Giorgio Chinaglia – della Lazio). Per loro l’accusa è di estorsione aggravata: ogni mese incassavano 15mila euro di tangente pagata «nella riferita consapevolezza degli esponenti dell’amministrazione comunale» da Ecoquattro. Due, ancora, gli indagati che rispondono di corruzione e di rivelazione di segreto d’ufficio: Salvatore Andreozzi, funzionario dell’Ispettorato del lavoro di Caserta, e componente del gruppo ispettivo antimafia (che istruisce le pratiche per le certificazioni antimafia); e Giovanni Romano, ispettore di polizia in servizio presso la questura di Caserta. Desolante lo scenario raccontato ieri nella conferenza stampa (alla quale hanno partecipato il comandante regionale della Guardia di Finanza, il generale Vito Bardi, e il comandante provinciale di Caserta, il colonnello Francesco Mattana) dal Procuratore di Napoli, Giovandomenico Lepore, dal coordinatore della Dda Franco Roberti, dai pm che hanno coordinato le indagini della tenenza di Mondragone della Guardia di Finanza, Raffaele Cantone e Alessandro Milita. Per esempio, il ruolo di Claudio De Biasio: direttore del Consorzio Ce4 (nei cui ruoli è ancora inserito), poco più di due anni fa era transitato al Commissariato di governo per l’emergenza rifiuti, sotto la gestione di Corrado Catenacci. Ruolo per il quale si erano attivati gli amici. «È uno dei nostri», diceva Michele Orsi a telefono, appoggiandone la nomina. Incarico, è stato sottolineato durante la conferenza stampa, ottenuto proprio grazie a quelle pressioni. Una circostanza che è stata criticata dal procuratore aggiunto Franco Roberti, che ha parlato di «commistione tra controllori e controllati». Commistione che avrebbe agevolato l’operazione-truffa oggetto della misura cautelare: la vendita a un prezzo esorbitante – oltre nove milioni di euro – del 49 per cento di Ecoquattro al consorzio Ce4, valore determinato grazie all’inserimento in bilancio di crediti fittizi.
Frequentazioni in questura e nel gruppo antimafia I pentiti: «Quell’imprenditore è la nostra interfaccia»
Che qualcosa non andasse per il verso giusto, nella gestione dell’affare rifiuti sul litorale domiziano, si era capito già da tempo. Da quando, per esempio, la Covim era transitata in blocco – con uomini e mezzi – nella Ecoquattro. La Covim era la ditta che raccoglieva l’immondizia a Mondragone e in altri piccoli comuni della zona; a gestirla, all’epoca, era il capozona del clan La Torre, Renato Pagliuca. In tempi più recenti, altri uomini di camorra erano all’interno della società con ruoli di comando. Come i Fragnoli, che dopo il pentimento di Augusto La Torre ne hanno ereditato le attività camorristiche, che gestivano il personale di Ecoquattro. I collaboratori di giustizia – Augusto La Torre e Luigi Diana, soprattutto – hanno raccontato di come, e attraverso quali persone, controllassero la gestione del ciclo dei rifiuti sul litorale. L’area del Mondragonese, con i diciotto Comuni consorziati nel Ce4, erano appannaggio esclusivo di La Torre. I rapporti con Michele e Sergio Orsi, i manager di Ecoquattro (ma anche di Flora Ambiente srl, Ambiente & Territorio, Enterprais srl), erano invece dei Casalesi, del ramo bidognettiano dei Casalesi. E questi, per operare sul litorale domiziano, pagavano dazio al capozona, cioè ai La Torre. Una tangente di quindicimila euro al mese che venivano veicolati dalle società di Giuseppe Diana e Gennaro Sorrentino, monopolisti del gas sulla zona attraverso la loro costellazione di aziende: Nuova Diana Gas, Brokerage Service, Lp gas, Il vecchio mulino, Domidiana Gas, Domiziana Gas (tutte sequestrate ieri mattina dalla Guardia di Finanza, così come i venti appartamenti dei fratelli Orsi e i due fabbricati di Diana). La galassia economica e finanziaria di Diana e Sorrentino aveva coperto, in un recente passato, anche la scalata ai vertici del calcio che conta. Lo scorso anno la Dda di Napoli aveva individuato i retroscena del tentativo di acquisto della Lazio attraverso Giorgio Chinaglia. Il denaro impiegato proveniva dalle casse di Diana, dalle casse del clan dei Casalesi. Due anni e mezzo fa, con il primo avviso di garanzia a Giuseppe Valente, si era scoperto che i rifiuti erano ancora il piatto forte del bilancio della camorra mondragonese e del clan dei Casalesi. Si erano già intravisti gli sviluppi futuri, con la scoperta del ruolo dei fratelli Orsi: imprenditori con una grande capacità di penetrazione nei palazzi delle istituzioni. Michele, il più piccolo dei due, vantava amicizie importanti nei piani alti della burocrazia e negli apparati investigativi. Pochi mesi dopo, quelle amicizie trascinarono nella bufera Ernesto Raio, funzionario della prefettura di Caserta, transitato al Commissariato di governo per l’emergenza rifiuti, capo di gabinetto di Corrado Catenacci. Il gip di Roma (quel troncone dell’inchiesta era finito a Roma per il coinvolgimento, conclusosi con l’archiviazione, del pm Donato Ceglie nel rilascio di un porto d’armi a Michele Orsi) dispose l’arresto di Orsi e la sospensione per due mesi di Raio. È quella l’indagine che contiene le telefonate in cui Orsi sollecita il trasferimento di Claudio De Biasio dal consorzio Ce4 alla struttura commissariale, la telefonata che definisce il subcommissario «persona nostra». Altre telefonate e altre frequentazioni hanno trascinato nell’ultima inchiesta anche l’ispettore di polizia Giovanni Romano e il funzionario del gruppo antimafia Salvatore Andreozzi: uomini, recita l’accusa, che in cambio di piccoli favori avrebbero aiutato Michele Orsi accelerando pratiche delicate e importanti.
rosaria capacchione, il mattino 4 aprile 2007