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Navi cariche di veleni, al porto il crocevia: valanga di arresti

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Bastava un timbro su un certificato prestampato a trasformare le banchine del porto di Napoli nel principale crocevia dei rifiuti tossici della Campania. È il pm Donato Ceglie, della Procura sammaritana di Mariano Maffei, a firmare l’ultimo atto di accusa sulla gestione dei rifiuti tossici a Napoli e in Campania, un affare sporco che investe anche la Puglia, e che ruota attorno al «disegno criminale» consumato proprio nel porto di Napoli. È da qui che partivano tir stracolmi di liquami, secondo quanto emerge dalle 100mila conversazioni intercettate e dalle decine di ore filmate dai carabinieri del Noe. Sono i «rifiuti solidi e liquidi, che provengono da navi mercantili e militari in porto e in rada», le cui bolle di accompagnamento vengono sistematicamente falsificate dal gruppo di trenta e passa indagati accusati, tra l’altro, di disastro ambientale. Il pm sammaritano guarda alle attività di Antonio Agizza, incensurato e lontano parente di imprenditori coinvolti negli anni scorsi in indagini sul clan Nuvoletta di Marano. Assieme ai suoi stretti collaboratori – si legge nel decreto di fermo – procedeva all’illecito smaltimento di rifiuti liquidi provenienti dal porto di Napoli, con una capillare falsificazione dei «fir», i fogli di identificazione dei rifiuti, i documenti che «attestano l’avvenuto regolare smaltimento del rifiuto». E non ci sono solo gli scarichi tossici di navi mercantili e militari. Dal porto e attraverso il porto, passavano anche altre forme di immondizia. Quelle degli «ospedali e delle cliniche private napoletane, dalle fosse settiche di civili abitazioni, degli esercizi commerciali e dei lidi balneari». Da qui, dal porto, dunque: dove Antonio Agizza aveva «un ragazzo suo» – come si legge nelle intercettazioni del Noe napoletano – un ragazzo che si chiama «Alfonso», uomo fidatissimo di via Molo Carmine, che gli rivolge parole deferenti: «Donn’Antonio, il camion è uscito, tutto bene». E Antonio Egizza gli risponde: «Si ma adesso fai lavorare i miei autisti, non ti preoccupare, ”falli fare” e non mettere l’orario, me lo vedo io». Pochi dubbi da parte del pm sulla destinazione finale del carico: «I rifiuti gestiti dal gruppo Agizza vengono smaltiti illegalmente nella rete fognaria cittadina, immessi direttamente in tombini, che poi confluiscono nella rete fognaria pubblica, attraverso i tombini presenti nel deposito della società di famiglia o direttamente all’aperto». Un atto di accusa di 94 pagine, nel quale il pm Ceglie si sofferma anche sulla più ampia emergenza rifiuti a Napoli e in Campania: «È una regione già fortemente provata dall’aggressione all’ambiente, a causa del vergognoso protrarsi della cosiddetta (folle) emergenza rifiuti: vicende giudiziarie che hanno prodotto l’unico effetto di deviare le rotte degli smaltimenti, anzi di far nascere un sistema attraverso il quale decine di ecocriminali, che in permanente contatto tra loro hanno individuato un nuovo codice comportamentale». Un sistema che il pm definisce «diabolico», «scellerato», «criminale», che assicura «seicento» euro al contadino di turno, che chiude un occhio di fronte allo sversamento di rifiuti tossici, quelli che dal porto di Napoli invadono la regione e il sud-Italia.

LEANDRDO DEL GAUDIO

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«Rifiuti tossici, Campania come Chernobyl»


Smaltimento fuorilegge dei fanghi, scorie utilizzate come concime: 38 arresti, sequestrati 4 depuratori

di
ROSARIA CAPACCHIONE

Veleno usato come concime. Cromo esavalente, una delle sostanze tossiche tra le più pericolose e insidiose, mischiato al terreno agricolo, quello sul quale vengono poi coltivati gli ortaggi, le verdure, la frutta. Un attentato alla salute, paragonabile solo al disastro ecologico provocato dal scoppio del reattore di Chernobyl, consumato per oltre due anni da affaristi senza scrupoli e da contadini compiacenti, disposti a chiudere un occhio, e anche un altro, sulla vera natura di quel concime in cambio di poche manciate di soldi. Da due anni, con una progressione sconvolgente: prima in provincia di Caserta – soprattutto il litorale domiziano e l’agro aversano – e poi nel resto della regione. Il cimitero segreto delle scorie industriali è ora nelle campagne dell’agro nocerino-sarnese, nelle buche scavate lungo il tracciato di un metanodotto, nella piana del Sele, al confine tra Benevento e Avellino, in provincia di Foggia, nel Calore. E nelle falde freatiche di quasi tutta la Campania. Sconvolgenti i risultati del monitoraggio fatto dai carabinieri del Noe di Caserta e Salerno. Un’indagine sul campo, documentata da centomila intercettazioni telefoniche, da foto e filmati, da sequestri fatti nel corso dell’inchiesta. Che all’alba di ieri ha portato a trentotto arresti: i gestori degli impianti di compostaggio che distribuivano i veleni ai contadini, i titolari delle società alle quali era affidato lo smaltimento dei quattro depuratori della Campania, gli autotraportatori, gli agricoltori che hanno accettato di smaltire illegalmente quei veleni. Trentotto decreti di fermo, firmati dal pm di Santa Maria Capua Vetere, Donato Ceglie, nei quali vengono contestati i reati di associazione per delinquere, traffico illecito di rifiuti speciali e pericolosi, disastro ambientale, truffa, frode nelle forniture. In aggiunta, il sequestro delle società degli indagati e dei quattro depuratori di Cuma, Mercato San Severino, Orta di Atella e Marcianise, che però continueranno a funzionare. Ed è proprio lo smaltimento dei fanghi di depurazione la base di partenza dell’inchiesta. Scorie che, fino, agli inizi del 2006, finivano in alcuni fondi agricoli della provincia di Caserta, transitando per le società di compostaggio della famiglia Roma (l’amministratore della società è stato recentemenete condannato a sette anni di reclusione per traffico di rifiuti tossici). Gli arresti avevano fermato quel canale ma la tecnica è rimasta invariata. Altri nomi, altre ditte, grande capacità di corruzione, amicizie giuste negli uffici e nei laboratori di analisi addetti alla certificazione di qualità dell’ammendante. I fanghi che entravano nei silos di compostaggio si trasformavano, miracolosamente, in concime, con tanto di nulla osta sanitario. E ciò che non riusciva a essere riciclato negli impianti, finiva nei fiumi, il Sabato e il Calore. In qualche caso, mascherato da una colata di calce viva. Poi, l’affare nell’affare: la miracolosa trasformazione di veleno in ammendante – la stima è di un milione di tonnellate di rifiuti pericolosi trattati in maniera illegale – ha fruttato almeno cinquanta milioni di euro, oltre ai sette milioni e mezzo di evasione dell’ecotassa. Quando gli arresti e le prime condanne avevano fatto sospettare agli indagati che prima o poi potesse toccare anche a loro, ecco la ricerca affannosa di sponsor di qualità, con il tentativo di coinvolgere la Coldiretti. Avallo che però, dall’associazione di categoria, non è mai arrivato.

Quel patto tra i nuovi avventurieri delle ecomafie

 

Quattro società specializzate nel compostaggio o nello smaltimento di scorie tossiche e nocive. Quattro depuratori, destinati per legge al trattamento delle acque reflue. E un manipolo di affaristi, disposti a tutto pur di guadagnare il più possibile dai rifiuti, soprattutto se altamente pericolosi. Un patto infernale, stipulato sulla pelle di milioni di persone ignare – gli abitanti della Campania e della vicina Puglia – sulle cui tavole sono finiti, per anni, generi alimentari corrotti alla fonte. Dietro, nuovi avventurieri delle ecomafie e vecchi nomi che tornano, come quello di Agizza (e del socio Romano), parente di quell’Agizza che negli anni Novanta fu coinvolto nelle grandi inchieste anticamorra sui clan Nuvoletta e Alfieri. È sempre lui, testimoniano le intercettazioni telefoniche, a mettere a posto le carte, disponendo la falsificazione dei Fir che certificavano il conferimento legale dei fanghi prodotti a Cuma alla società specializzata nel trattamento. È sempre lui, dicono le trascrizioni delle telefonate, a seguire l’iter giudiziario delle società consorelle coinvolte in indagini e sequestri. Alla stessa tavola, il gestore del depuratore di Cuma – Raffaele Pianese, arrestato ieri mattina – e un chimico, Michele Staiano. Ma soprattutto gli imprenditori del settore, coloro i quali gestivano gli impianti di compostaggio e le ditte incaricate di trasportare i fanghi di depurazione nei silos, e poi nelle campagne scelte per l’occultamento dei rifiuti che nessuno aveva voluto. Tra questi, i fusti di materiale non identificato di cui si parla in una delle telefonate intercettate. Bidoni, forse provenienti dall’estero, che potrebbero essere sepolti nella zona di Mercato San Severino, dove ieri i carabinieri li stavano ancora cercando. L’indagine individua quattro direttrici lungo le quali avveniva l’attività di smaltimento illegale. La prima riguarda le province di Napoli e di Caserta, dove tutto ruota attorno alla società Naturambiente e all’impianto di depurazione Espeko di Cuma, dove illegalmente finivano i rifiuti delle navi ormeggiate del porto di Napoli, di lidi balneari, degli ospedali. La seconda direttrice riguarda la provincia di Salerno, e passa attraverso la Sorieco di Mercato San Severino: lì avveniva la trasformazione «miracolosa» dei fanghi dei quattro depuratori in compost. La società era stata sequestrata lo scorso anno, nelle more subentra la Frama di Ceppaloni: quella della provincia di Benevento è la terza direttrice. La società rileva e smaltisce (nei terreni e nei fiumi) i rifiuti della «cugina» Sorieco. La quarta direttrice arriva fino alla provincia di Foggia, estensione dei territori inquinati sempre da Sorieco e Frama.
r.cap.


COINVOLTI CONTADINI E IMPRENDITORI

Sono 38 gli arrestati nel blitz di ieri mattina: imprenditori, autotrasportatori, agricoltori che si sono prestati a sotterrare nei loro fondi, in cambio di denaro, rifiuti tossici spacciato per fertilizzante. Ecco i nomi: Gaetano Ferrentino, 42 anni, di Roccapiemonte; Giulio Ruggiero, 46 anni, di Angri; Felice Maria D’Alessio, 50 anni, di Battipaglia; Domenico Ferrentino, 46 anni, di Roccapiemonte; Michele Staiano, 36 anni, di Scafati; Carmine Calvanese, 41 anni, di Salerno; Romualdo Guarracino, 44 anni, di Albanella; Vito Carrano, 28 anni, di Eboli; Rosario Pinto, 47 anni, di Capaccio; Giovanni Pomposelli, 40 anni, di Capaccio; Franco Lettieri, 51 anni, di Buccino; Pellegrino Cerino, 23 anni, di Battipaglia; Biagio Di Gruccio, 26 anni, di Teggiano; Angelo Di Candia, 66 anni, di Teggiano; Achille Petito, 45 anni, di Lucera; Carmine D’Addona, 48 anni, di Lucera; Antonio Piserchia, 58 anni, di Santomenna; Antonio Agizza, 47 anni, di Napoli; Giuseppe Adamo, 47 anni, di Napoli; Giacobbe Scotto di Carlo, 30 anni, di Monte di Procida; Alfonso Santoro, 51 anni, di Napoli; Giuliano Castiglia, 34 anni, di Quarto; Giustino Tranfa, 40 anni, di Ceppaloni; Amabile Pancione, 28 anni, di Benevento; Gennaro Commodo, 44 anni, di Villaricca; Giuseppe Ucciero, 38 anni, di Castelvolturno; Ludovico Ucciero, 61 anni, di Villa Literno; Mark Joseph Bongiovanni, 29 anni, di Castelvolturno; Ferdinando Mattioli, 49 anni, di Ceppaloni; Antonio Esposito, 57 anni, di Quarto; Giovanni Marandino, 29 anni, di Capaccio; Raffaele Pianese, 65 anni, di Giugliano; Angelo Caravecchio, 41 anni, di San Giorgio a Cremano; Vincenzo De Vizia, 69 anni, di Montefusco; Pietro Vario, 38 anni, di Montefusco.


IL MATTINO 5 LUGLIO 2007

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