L’episodio più eclatante risale a un paio di settimane fa, con l’uccisione di Andrea Puzone e del figlio Salvatore. Uccisi perché di ostacolo alle mire espansionistiche, attraverso fiumi di droga, dei clan di Secondigliano. Per i fratelli Moccia – Angelo, Luigi, Antonio e Vincenzo – è uno schiaffo in pieno volto. Una nuova faida si profila all’orizzonte. Al centro i Moccia; tutt’intorno il magma dei cosiddetti «spagnoli», gli scissionisti del clan di Paolo Di Lauro. Ma non mancano le epurazioni interne o le punizioni: ieri Nicola Fusco, ferito nella sala giochi. Vendeva droga, ma non doveva. Sempre la droga: da un lato il divieto di vendita imposto dai Moccia; dall’altro i tentativi degli scissionisti di conquistare di piazze vergini, dove il commercio di eroina e affini non ha raggiunto le dimensioni di Secondigliano, Scampia. Afragola, Arzano, Caivano sono piazze infruttuose per questo mercato. Le difficoltà di penetrazione di pusher e corrieri sono dovute al perentorio divieto di vendita di droga imposto dai fratelli Moccia. Nelle zone sotto la loro influenza – e non sono certo poche – vige il divieto più assoluto di vendere droga, foss’anche un mezzo grammo di marijuana. Non sono leggende metropolitane. Il riscontro è nei tanti tossicodipendenti di Afragola, fermati in trasferta dalle forze dell’ordine, tra Scampia, Secondigliano, Rione Traiano. Interrogati, rispondono: «I fratelli di Angioletto (Moccia), hanno vietato di “fare” la droga». E aggiungono che chi non rispetta il divieto dopo un avvertimento può fare anche una brutta fine. La strategia dei Moccia è semplice: a fronte dei facili guadagni garantiti da eroina e cocaina, c’è l’eccessiva attenzione delle forze dell’ordine da tenere a bada. Loro vogliono tranquillità, la droga porta “morte e sbirri”. Il clan, certamente tra i più potenti se non il più potente dell’area metropolitana settentrionale, questo non se lo può permettere: gli interessi in campo valgono milioni di euro. Via la vecchia camorra sanguinaria e chiassosa per lasciar posto agli imprenditori del crimine organizzato, collettori di danaro da riciclare in attività pulite. Insomma la camorra dei colletti bianchi. Questo grazie all’inserimento della terza generazione, quella nata e cresciuta con meno colpi di mitra e più personal computer, in grado di effettuare transazioni transcontinentali di danaro con pochi click di mouse e tenere sotto controllo anche le Borse di mezzo mondo. Utilizzando i provventi di appalti pubblici e compartecipazioni in multinazionale, riuscendo a infiltrare i comuni, primo fra tutti quello di Afragola, sciolto per infiltrazioni di camorra, per ottenere norme ad hoc. Il motore di una tale metamorfosi è Luigi Moccia. Modi gentili e buone maniere, mai fuori posto nei gesti, nasconde però una mente fredda e calcolatrice. Non alza mai la voce, ma i suoi silenzi fanno tremare le vene a chi gli sta di fronte. Niente a che vedere con i caratteri più esuberanti ed impulsivi dei fratelli. Forti di alleanze con altri clan della regione, i casalesi primi fra tutti, i fratelli Moccia hanno messo le mani sulla grande distribuzione alimentare e hanno grossi interessi in quello del latte e dei suoi derivati, grazie a sconti elargiti ai rappresentanti che, a loro volta, li hanno praticati a grossisti e dettaglianti, come accertato nelle pagine dell’inchiesta che parte da Parma, sulle vicende della Parmalat di Tanzi. L’altro pilastro forte della famiglia è Anna Mazza, la vedova Moccia, che ha cresciuto i figli votandoli alla vendetta per l’uccisione del padre, nella famosa faida con i Giugliano; lei è ritornata alla ribalta proprio l’altro giorno in seguito a una denuncia dell’assessore comunale di Napoli Giuseppe Gambale: «La vedova Moccia riscuote ancora il fitto dei beni confiscati», ha dichiarato.
maurizio cerino – il mattino 16 marzo 2007
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