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TRA VIOLENZA, KITSCH
E DEGRADO, ECCO L’INUMANA PROVINCIA DA «DAY AFTER»

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«Quest’anno sono poche». Poche cosa, signora? «Le mele annurche». Ha i capelli bianchi, un camice a fiorellini blu, un accento strano. Alle sue spalle un fazzoletto di terra, circondato da palazzine anonime. Di lato la strada che porta a Sant’Antimo, più dietro le colonne di Giugliano, che appartengono a Melito, ora ridotte a spartitraffico. Lei indica le porchie, gli enormi rettangoli di paglia dove le mele sono stese a maturare. «Sono poche, quest’anno». Le più grandi, le super-fioroni, nome ministeriale, sono confezionate in cassette. Di fronte, un altro contadino vende meloni verdi e gialli. Un cartello informa che c’è vino rosso e bianco e persino uova da bere. Ma è tutto incongruo, fuori posto. È una reliquia, il segno di una resistenza, di un accanimento di fronte all’interminabile day after che ha sconvolto luoghi e coscienze. La provincia avvelenata e violentata, rapinata e consumata, dove anche a mezzogiorno, riportati i figli a casa da scuola, scatta il coprifuoco. Dove la notte è notte, mai bianca, sempre nera.



A nord di Napoli, tra il mare di Varcaturo e Licola e le campagne di Afragola, Aversa e Acerra, solo case su case, catrame e cemento per ammalarsi della sindrome del ragazzo della via Gluck. Dormitori per profughi napoletani, lontano da tutto, vicino al niente, a due passi dall’Asse Mediano o dalla Circumvallazione Esterna, vie di fuga, più che porte d’ingresso, due ferite in questo enorme ventre, che tutto brucia e nulla ricicla. Si compra negli ipermercati, si consuma nel chiuso dei trilocali, si espelle e si raccoglie nelle discariche legali e abusive, o dove capita, in mezzo alle strade, tra i frutteti. Non sai mai dove sei, non c’è TomTom che tenga, anche i cartelli, quando ci sono, t’ingannano. Ci si accorge di essere passati da un Comune all’altro, da un Casandrino a un Grumo Nevano, perché all’improvviso s’incontra una nuova via Ugo Foscolo. Ma come non c’eravamo già passati? No, era un altro paese, uguale, martirizzato da geometri e assessori, da usi e abusi, da Suv (ma quanti Suv) parcheggiati a metà sui marciapiedi, percorso da motociclisti, per lo più ragazzini senza casco, a due e a tre, che neanche l’asfalto ancora intriso di pioggia dissuade da acrobazie e sgommate. La sicurezza qui è una merce rara. La legalità e roba farci un convegno proprio domani, proprio a Sant’Antimo, con il giudice Franco Roberti e don Luigi Merola. Parole, parole, parole. Ne parleranno in Municipio, dove da tempo c’è una bella scritta «Poliziotto nemico n. 1». Parole come piombo. Che altro si può aggiungere? C’è anche un bar che si chiama Eiffel e se non l’avete capito si presenta con una torre di ferro alta un paio di piani. Siete avvertiti, qui nella periferia travestita, in questa no man’s land, troverete di tutto.
Lungo la Circumvallazione ci sono sexy shop e un numero infinito di statue di Padre Pio (una anche in mezzo allo spartitraffico). Bar, caffè e risto-pub dai nomi più inquietanti: «Salutame ’a soreta», taverna allegra. Avete letto bene, anche se vi sembra di essere entrati in un sogno tossico di Wim Wenders. Concessionari su concessionari, auto su auto, offerta speciale, occasione imperdibile, usato sicuro. Sacro e profano, si mescolano e si contaminano. Non c’è confine tra i Comuni, non c’è un limite nel consumismo. Ponte Riccio è una frazione di Giugliano, tra Patria e Qualiano. E chi ci vive si sente abbandonato a se stesso. Alberghi e prostitute africane che aspettavano sotto la pioggia accanto a cumuli di monnezza antica, archeologica, da tutelare come bene storico. Più avanti ci sono finte giraffe a grandezza naturale a fare da ingresso a un piccolo parco giochi. Le puttane di colore sono appostate ventiquattro su ventiquattro. È sempre l’ora del sesso, come per i Pavesini. Piaceri a prezzi da discount per ragazzotti di primo pelo e contadini che s’infrattano con i trattori nei pescheti spogli. Si svolta per la Centrale Elettrica e le povere ragazze, sottratte ai tristi tropici, sono lì ad aspettare. Qui loro, dall’altra parte del doppio senso (doppio, davvero doppio) c’è la chiesa della Stella Maris. Sotto la pioggia sembra una missione sudamericana, come in un sertao di Guimaraes Rosa, in un angolo c’è una riproduzione in miniatura della basilica di San Pietro. Ma se chiudete gli occhi di fronte a questa girandola elettrica e veloce, quando li riaprite potete credere di essere a Luanda o a Dakar, a Mogadiscio o ad Accra, vedendo passeggiare tra pozzanghere e pickup sfumeggianti un nero dal passo elegante e rassegnato che trasporta una busta piena di benzina. La nostra Africa travestita dalla nostra America. Si compra come in California, si rispetta l’ambiente come in una bidonville di Lagos. L’esotico qui non è neanche più simulacro. È carne in vendita, sono braccia sfruttate dall’agricoltura, dall’abusivismo edilizio, dalla criminalità. Prima di scappare, guardate. Certe contiguità spiegano più di un trattato di sociologia. Alla rotonda di Qualiano, territorio di Giugliano, si concentrano passato, presente e futuro di una terra dove la criminalità predatoria produce Scarface in sedicesimo, pericolosi perché uccidono per incoscienza e per desiderio. Vogliono tutto e subito. E sanno dove prenderlo, nelle case o nelle tasche degli altri, tabaccai, pensionate e proprietarie di minimarket.
Qui, ’ncoppo San Francisco, c’è lo sterminato Centro Commerciale dove quanto vedete in tv acquista forma, profondità e prezzo. Più su, verso Parete (che è ormai provincia di Caserta), oltre il mercato ortofrutticolo, ci sono la grande discarica dei Tre Ponti e la piattaforma per ecoballe di Taverna del Re, vasta un quattro milioni e mezzo di metri quadri, quanto il lago Patria. Ieri la pioggia ha impregnato tutto, facendo scorrere l’appestante percolato in rivoli di chimica lebbra. In poche centinaia di metri è raccolto il ciclo infernale della merce. Qui la compri e più avanti la butti. E per procurartela, se i soldi non ce l’hai, che fai? Spari, spacchi la testa, accechi. E quello che non puoi comprare, con lo scontrino, sai dove si trova. Il pusher non si nasconde. O ancora più a Est, dove, in un inferno di strade zellose e sconnesse, dove non sai più se è Asse Mediano, Circumvallazione o già bretella dell’autostrada, qui ci sono altri ipermercati. C’è l’Ikea, una Svezia incistata e spaesata tra un cimitero e un campo nomadi. È il brutto, la devastazione che serve a far risaltare, come in un mito malcompreso di Platone, il bello, l’ideale, il puro, il cellophano, quello che, dopo aver parcheggiato con un manovra che tradisce il sogno di essere a Uppsala, si mette nel carrello l’utile e il superfluo e lo si porta via, nella propria tana alla Simpson, in una Springfield che non ha bisogno della centrale nucleare di Burns per essere la cloaca che vediamo. Dove tutti sono accerchiati. E se gridano apriti sesamo, è solo per uscire. Scappare.


PIETRO TRECCAGNOLI – IL MATTINO 11 OTTOBRE 2007

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