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Le auto bloccate a sassate stop alla banda delle rapine volanti

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Cinque persone in manette, due latitanti, tra cui un 17enne: è la banda dell’operazione «Stone», sasso, come quello che lanciavano contro le auto per simulare un incidente e poi assalire e derubare l’automobilista di turno. È lapidario Pasquale Luongo, 35 anni, «Masaniello» per i compagni di rapine: «Commissa’ mi avete incastrato». E in effetti nelle pagine del provvedimento emesso da gip Eduardo Di Gregorio, su richiesta del pm Francesco Valentini, Luongo è inquadrato come il capo di una banda di almeno sette persone specializzate in rapine agli automobilisti con la tecnica del lancio del sasso per simulare un incidente. Quasi tre anni di indagini della sezione di polizia giudiziaria della stradale, coordinata dal vicequestore Maria Consiglia Iodice e dal sostituto commissario Giuseppe Massaro. Un arco di tempo di un anno, dal 2004 al 2005 durante il quale sono stati messi a segno non meno di 100 colpi, sull’asse mediano, la A16 e la circumvallazione esterna. Finanche a un grosso automezzo delle poste, alla fine di dicembre 2004: l’autista fu abbandonato seminudo. Sasso contro vettura: il rumore provocato era tale che il guidatore, sollecitato da due banditi nel ruolo di danneggiati, era costretto a fermarsi. E subito dopo piombava il resto della banda, capeggiata da Luongo e composta da Vincenzo Palma, 24 anni, il cui soprannome, «Vincenzo il pazzo», la dice lunga sui suoi modi di agire; il fratello Pasquale 26 anni; Gaetano Rosica, 24enne, meglio conosciuto come «il pesce» e Carmine Ferone, 42enne. Gli ultimi due, agli arresti domiciliari, erano quelli che prendevano l’immediato contatto con le vittime. Tutti sono residenti a Melito, al corso Europa 383: casa e base operativa per i colpi. All’appello mancano due persone, uno dei quali minorenne. Sono accusati di associazione per delinquere per rapine e sequestro di persona con la scorreria in armi. Dopo l’assalto ai malcapitati, depredati di danaro bagagli e ovviamente della vettura, iniziava la fase due dell’operazione: o si ricontattava il derubato e, con la tecnica del «cavallo di ritorno» estorcevano danaro in cambio della restituzione del veicolo, o l’auto veniva contraffatta e reimmessa sul mercato dell’usato. Il bottino del camion postale – consistente in titoli e denaro – è stato tutto reinserito nel circuito creditizio-bancario.


MAURIZIO CERINO – IL MATTINO 17 OTTOBRE 2007

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