Arriva un nuovo dossier pubblicato da Caritas Campania, che fotografa una realtà dir poco critica: un quadro a tinte fosche, che rileva come circa il 43% della popolazione dei campani si trovi a vivere in uno stato di forte vulnerabilità, ossia esposta a gravi rischi di povertà, di esclusione sociale e di una tragica fragilità economica. A giudicare i dati complessivi resi disponibili, del resto, emerge evidentemente che una sostanziale fetta di famiglie non sia nelle condizioni di sostenere una vita stabile e dignitosa a causa del reddito eccessivamente basso. Insomma, dati che esplodono nella loro tragicità anche a livello sanitario: sempre secondo il rapporto, vi sarebbe un 13% di campani che avrebbe dichiarato di aver ormai rinunciato a qualsiasi tipo di cura. E le ragioni si ricollegano principalmente a motivi economici e ad oggettive difficoltà di accesso.
Il profondo gap tra la Campania e il resto d’Italia
Numeri emblematici, che invitano la collettività e le istituzioni ad una riflessione più ampia e profonda: non si può più voltare lo sguardo, infatti, anche davanti alla speranza di vita media in Campania, inferiore rispetto alla media nazionale di circa 2 anni. Un gap incredibile, che racconta con la forza dei numeri della complessità di un territorio dominato dalla povertà, dalla disuguaglianze e da servizi terribilmente inefficienti, determinando conseguenze negative sulla vita quotidiana delle persone, e in particolar modo sulla loro salute e sulle loro prospettive.
Del resto, non si può non sottolineare come la causa principale delle difficoltà siano proprio i redditi bassi, un lavoro instabile e salari tragicamente insufficienti. Sono numerose, infatti, le famiglie a non riuscire ad affrontare le spese che la vita di tutti i giorni impone: alimentazione, affitto, utenze, ma anche cure mediche – impossibili da sostenere con un reddito insufficiente. Una situazione di profondo malessere e disagio sociale, che giustifica ormai la rassegnazione e la totale sfiducia nei confronti del futuro delle persone comuni.
Quando la povertà intreccia la sanità
Poi, ad aggravare ancora di più la situazione ci sono le lunghe liste d’attesa, le carenze delle strutture ospedaliere e, in generale, la grave inadeguatezza dei servizi territoriali che si riversano anche sul fronte della sanità: guarire da una malattia, dunque, rischia di diventare un vero e proprio “lusso”. Dunque, l’unica strada che si apre davanti a coloro che contano su redditi eccessivamente bassi è rinunciare alle cure. Oppure, al limite, rivolgersi ad altre strutture private – sempre se può concretamente permetterselo.
La fragilità delle aree interne
Tuttavia, è opportuno evidenziare come non si tratti di un fenomeno complessivamente omogeneo sull’intero territorio regionale. Nelle aree interne – che sono spesso quelle più fragili, alla luce delle gravi lacune dei servizi, dei trasporti e delle infrastrutture – le famiglie sono spesso sole, e godono di scarsissime opportunità di accesso a supporti sociali o sanitari. Il risultato? Un sostanziale acutizzarsi dello stato di vulnerabilità di tali soggetti, oltre ad una negazione assoluta dei diritti essenziali minimi. Povertà, rinuncia alle cure, peggioramento della salute, riduzione della capacità di lavorare o sostenersi, maggiore fragilità: un circolo vizioso, destinato ad autoalimentarsi senza cessare mai, mietendo sempre più vittime.
Le categorie più vulnerabili secondo il dossier
Nel dettaglio, le categorie più vulnerabili definite dal dossier Caritas Campania sono costituite proprio dalle famiglie con un basso reddito, un lavoro precario o un’assenza di reddito stabile; anziani o persone con patologie croniche, per le quali la salute dipende da farmaci e cure continue; nuclei familiari numerosi o con figli minori e abitanti delle zone interne o periferiche, dove i servizi sanitari e sociali sono più deboli.
Necessario individuare una luce in fondo al tunnel
Insomma, un dossier che punta i riflettori su un meccanismo di fronte al quale non si possono chiudere gli occhi, restando indifferenti. Ma, allo stesso modo, il report non si pone soltanto in termini di denuncia del fenomeno, ma mira anche a proporre, a innovare e, nel complesso, ad aprire la strada verso un nuovo futuro, senza mai cessare di cercare una luce in fondo al tunnel. Innanzitutto, si rivela necessario qualunque tipo di intervento strutturale e concreto, volto a fronteggiare questa emergenza.
In primis, indispensabile sarebbe un sostegno al reddito per le famiglie più fragili – con l’obiettivo di garantire una copertura delle necessità primarie; un sostanziale potenziamento dei servizi sanitari pubblici, dalla maggiore accessibilità, caratterizzato dalla riduzione delle liste d’attesa, rafforzamento dell’assistenza territoriale; attenzioni alle fasce vulnerabili: aiuti per anziani, o per tutte le persone con malattie croniche, minori, famiglie numerose; e, infine, cruciale si rivelerebbe qualsiasi politica sociale integrata finalizzata a superare la frammentazione e assicurare i diritti universali, sanciti anche all’interno della Costituzione.
Una questione di giustizia sociale
Insomma, si trattano di dati che definiscono una realtà amara, che mette in risalto come la povertà – storica piaga che affligge da tempi immemori la regione – non è per nulla un dato residuale, isolato, ma una condizione socio-economica che investe una consistente fetta della popolazione. Del resto, i nodi vengono ancora più al pettine quando la povertà incrocia la salute, innescando conseguenze decisive, quasi irreversibili.
Dunque, è evidente come delle simili statistiche richiamano l’attenzione dell’opinione pubblica su una questione di giustizia sociale: cancellare 2 anni dalla vita media di una persona, per cause che non dipendono da delle proprie scelte individuali, ma da disparità sistemiche, è un fenomeno che non può non suscitare una radicale indignazione a livello collettivo. Del resto, come recita lo stesso testo del dossier, “la povertà non si affronta solo con gli aiuti materiali, ma attraverso relazioni che restituiscono dignità, percorsi di accompagnamento e comunità capaci di farsi casa per chi è rimasto solo“.


