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Da vittima a carnefice, cosa insegna la storia di Lucia Salemme: come evitare altre tragedie

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Nella notte tra il 3 e il 4 settembre, nel cuore di Forcella, un quartiere come tanti che oggi si presta a cartoline social e storytelling turistico, è accaduto qualcosa che rompe quella patina di nostalgia polverosa e vita lenta: Lucia Salemme, 58 anni, ha aggredito e ucciso il marito. Secondo le prime ricostruzioni, lo avrebbe fatto per difendersi.

La sua storia non è quella di un “mostro”, come qualcuno frettolosamente l’ha definita, ma di una donna intrappolata in un sistema malato, in cui la violenza non è un episodio isolato, ma una condizione quotidiana che logora lentamente fino a esplodere.

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Chi è Lucia Salemme?

Lucia è una delle tante donne che vivono in un contesto difficile, tra precarietà economica, violenza domestica e assenza di reti di sostegno reali. Abita a Forcella, quartiere che da un lato alimenta la narrazione turistica della Napoli pittoresca, dall’altro continua a mostrare le ferite di decenni di abbandono sociale.

A suo dire non ha mai denunciato le violenze subite. Non per mancanza di coraggio, ma perché in determinati contesti la “denuncia” ha il sapore del tradimento. Denunciare significa mettersi contro un sistema patriarcale e criminale che plasma le relazioni e le regole sociali.

Il problema dei luoghi e delle condizioni sociali

Le cronache ci restituiscono ogni giorno storie simili. Ma raramente si punta lo sguardo su ciò che c’è dietro, i luoghi e le condizioni in cui queste storie maturano e si alimentano.

Molti quartieri popolari, pur essendo al centro dei flussi turistici, restano lontani dai centri antiviolenza. Le poche strutture presenti sono spesso autosostenute e non riescono a garantire copertura e supporto reale a tutte le donne che ne avrebbero bisogno.

A questo si aggiunge la crisi economica. Donne senza istruzione, senza accesso a un lavoro stabile, costrette a sopravvivere con piccoli impieghi precari e sottopagati, finiscono per interiorizzare la violenza come normalità.

Una giustizia che spesso appare distante

Oggi per Lucia Salemme è scattato l’arresto per omicidio volontario ed è stata condotta al carcere di Secondigliano. Gli inquirenti stanno valutando se si sia trattato di legittima difesa.

Ma al di là della ricostruzione giudiziaria, il problema resta alla fonte. Quante violenze ha subito negli anni? Quante volte quella violenza, sedimentata nel silenzio, è stata taciuta perché considerata “parte della vita”? Della sua vita.

La giustizia, in un contesto così, diventa un linguaggio incomprensibile. È lontana, astratta, incapace di dialogare con chi è cresciuto in un sistema patriarcale e criminale che insegna a subire piuttosto che a ribellarsi.

Accendere il faro sulla violenza sistemica

La violenza non si manifesta solo nell’atto estremo, ma si nutre di giorni, mesi, anni di soprusi, di parole, di gesti, di silenzi. Diventa modus operandi, passa dalla rassegnazione alla normalità.

Questa vicenda non deve essere letta solo come un fatto di cronaca nera, ma come l’ennesima dimostrazione di quanto le istituzioni siano assenti in certi luoghi. Servono centri antiviolenza realmente accessibili, educazione sociale, lavoro dignitoso, reti di sostegno.

Perché dietro il nome di Lucia Salemme non c’è solo una donna arrestata per omicidio: c’è un pezzo d’Italia che continua a vivere in una gabbia invisibile fatta di silenzio, paura e mancanza di alternative reali e concrete.

Non siete sole: a chi rivolgersi

Quella di Lucia Salemme non deve restare una storia isolata raccontata solo nei titoli di cronaca. È il segnale di quanto sia urgente abbattere il silenzio e costruire reti di protezione vere.

Alle donne che vivono situazioni simili va detto con forza: non siete sole. Parlare è il primo passo, anche solo con un’amica, una sorella, una vicina. Condividere ciò che si subisce può aprire la strada alla consapevolezza che esistono alternative, che la violenza non è mai una condanna né una colpa.

In Italia ci sono centri antiviolenza che ogni giorno offrono ascolto, accoglienza, supporto psicologico e legale. Alcuni riferimenti utili:

  • Numero nazionale antiviolenza e stalking 1522 (gratuito e attivo 24 ore su 24).
  • Centro Dafne – Napoli (Ospedale Cardarelli, Tel. 081 747 7200).
  • Centro EVA – Ercolano (Tel. 081 739 17 71).
  • Centro antiviolenza “Casa Fiorinda” – Napoli (Tel. 081 795 44 44).
  • Associazione “Telefono Rosa” (Tel. 06 37 51 82 82).

Rompere il silenzio è difficile, ma è possibile. E soprattutto è un atto di coraggio che può salvare la vita, propria e di chi ci sta accanto.

Che questa vicenda diventi allora un monito. La violenza non è mai destino, e il cambiamento può nascere anche da una parola detta nel posto giusto, al momento giusto

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