Un vero e proprio “diplomificio” è quello che, secondo gli inquirenti, ruotava attorno all’Istituto Marconi di Bologna. Il meccanismo era semplice: pagare una retta di circa seimila euro l’anno, di cui tremila destinati a garantire l’accesso all’esame di maturità. Una parte di questa quota, circa mille euro, finiva ai cosiddetti broker bolognesi, mentre il resto veniva spartito tra due scuole paritarie – una a Fermo, nelle Marche, e l’altra a Saviano, nel Napoletano – presso cui gli studenti risultavano formalmente iscritti.
In realtà, di frequenza scolastica ce n’era ben poca. I ragazzi si limitavano a sporadiche trasferte, concentrate in pochi giorni, durante le quali sostenevano interrogazioni e compiti in classe “fittizi”, senza date, così che i coordinatori potessero poi inserirli a registro come se fossero distribuiti nel corso dell’anno. Con la stessa logica veniva prodotta la documentazione necessaria per l’ammissione agli esami di Stato, che così apparivano perfettamente regolari.
Il sistema, ricostruito dalla Guardia di Finanza di Bologna, ha portato a perquisizioni e sequestri per un valore complessivo di 90mila euro. Dieci le persone indagate, accusate di associazione a delinquere, falso ideologico e materiale, oltre che corruzione. Per otto di loro la Procura ha chiesto l’interdizione dai pubblici uffici: compariranno nei prossimi giorni davanti al gip Salvatore Romito.
L’indagine affonda le radici in un’inchiesta precedente che aveva riguardato un altro istituto privato del capoluogo emiliano, la “Leonardo da Vinci School”, legato a sua volta al Polo scolastico Giovanni Paolo II di Fermo, già commissariato. Proprio da lì i finanzieri sono arrivati a indagare sul Marconi, gestito dalla società “Forma mentis”, riconducibile a un imprenditore bolognese di 37 anni. Con lui risultano coinvolti il fratello, rappresentante legale della Eduservizi Srl – che avrebbe fornito false attestazioni per le ore di Pcto mai svolte – e la zia, che accompagnava gli studenti nelle brevi trasferte fuori regione. Nella rete d’indagine anche i coordinatori didattici delle tre scuole coinvolte e gli amministratori degli istituti paritari.
In soli sei mesi gli investigatori hanno documentato un meccanismo collaudato: rette elevate, quote “esame” spartite tra istituti, studenti del Bolognese convinti di affrontare la maturità da esterni ma in realtà inseriti fittiziamente nelle paritarie con domicili falsi per rendere plausibile la frequenza. Una delle testimonianze più significative è quella di una studentessa che ha dichiarato di aver messo piede a scuola appena due giorni al mese, mentre sul registro risultava con soli sei giorni di assenza in tutto l’anno.
Il gip Romito ha disposto il sequestro preventivo delle società legate agli istituti di Bologna e di Saviano, oltre ai profitti dell’attività illecita. Non si esclude che le irregolarità possano avere conseguenze anche sulla validità degli esami sostenuti dagli studenti coinvolti.