Antonio Ciccarelli riusciva a telefonare ai suoi parenti nonostante fosse detenuto nel carcere di Livorno. La Dda di Napoli ha analizzato una conversazione, captata nel marzo del 2025, tra il boss ‘a Munnezza e il fratello Domenico (non indagato). Il capoclan di Caivano aveva bisogno di soldi per pagare le spese legali per poter ricorrere in Cassazione in seguito alla condanna all’ergastolo per gli omicidi Emilio Solimene e Gennaro Amaro. Il confronto telefonico tra i parenti sarebbe servito per la questione della ‘macchinina’, cioè per la riscossione di un’estorsione della quale si sarebbe dovuto occupare il nipote Ciro.
Gli ordini dal carcere del boss Ciccarelli
Antonio Ciccarelli è accusato di essere stato il capoclan della mala caivanese dal gennaio 2012 sino al dicembre 2014, data del suo arresto, e anche successivamente, dando direttive dal carcere agli affiliati almeno sino al settembre 2022. In quest’ultima indagine sono emersi anche i suoi contatti con il fratello Domenico e il nipote Ciro almeno fino al giugno 2025.
Ai parenti avrebbe dato indicazioni sulle attività estorsive da compiere e sul pizzo da riscuotere dalle vittime. Una parte dei soldi gli veniva consegnata in carcere per il mantenimento e per le spese legali. Il capoclan ‘a Munnezza avrebbe consigliato il fratello sulle strategie criminali e, talvolta, avrebbe avvisato i parenti dei rischi delle possibili ritorsioni da parte di affiliati a gruppi criminali rivali.
La catena del comando del clan Ciccarelli
La catena del comando è stata scoperta dai carabinieri di Castello di Cisterna e dalla Dda di Napoli. Il gip di Napoli ha emesso un’ordinanza per i reati di associazione mafiosa finalizzata al traffico di droga contro il capoclan del Parco Verde. Gli stessi reati vengono ipotizzati dagli inquirenti anche a Giovanni Ciccarelli, 54enne fratello di Antonio; Ciro Ciccarelli, 31enne nipote del boss nonchè agli affiliati Ciro Di Pierno, detto “Ciro o’ bit”, e Gennaro De Marco.

