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Gaza, Israele e Hamas firmano l’accordo per la tregua ma la strada per la pace è ancora lontana

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La guerra a Gaza sembra non avere fine. Dopo quasi due anni di bombardamenti, assedi e migliaia di vittime civili, Israele e Hamas hanno annunciato un accordo di cessate il fuoco. È una tregua fragile, frutto delle varie mediazioni di Stati Uniti, Qatar ed Egitto, che però mostra già tutte le sue contraddizioni. Mentre si parlava di tregua, nuove bombe israeliane cadevano sulla Striscia, segno che la pace resta un miraggio lontano.

Cosa significa cessate il fuoco

Un cessate il fuoco non è la pace, ma una pausa dalle armi. In teoria, entrambe le parti dovrebbero interrompere bombardamenti, raid e attacchi. Lo scopo è quello di permettere lo scambio di ostaggi e prigionieri, di aprire corridoi per gli aiuti umanitari e di concedere un minimo di respiro ai civili, ormai stremati. Non stabilisce chi governerà Gaza, non risolve le cause profonde della guerra e non garantisce sicurezza o diritti nel lungo periodo. È un passaggio intermedio, fragile e reversibile, che può interrompersi da un momento all’altro.

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Cosa prevede l’accordo

Il testo è stato definito “prima fase” proprio perché non chiude il conflitto ma apre un percorso graduale. In questa fase è previsto lo stop ai combattimenti, il rilascio di almeno venti ostaggi israeliani da parte di Hamas e la liberazione di circa millesettecento prigionieri palestinesi da parte di Israele. L’esercito Israeliano dovrebbe inoltre ritirarsi da alcune aree della Striscia, non in modo totale ma parziale, così da permettere alla popolazione civile di muoversi e consentire agli aiuti di entrare più facilmente. Sono annunciati convogli di camion con cibo, acqua, carburante e medicine, fondamentali per una popolazione ormai allo stremo.

Perché non basta un accordo a fare la pace

Molti si chiedono se questa tregua significhi davvero la pace. La risposta è no. Negli ultimi quindici anni cessate il fuoco simili sono stati firmati più volte e quasi sempre interrotti nel giro di pochi giorni o addirittura poche ore. La sfiducia tra le parti è enorme. Israele ha già dichiarato di riservarsi la possibilità di colpire obiettivi militari anche durante la tregua. In queste condizioni, parlare di pace è prematuro. Un accordo di cessate il fuoco è importante perché salva vite nel breve termine, ma la vera pace richiede negoziati politici, garanzie internazionali e la costruzione di fiducia reciproca.

La vita quotidiana a Gaza

Al di là delle trattative diplomatiche, a Gaza ci sono milioni di persone che vivono ogni giorno sotto assedio. Il 95% per cento della popolazione non ha accesso regolare ad acqua sicura e molte famiglie sono costrette a bere acqua salata o contaminata. Circa il 70% delle abitazioni è stato distrutto o gravemente danneggiato e centinaia di migliaia di persone vivono in rifugi improvvisati o in edifici pubblici sovraffollati. Gli ospedali, quei pochi rimasti e diroccati, funzionano a intermittenza per mancanza di elettricità e medicine, e curare anche una semplice infezione diventa un’impresa. Per queste persone, l’accordo non è un documento politico lontano, ma la possibilità concreta di ricevere pane, acqua, cure mediche e forse tornare a vivere con un minimo di dignità.

Le sfide ancora aperte

L’accordo firmato rappresenta quindi un punto di partenza. Restano irrisolti nodi fondamentali su chi governerà Gaza e quale futuro politico avranno i palestinesi senza una prospettiva chiara di Stato indipendente. Sono domande che pesano da anni e che nessuna tregua temporanea può sciogliere.

Perché ci riguarda da vicino

Il conflitto a Gaza non è lontano come sembra. Le sue conseguenze si fanno sentire anche in Europa e in Italia. Ogni crisi nella regione influenza i rapporti tra Israele, i paesi arabi e l’Unione Europea, pesa sui flussi migratori e alimenta tensioni politiche e religiose nelle nostre città. Ma non è solo una questione geopolitica, Gaza è parte dello stesso Mediterraneo in cui viviamo. Da Gaza a Napoli ci sono poche centinaia di chilometri, non un oceano. Quando leggiamo che i bambini di Gaza non hanno accesso ad acqua potabile, dovremmo immaginarli come i nostri. La loro vita non è meno preziosa della nostra.

Tregua sì, pace no.

Quello di oggi è un accordo fragile, non è la fine della guerra. Serve a guadagnare tempo, a far entrare aiuti, a salvare vite nell’immediato. Ma finché le bombe continueranno a cadere, parlare di pace resterà prematuro. La pace non si misura con le firme dei leader, ma con la possibilità che un bambino torni a scuola, che una madre possa curare il figlio e che una famiglia non debba fuggire di notte sotto le bombe. Ogni cessate il fuoco è un passo, piccolo ma reale. La pace, quella vera, deve diventare il diritto di ogni persona a vivere senza paura.

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