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L’AI svela nuovi dati sui Campi Flegrei: 54mila terremoti in due anni

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Tra il 2022 e il 2024 nei Campi Flegrei erano stati rilevati circa 12 mila terremoti, ma una nuova analisi condotta con l’aiuto di un algoritmo di intelligenza artificiale ha radicalmente cambiato il quadro.

Utilizzando una rete neurale profonda, i ricercatori hanno riesaminato i dati della rete di monitoraggio sismico e scoperto che gli eventi sismici sono stati in realtà oltre 54mila, più del quadruplo rispetto a quanto inizialmente registrato.

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L’algoritmo e i suoi risultati sono descritti in un articolo pubblicato sull’ultimo numero della rivista Science, e firmato da un gruppo di sismologi dell’Università di Stanford, dell’Osservatorio Vesuviano dell’INGV e dell’Università di Napoli Federico II.

I risultati dell’algoritmo

Greg Beroza, sismologo e co-autore dello studio, è stato il primo a sviluppare una rete neurale profonda per la rilevazione dei terremoti. Il suo sistema, chiamato PhaseNet  creato nel 2019, inizialmente addestrato su 30 anni di dati sismici raccolti in California settentrionale. Una volta testata in altre aree, ha dimostrato un’efficacia sorprendente.

Il punto di forza della rete neurale è la capacità di rilevare anche i terremoti più deboli o sovrapposti, spesso invisibili all’occhio umano.

Per applicare PhaseNet ai Campi Flegrei, però, è stato necessario adattare l’algoritmo con una nuova fase di addestramento, poiché la sismicità dell’area napoletana ha caratteristiche diverse rispetto a quella tettonica della California. Qui, infatti, i terremoti sembrano essere legati all’aumento della pressione nelle rocce superficiali della crosta terrestre, fenomeno che provoca un lento e costante sollevamento della caldera vulcanica.

L’algoritmo ha rivelato una rete di faglie disposte ad anello lungo il bordo della zona in sollevamento della caldera, insieme a due faglie principali, lunghe alcuni chilometri, che convergono sotto il centro di Pozzuoli. Queste strutture si sarebbero attivate a profondità comprese tra 2 e 4 chilometri.

Secondo gli autori dello studio, questi dati rafforzano l’ipotesi che non vi sia stata una risalita di magma dalla camera magmatica profonda (situata a circa 7-8 km), verso la superficie.

Un altro aspetto importante riguarda la lunghezza delle faglie individuate: più una faglia è lunga, maggiore può essere la magnitudo del sisma che è in grado di generare. Le analisi mostrano che le faglie da cui sono partiti i terremoti più forti del 2023 (quelli con magnitudo superiore a 4 ) erano già chiaramente visibili, ben delineate nei dati, anche prima che si verificassero gli eventi sismici.

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