Il Reddito di Cittadinanza non è in alcun modo una politica assistenziale dal momento che non è finalizzato a “soddisfare un bisogno primario dell’individuo“. Dunque come stabilito dalla Corte Costituzionale nella sentenza numero 31, depositata oggi, il Reddito di Cittadinanza indica una misura di politica attiva volta a incentivare l’occupazione.
Si tratta di un provvedimento di carattere temporaneo, soggetto dunque ad obblighi e a condizioni ben precise e rigide che, nel momento in cui vengono infrante, comportano il venir meno della prestazione.
L’appello di 6 stranieri per il Reddito di Cittadinanza
Così è sorto il rinvio pregiudiziale per causa civile tra l’Inps e 6 cittadini stranieri comunitari. I ricorrenti si sono appellati alla sezione lavoro della Corte d’appello di Milano. Al centro del contendere vi sarebbe la possibile discriminazione che deriva dal requisito dei 10 anni di residenza in Italia, secondo quanto previsto dal decreto legge 4 del 28 gennaio 2019, una norma che regola il Rdc. Il giudice si è trovato a dover sollevare la questione di legittimità costituzionale.
Infatti l’art. 2 sarebbe illegittimo: “Nella parte in cui prevedeva che il beneficiario del Reddito di Cittadinanza dovesse essere residente in Italia per almeno 10 anni, anziché prevedere per almeno 5 anni“. Di contro, però, la Consulta giudica, anche alla luce della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea – che non sarebbe “d’ostacolo“, dice la Consulta – come “inammissibili le questioni di legittimità costituzionale“.
Infatti era stato dichiarato discriminatorio nei confronti dei cittadini stranieri dalla Corte di giustizia europea il requisito necessario dei 10 anni di residenza – soprattutto dei cittadini di Paesi terzi – per l’accesso al Rdc. Il contributo mensile poi eliminato dal governo Meloni a partire dal 1 gennaio 2024.