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sabato, Giugno 28, 2025
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Violenza sulle donne, intervista a Patrizia Palumbo: “Il 25 novembre dovrebbe essere 365 giorni l’anno”

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Le pareti azzurre della camera per l’ascolto protetto sono pregne delle storie di violenza di migliaia di donne; tutte quelle che, nel corso di 20 anni, sono state ascoltate al Centro Antiviolenza Dream Team – Donne in Rete di Scampia.

A parlare ai microfoni è la presidentessa Patrizia Palumbo, intervistata in occasione del 25 novembre – Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. “Il 25 novembre dovrebbe essere 365 giorni l’anno“, afferma convinta. “Per noi è una data istituzionale, come l’8 marzo, che ci aiuta a riflettere, una data in cui tirare le somme, fare il punto della situazione e renderci conto dei progressi che abbiamo fatto“.

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Le nostre non sono iniziative episodiche, in occasione solo in questa data. Il nostro impegno è costante e dura 365 giorni, 24 ore su 24. In questo periodo siamo molto presenti nelle scuole, dove teniamo seminari sulla violenza, ma per il 25 abbiamo anche organizzato un flashmob, parteciperemo all’inaugurazione di una panchina rossa al Pascale. Insomma, siamo davvero molto impegnate“.

L’importanza dell’autonomia lavorativa

E’ difficile uscire definitivamente dalla violenza, perché alla fine manca sempre un pezzo per chiudere il cerchio: quel pezzo è l’autonomia lavorativa“. Non lascia spazio ai dubbi Palumbo: il primo passo per rompere il giogo della violenza è quello in senso economico. Una donna che non lavora e che non ha una propria indipendenza economica è, in caso di violenza, impossibilitata a reagire.

Questo perché, innanzitutto non è nella condizione di lasciare il luogo delle violenze, che nella maggior parte dei casi è la casa familiare; spesso, poi, non è in grado di sostenere le eventuali spese legali; ancora più spesso, però, le donne temono di non riuscire a prendersi cura dei figli. Racconta Patrizia: “In passato mi è stato detto moltissime volte: ‘Prendevo gli schiaffi, ma almeno davo da mangiare ai miei figli‘”. E’ proprio per queste motivazioni che, tra i primi punti del programma del Centro Antiviolenza Dream Team, c’è proprio quello dell’orientamento al lavoro.

L’educazione come prevenzione 

Non è facile intervenire, ma io sono assolutamente a favore della prevenzione. Anzi, credo che si debba iniziare il prima possibile, addirittura dalla scuola dell’infanzia. Bisogna educare i ragazzi ai sentimenti, all’affettività, al rispetto”. Il tema dell’educazione, nel senso della prevenzione, è un altro dei leitmotiv di Patrizia Palumbo.

Attorno ai ragazzi ci sono varie comunità educanti: c’è la famiglia, c’è la scuola e, in questo caso, ci sono anche le associazioni. Ognuno deve fare la sua parte. Troppo spesso i ragazzi si trovano a crescere in contesti familiari fortemente patriarcali, in cui mancano determinati valori; oppure contesti familiari violenti: in questo ultimo caso sperimentano la cosiddetta violenza assistita“.

E’ così che, poi, ci ritroviamo di fronte a uomini incapaci di fare un passo indietro e accettare un no; uomini convinti che tutto gli sia dovuto, che tutto gli appartenga: anche una donna. Solo con un’educazione-prevenzione si può sperare di allentare un po’ questo terribile fenomeno“, conclude Patrizia.

Violenza digitale

Solo con una specifica educazione i giovani possono imparare a conoscere la violenza, a intercettarla ed evitarla. Ad esempio, con le classi di una scuola superiore stiamo affrontando – tramite seminari e laboratori – il tema della cyberviolenza: quella più occultata, ma anche quella che più restituisce dati catastrofici“. La presidentessa di Dream Team, inoltre, sottolinea come l’importanza dell’educazione si declini anche in un uso consapevole del web e, in particolare, dei social.

Spesso i ragazzi non lo sanno: a loro il mondo digitale appare del tutto naturale, ma senza accorgersene si ritrovano in una spirale di violenza. Infatti, purtroppo, anche da queste piattaforme sono emersi casi di violenze su alcune ragazze”. Basti pensare che, già a partire dal 2014, 1 donna su 10 viene molestata online dall’età di 15 anni (Istat). Parliamo di abusi che vanno dagli insulti in seguito ad un rifiuto, passando per le minacce di stupro e per il cosiddetto slut-shaming, fino ad arrivare al revenge porn.

“E’ un tipo di violenza particolarmente odioso perché è ancora molto difficile da capire, esplode tutta insieme in maniera incontrollata. In più, un dato allarmante è che il 70-80% delle violenze online è ai danni delle donne. Il discorso, poi, si complica ulteriormente con l’Intelligenza Artificiale e ciò che, ormai, è possibile fare con le immagini“.

Narrazione tossica della violenza

Componente da non sottovalutare della violenza digitale è anche il tipo di narrazione di cui i nuovi media si fanno spesso portatori. “Parliamo della cosiddetta narrazione tossica, che scoppia nel momento in cui si verifica un episodio di violenza. Utenti web – a volte gli stessi giornalisti – esplodono in critiche, giudizi e supposizioni, scatenano una sorta di odio, una seconda forma di violenza: questo fa veramente molto male, perché la bambina, ragazzina o donna che ha subito l’abuso diventa vittima due volte“.

Su questo dovremmo riflettere moltissimospiega Patrizia – perché, spesso, è proprio il timore di subire questo tipo di trattamento che frena le vittime dal denunciare e farsi aiutare, innescando una spirale di silenzio“.

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