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martedì, Giugno 25, 2024
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Omicidio Orsi, l’ultimo sfregio: caroselli di auto per il clan

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Mezzogiorno, via Vaticale. Negozi chiusi – è lunedì, ed è giorno di festa – bar poco affollati, qualche raro capannello all’esterno dei portoni di ferro, aperti. C’è un po’ di traffico, che però non spaventa la cabrio scura che schizza tra le auto ostentando una strombazzata del clacson. Dal tettuccio aperto, nonostante qualche goccia di pioggia, spunta un pugno chiuso. Dal finestrino del lato passeggero, invece, una mano piegata a simulare la forma di una pistola. Si intravedono tre sagome maschili. Dopo qualche minuto ne passa un’altra, di auto scoperta. La formazione è la stessa, anche i gesti degli occupanti. Spariscono verso il centro del paese, si perdono chissà dove. Forse transitano anche per corso Dante, davanti al bar Roxy e all’incrocio con via Catullo, presidiata dalla guardia di finanza. Scene di esultanza, caroselli già visti anni fa, quando gli scissionisti casalesi del gruppo De Falco, Venosa e Caterino stavano tentando di colpire a morte Francesco Schiavone e Francesco Bidognetti. È la raccapricciante esultanza di chi fa proseliti e propaganda in strada, in pieno giorno, raccattando consensi per la campagna del terrore. Anche perché poco più in là ci sono due famiglie a lutto stretto. In casa di Sergio Orsi sono arrivati i giornalisti, poi i comandanti provinciali di finanza e carabinieri. Nel pomeriggio di quella folla in divisa non rimarrà più traccia. Gli specialisti del nucleo operativo, intanto, sono al lavoro sul marciapiede insanguinato. Ricostruiscono nel dettaglio la dinamica dell’omicidio, mettono a punto gli ultimi tasselli. Michele Orsi, il signore dei rifiuti, è morto tra le 13,25 e le 13,35 di domenica – l’ora esatta non la conosce nessuno, perché nessun testimone è stato rintracciato – mentre entrava nel bar Roxy, a trenta metri da casa. Gli assassini, almeno due, armati di una pistola calibro 9×21 e di una 380, comunemente chiamata 9 short, hanno esploso diciotto colpi. Cinque quelli a segno, anche quello di grazia alla testa. Un proiettile è rimbalzato a quindici metri di distanza dal luogo della sparatoria, ed è stato recuperato durante il nuovo sopralluogo. La dinamica, certo. Servirà a condannare gli assassini, se e quando verranno identificati e arrestati, se si riuscirà a portarli in un’aula di tribunale. È un tassello, la ricostruzione del delitto, del più ampio scenario nel quale morta di Michele Orsi è maturata. Perché è il movente, più che il gesto in sé, a togliere il sonno agli investigatori e ai magistrati della Dda. Un movente non ancora decifrato compiutamente ma comunque inquietante. Orsi, che era stato direttore generale di Ecoquattro – la società di servizio del consorzio Ce4 – e mente della Gmc (società costata ieri la sospensione del consiglio comunale di Orta di Atella), dopo l’arresto per truffa aggravata dal favoreggiamento della camorra, aveva parlato, fornendo alla Dda di Napoli una spiegazione ”altra” dei dimostrati rapporti con il clan La Torre e con i Casalesi del gruppo Bidognetti. Aveva parlato anche dei suoi rapporti con il mondo della politica e delle istituzioni. Ma non tutto aveva detto, non tutto aveva chiarito. E c’è chi legge il suo omicidio come un attacco preventivo, un altolà alla decodificazione dei tanti omissis delle sue dichiarazioni. E un monito a quanti altri volessero seguire la sua strada: quella di parlare, sia pure per difendersi.

ROSARIA CAPACCHIONE





Rifiuti, ecco le carte sul «patto scellerato» camorra-politica

L’uomo aveva entrature in ambienti istituzionali locali e nazionali


Una consistenza traslucida, né opaca né trasparente, tale da far intravedere la forma di quanto si muoveva oltre la cortina di Ecoquattro senza però far distinguere compiutamente volti e nomi di tutti i protagonisti. Ombre indefinite, il contenuto degli omissis che compaiono nei verbali di interrogatorio dei fratelli Orsi, soprattutto di Michele. Fantasmi che si agitano sulla scena della lobby di cui Ecoquattro era la parte visibile, quella che gestiva l’affare rifiuti sul litorale domiziano e – attraverso la Gmc – in una fetta dell’agro aversano. Una lobby, dicevamo. Una consorteria mista nella quale gli imprenditori sedevano allo stesso tavolo dei camorristi, del clan La Torre e non solo, dei politici non soltanto locali, e di alcuni rappresentanti delle istituzioni: la prefettura e il commissariato di governo per l’emergenza, per esempio. Spulciando tra i verbali, di interrogatorio e di trascrizione delle telefonate, spunta con una certa prepotenza Claudio De Biasio: direttore del Ce4 (nei cui ruoli risultava ancora inserito fino alla data dell’arresto, il 3 aprile dello scorso anno), nel 2005 era transitato al Commissariato di governo per l’emergenza rifiuti, sotto la gestione di Corrado Catenacci. Ruolo per il quale si erano attivati gli amici. «È uno dei nostri», diceva Michele Orsi a telefono, appoggiandone la nomina. Incarico ottenuto proprio grazie a quelle pressioni. Interrogato, Catenacci racconterà di un pranzo durante il quale gli fu presentato De Biasio che però non aveva tutte le carte in regola per ricoprire l’incarico: architetto e non ingegnere, come era previsto dal contratto di consulenza. A quel pranzo aveva partecipato anche Michele Orsi. De Biasio era uomo di Orsi, De Biasio doveva controllare l’attività della Ecoquattro di Orsi. Una circostanza che, l’anno scorso, fu pesantemente criticata dal procuratore aggiunto Franco Roberti, che parlò di «commistione tra controllori e controllati». Commistione che avrebbe agevolato l’operazione-truffa che avvantaggiò i fratelli Orsi e che costò loro l’arresto: la vendita a un prezzo esorbitante – oltre nove milioni di euro – del 49 per cento di Ecoquattro al consorzio Ce4, valore determinato grazie all’inserimento in bilancio di crediti fittizi. Di se stesso Orsi dirà di essere un semplice imprenditore costretto a rapporti obliqui con i clan: «Voglio dire immediatamente chi ci sono due tipi di imprenditori: quello che nasce con la camorra (che è più camorrista del camorrista) e l’imprenditore che non lo è ma che poi è costretto ad entrare in contatto con la camorra ed a subirne le conseguenze». Negli atti dell’inchiesta della Dda, il primo troncone, c’è il tracciato della sua impressionante capacità di penetrazione nella burocrazia istituzionale, di intrecciare rapporti utili negli uffici della prefettura (in un precedente troncone dell’inchiesta era stato coinvolto il viceprefetto Ernesto Raio, all’epoca dei fatti contestati capo di gabinetto di Corrado Catenacci al Commissariato per l’emergenza rifiuti), della questura (coinvolto anche un ispettore di polizia, che aveva istruito la pratica per il rilascio del porto di pistola a Michele Orsi), del Gruppo antimafia, Salvatore Andreozzi, indagato per corruzione, dal quale Michele Orsi avrebbe ottenuto la copia di atti riservatissimi, e cioè le informative che avrebbero impedito il rilascio del nulla osta antimafia alla Ecoquattro. La conoscenza anticipata di quegli atti aveva consentito, quindi, la vendita delle quote della parte privata di Ecoquattro (cioè del pacchetto azionario della Flora Ambiente) ad altre società, i cui amministratori sarebbero semplici prestanome dei fratelli Orsi. Il nulla-osta arrivò poi. Michele Orsi rivelerà che per averlo aveva sollecitato anche l’intervento del deputato di An Mario Landolfi.
r.cap.






TANGENTI DA 15MILA EURO AL MESE


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Quindicimila euro al mese, per quattro anni, al clan mondragonese dei La Torre; e si indaga sul fatto che altrettanto sia stato preteso, mensilmente, dai Casalesi. L’avvocato di Michele Orsi, l’imprenditore ucciso due giorni fa in un agguato di camorra a Casal Di Principe, cita le cifre, per dimostrare fino a che punto Sergio e Michele Orsi fossero, sostiene, «vessati» dalla camorra. «Michele Orsi non era un pentito – ribadisce Carlo De Stavola – lo ripeto. Era, con suo fratello, una vittima: la loro società ha versato 15 mila euro al mese, per 4 anni, al clan mondragonese. Nè, tantomeno, era, come è stato detto, il Salvo Lima della camorra. Chi lo ha sostenuto se ne assume la responsabilità». «Orsi aveva paura – aggiunge – veniva ogni giorno nel mio studio, perchè era l’unico posto in cui si sentiva sicuro». E la deposizione che ha concorso a condannarlo a morte, quella prevista per il 17 giugno, avrebbe già dovuto essere passata agli atti: fissata per il 20 maggio, era slittata per difetto di notifica. Tutta la paura dell’imprenditore ucciso pesa ora sulle spalle del fratello: «Ho paura per me e per i miei familiari», dice Sergio Orsi, il fratello di Michele Orsi. Lo ha ribadito ieri mattina a casa sua, blindata da finanzieri, poliziotti e carabinieri, a De Stavola e ad alcuni giornalisti. L’imprenditore ha confermato che il gruppo «dopo aver cercato di resistere, fino agli attentati ed alle minacce ad un figlio di Michele» pagava regolarmente tangenti a vari clan della camorra. «Avevamo chiesto inutilmente attenzione per Michele Orsi – dice l’avvocato Carlo De Stavola – che aveva diritto ad una scorta e ad un presidio sotto casa, anche se non era un pentito. Non nascondiamoci dietro i formalismi», aggiunge il legale.


il mattino 3 giugno 2008

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