Blitz a Giugliano: 13 arresti
Napoli. Il boss Francesco Mallardo, tra i trenta latitanti più pericolosi d’Italia, è stato arrestato dagli agenti della Questura di Napoli. Con lui sono finite in manette altre 12 persone, tra cui altri due noti latitanti, Feliciano Mallardo e Patrizio Bosti, tutti esponenti di spicco dell’Alleanza di Secondigliano, il cartello nato dall’unione fra tre famiglie, Mallardo, Licciardi e Contini. I tredici stavano partecipando a un summit in un casolare alla periferia di Giugliano. Mallardo è imputato in vari processi.
In carcere i padrini della camorra vincente
Summit interrotto a Giugliano: presi i superlatitanti Mallardo e Bosti con 11 affiliati
La latitanza della primula rossa della camorra è terminata, all’una dell’altra notte, in un cascinale nelle campagne di Giugliano, tra le braccia di una bella e procace poliziotta della Squadra Mobile. Ad ammanettare Ciccio Mallardo, uccel di bosco da sette mesi – era nell’elenco dei trenta ricercati più pericolosi da quando evase da una casa di cura dove era costretto ai ”domiciliari” – è stata infatti una giovanissima rambo. Tanto bella e procace che il numero uno della camorra vincente, quella dell’Alleanza di Secondigliano, ancora prima che portasse la mano al petto accusando una fitta al cuore, non ha potuto non fare un complimento a così tanta grazia. Poi don Ciccio è stato trasportato al Cardarelli, padiglione Palermo (quello riservato ai detenuti), visitato, ricoverato e piantonato da agenti armati fino ai denti.
Con Mallardo hanno perso la libertà altri due super-ricercati: suo fratello Feliciano e Patrizio Bosti, entrambi ai vertici della cosca di camorra, nonchè altri undici presunti affiliati, tutti caricati sui cellulari e condotti nelle camere di sicurezza delle questura (davanti alla quale si è redunata e vi ha sostato, per l’intera mattinata di ieri, un folto gruppo di parenti degli arrestati) per poi essere trasferiti, nel pomeriggio, nella casa di pena di via Poggioreale.
L’irruzione degli uomini del commissario Luigi La Rotonda (è lui il funzionario incaricato, cinque mesi or sono, dal capo della Mobile, di abbandonare ogni altra inchiesta per dedicarsi esclusivamente alla ricerca e alla cattura del padrino di camorra) nel casolare di Giugliano è stata silenziosa, improvvisa, inaspettata.
Il boss e i suoi uomini erano sotto a un pergolato, seduti attorno a un tavolo. Si sentivano tranquilli. Mangiavano pane cafone, con fave e ventresca, bevevano ”asprino”. L’unica vedetta non si è accorta di quello che avveniva nelle campagne circostanti. Gli uomini (e le poliziotte) di La Rotonda si sono avvicinati all’edificio come felini nella notte. Poi, quando hanno avuto la certezza che nel cascinale c’erano effettivamente i camorristi che cercavano, è scattato il blitz (nel frattempo altri cinquanta agenti erano stati richiamati dalla questura centrale). Tutti si sono arresi immediatamente. Uno soltanto ha tentato di scappare ma è stato subito acciuffato. Qualcuno, prima di farsi ammanettare, ha lasciato cadere sotto il tavolo una ”bifilare 7,65” con matricola abrasa. Dieci milioni in contanti sono stati ritrovati nelle tasche di uno dei comparielli del boss.
I tre vertici della ”cupola” erano tutti destinatari di provvedimenti restrittivi emessi dalla magistratura. Gli altri dieci sono stati ammanettati, invece, su iniziativa della polizia: per loro è scattata l’accusa di favoreggiamento e associazione camorristica. I fermi dovranno essere convalidati dal gip.
Gli investigatori non escludono che tra le ragioni dell’incontro potessero esservi anche le decisioni da adottare all’indomani degli arresti dei quattro imprenditori che per decenni hanno consentito all’Alleanza di Secondigliano, ed in particolare ai Mallardo e al clan Contini, di reinvestire in attività formalmente lecite i proventi illeciti. Oltre all’arresto dei ”cassieri”, i boss probabilmente stavano affrontando i problemi connessi al sequestro, disposto nella stessa indagine, di dieci società immobiliari e commerciali che secondo gli inquirenti erano il forziere della camorra. Gli investigatori, inoltre ritengono che i tredici stessero anche organizzando le estorsioni da compiere ai negozianti in vista degli incassi di Pasqua (è stato sequestrato un libro mastro con nomi e cifre). Infine, al vaglio degli investigatori, la possibilità che tra i temi dell’incontro potessero esserci ipotesi di appoggi elettorali a esponenti della politica locale alla vigilia del voto di domani. Gli inquirenti non confermano nè smentiscono il sequestro di materiale elettorale trovato nel covo dio Giugliano.
Tra gli arrestati alcuni esponenti del cartello camorristico che hanno acquisito potere negli ultimi due anni, in seguito all’arresto dei capi storici della cosca. Ci sono personaggi, insomma, di un certo spessore malavitoso, con ruoli di primo piano nelle organizzazioni criminali che spadroneggiano a Secondigliano, Giugliano, Melito. Tutti facenti capo, ovviamente, alla famigerata ”Alleanza”. In cella, tra i tredici, è finito anche il proprietario del casolare, Carlo Granata, contadino incensurato, presente al summit: a dire degli investigatori avrebbe messo a disposizione il casolare in cambio di una somma di denaro.
MARISA LA PENNA
IN UNA TAVERNETTA DI CAMPAGNA
Erano in 13 all’«ultima cena»
tra pancetta, fave e asprino
Erano in 13 a tavola, e stavolta il numero ha portato bene alla polizia. Si godevano la frescura del pergolato della trattoria di “Carlino o’ Mucione”. Sul tavolo c’era un tagliere di legno grezzo ed un grosso coltello, per affettare il salame. Accanto, una pancetta, un prosciutto e le fave raccolte pochi minuti prima dell’arrivo dei commensali nell’orto. Il pane era quello fresco, preparato poche ore prima da Carlino nel forno a legna. Il vino, di quello buono, era asprinio d’Aversa fatto con le uve coltivate e premute da Carlino. Anche i salumi erano una sua produzione. I boss mangiavano e nel mentre discutevano di affari. Sulle loro teste, pendevano da una pertica altri prosciutti, salsicce e pancetta. Il clima era rilassato. A fare gli onori di casa era Francesco Mallardo, capo indiscusso della potente cosca dei Carloantonio, che di tanto in tanto si alzava per dare ordini in cucina e controllare che ai suoi commensali non mancasse nulla. Si sentivano sicuri i 13 boss. Lì erano al riparo dagli occhi indiscreti. A proteggere la loro tranquillità, oltre alle sentinelle, un alto mura ci cinta che li separava dal vicino depuratore, una serra, la carrozzeria che nascondeva il casolare e lo seprava dalla strada. Alle spalle dell’officina, c’è una piccola costruzione, un solo piano dove vive Carlino e che funge da cucina per la sua trattoria. accanto, c’è la cantina, con tanto di botti piene e fornitissima di vini di ogni tipo, ed un forno a legna. Più in là c’è un’altra costruzione bassa, la casa della sorella di Pasquale Granata, meglio noto come “o’ partigiano”. Quest’ultimo è un affiliato al clan Mallardo, arrestato proprio qui lo scorso anno. Francesco Mallardo occupava una stanza della casa. All’interno c’era solo un letto sfatto e qualche vecchio mobile. Dall’altro lato del cortile, c’è il campo da bocce, la serra ed un pergolato. Alle spalle, l’allevamento di polli, conigli e maiali. Per il boss era il rifugio ideale. Abbastanza tranquillo, vicino allo svincolo dell’asse mediano e della circumvallazione ed alla stazione di Ponte Riccio.
LA CARRIERA CRIMINALE DI CICCIO MALLARDO, EVASO 7 MESI FA DALL’OSPEDALE
Da boss di provincia a regista della cupola
Vendicò padre e fratello, decisiva la parentela con Contini e Bosti
«Guerrigliero di camorra», lo definì un pentito di mafia che lo conobbe in carcere. Lui, Francesco Mallardo, non batté ciglio. Sono 32 anni che sulla fama di irriducibile ha costruito il carisma criminale. Si racconta che quella notte dell’agosto 1967, quando a Giugliano uccisero il padre, Domenico, Francesco si chiuse in un cupo, inquietante silenzio. E poi, due anni dopo, in un’aula di Corte d’Assise, quando si trovò faccia a faccia con i presunti mandanti ed esecutori del delitto, pronunciò i propositi di vendetta senza riguardo per giudici e avvocati. Lo raccontano cupo e silenzioso, seduto accanto alla bara del fratello Carlo, ucciso nell’84. Non una parola, non una lacrima. Ma, secondo gli inquirenti, ha sempre portato avanti i suoi propositi con spietata determinazione. Sarà un caso, ma i responsabili, condannati o presunti, della morte del padre, sono morti in agguati. Si è salvato soltanto quel Corrado Iacolare, braccio destro di Cutolo e mediatore nella trattativa per la liberazione dell’assessore Ciro Cirillo, fuggiasco da anni in Sud America. C’è da precisare, però, che Francesco Mallardo non è stato condannato per l’omicidio di assassini del padre o del fratello, anzi, in parte dei casi i delitti sono avvenuti quando lui era in carcere. E di anni tra le sbarre ne ha passati parecchi.
Nessuno dei Mallardo s’è mai pentito. Due volte «don» Ciccio si è lasciato andare con la polizia. La notte del 23 marzo 1992, quando due agenti lo catturarono in una mansarda alla periferia di Giugliano: «Complimenti, siete stati coraggiosi». E ieri, quando ha detto «brava» alla poliziotta, una bella ragazza, che lo ha bloccato. Per il resto, silenzio: non c’è dunque da meravigliarsi se la sua voce si è sentita una sola volta in 5 mesi di intercettazioni telefoniche. Un pesante timbro di voce, un dialetto giuglianese capace di terrorizzare. La cardiopatia che da un decennio affligge il boss ne ha minato la salute, non certo la tempra criminale.
Vestito senza sfarzo, come invece fanno molti dei suoi alleati, Mallardo si è sempre mostrato fedele ai canoni dell’omertà tipica della mala bracciantile. Nato con la vecchia camorra agricola di Giugliano, arruolato nella mala a Napoli, svezzato nella guerra tra cutoliani e Nuova famiglia, passato attraverso la mala imprenditrice degli Anni 80 e l’«Alleanza di Secondigliano» degli Anni 90. La vita del boss s’intreccia con quaranta anni di cronache della camorra. Fu lui a litigare con Antonio, figlio del Alfredo Maisto, negli Anni ’60-70 padrino indiscusso. Le famiglie si ricomposero con una tavolata sullo stile di quella del casolare in cui l’altra sera ha fatto irruzione la polizia. Ma poi, Domenico Mallardo fu ucciso davanti all’uscio di casa: un colpo di lupara e la sua camicia bianca si colorò di rosso sangue.
Fu un delitto, quello, che segnò lo spartiacque tra vecchia e nuova camorra, l’inizio di una guerra senza esclusione di colpi, finita con l’uccisione dell’ultimo dei figli di Maisto, Enrico. Negli Anni 70 Francesco lasciò Giugliano e si inserì nella mala a Napoli, secondo alcuni pentiti partecipò con esponenti del clan Giuliano al rapimento di Gianluca Grimaldi, rampollo di una famiglia di armatori. Il bottino del sequestro, secondo i pentiti, servì a finanziare la guerra contro i cutoliani.
Francesco Mallardo ha sposato una delle sorelle Aieta, dunque è cognato del boss del Vasto Eduardo Contini, di Patrizio Bosti e del defunto Gennaro Licciardi, «’a scigna», morto dopo un’operazione in carcere nell’estate del ’94 e catturato dai carabinieri due anni prima a Giugliano. Licciardi si era incontrato poco prima con il cognato e alla vista degli agenti era riuscito a fuggire. Ma i carabinieri lo intercettarono. In due occasioni anche Patrizio Bosti è stato arrestato a Giugliano. Bosti è ritenuto il luogotenente di Contini, Mallardo il braccio armato.
IL QUESTORE RACCONTA I RETROSCENA DEL BLITZ
Venti gennaio, il giorno della svolta: «Dottore, l’abbiamo agganciato, è lui». Un sussulto nella stanza dove lavora la squadra di poliziotti che da più di un mese sta cercando di localizzare Francesco Mallardo. Dalle intercettazioni emerge, infatti, una traccia decisiva: per la prima volta gli investigatori ascoltano la voce del padrino. Due, tre frasi in dialetto napoletano. Significa che la pista imboccata dagli agenti è quella giusta.
Ma da quel giorno il capo dell’Alleanza, abituato al silenzio, eviterà quanto più possibile di parlare: per non tradirsi, per evitare di essere smascherato, affiderà agli affiliati il compito di comunicare via cellulare. Un uomo astuto, rappresentante di una camorra solida: basti pensare che in sette mesi di latitanza, Mallardo ha utilizzato una ventina di covi. Eppure, in cinque mesi d’indagine, i poliziotti sono riusciti ugualmente a raccogliere una serie di indizi importanti, tanto che per ben due volte erano sul punto di far scattare il blitz. Un’inchiesta condotta, quindi, con metodo: il questore, Antonio Manganelli, spiega al Mattino come è nata la cattura del padrino.
Due giorni fa il sequestro di undici aziende dell’Alleanza di Secondigliano, ora l’arresto di Mallardo. C’è un filo comune che lega le due indagini?
«No, si tratta di due attività investigative che si sono sviluppate insieme soltanto cronologicamente. Rappresentano un doppio binario: da un lato aggredire i patrimoni della criminalità; dall’altro indebolire le organizzazioni strappando al territorio il loro capo e contemporaneamente distruggere il mito dell’intoccabilità, dell’invincibilità che a volte accompagna le carriere di certi boss»
Una squadra di poliziotti ha lavorato a lungo sulla cattura di Mallardo. Che cosa significa?
«È un modello organizzativo che utilizziamo spesso: costituiamo gruppi di lavoro che si occupano a tempo pieno di una determinata indagine. Può trattarsi dell’arresto di un ricercato, oppure di un’attività sui beni patrimoniali di un’organizzazione criminale. In questo caso si sono create circostanze interessanti: abbiamo intercettato e arrestato Mallardo nel corso di un summit di camorra».
Un’indagine che parte da lontano, quindi?
«Esatto. Non si tratta della soffiata di un confidente alla polizia, ma di un’attività investigativa serrata per la quale la Squadra mobile si è avvalsa di tutti gli strumenti a disposizione, d’intesa con i magistrati della Procura. Abbiamo costruito un percorso insieme, discutendo, confrontandoci. Un bel lavoro di intelligence, condotto in un clima di armonia».
Che cosa ha fatto il super-latitante durante la sua latitanza? Mallardo ha badato soltanto a nascondersi, oppure ha concluso anche affari illeciti?
«Emerge il quadro di un’organizzazione in piena attività, che ha rapporti con i clan collegati. Non è un caso, tra l’altro, che Francesco Mallardo non sia stato trovato in possesso di un’arma, quando è scattata la nostra operazione. Si sentiva al sicuro nel suo territorio».
Il blitz ha sventato un piano criminale, magari un agguato che l’Alleanza voleva mettere a segno?
«Abbiamo sviluppato un’intensa attività investigativa, sono stati effettuati pedinamenti e intercettazioni. Ora bisognerà approfondire il materiale raccolto per dare una risposta a questa domanda».
In due giorni sono stati messi a segno duri colpi nei confronti dell’Alleanza di Secondigliano: il sequestro dei beni e l’arresto del vertice della cupola. Quale camorra emerge da questi scenari investigativi?
«Emerge il profilo di una criminalità organizzata al passo con i tempi, che investe i profitti illeciti tramite il riciclaggio di capitali, ma contemporaneamente non rinuncia alla dimensione rurale per dimostrare di avere i piedi ben saldi nel suo territorio».
GIAMPAOLO LONGO
Cordova: ora si facciano i processi
Nuovo allarme del procuratore dopo i colpi inferti alla cupola dell’Alleanza
MARISA LA PENNA
La doppia stangata all’Alleanza di Secondigliano (il sequestro dei beni per 100 miliardi, giovedì mattina; l’arresto di 13 boss, tra i quali i padrini Francesco Mallardo e Patrizio Bosti, giovedì sera) fa ritrovare solo per un attimo il sorriso al Procuratore capo, Agostino Cordova. «Gli organici sono insufficienti, la situazione peggiora di giorno in giorno e di questo passo l’azione penale diventerà di fatto discrezionale e limitata solo ai reati di serie A»: è l’allarme rilanciato da Cordova, in occasione della conferenza stampa convocata al Palazzo di Giustizia per illustrare il blitz nel casolare di Giugliano. «È necessario fare i processi – ha detto Cordova – ma con la carenza di magistrati e impiegati negli uffici giudiziari diventa sempre più difficile. Non voglio discutere i criteri adottati, ma il nuovo ufficio di procura ha 10 pm in meno rispetto all’organico previsto. Inoltre, il nuovo tribunale di Giugliano, che dovrà essere costituito, avrà in Procura pm presi dagli uffici di Napoli. Uffici che, non cedendo le indagini già avviate e riguardanti quel territorio, perderanno soltanto magistrati. Ciò significherà che l’obbligatorietà dell’azione penale sarà di fatto limitata a reati di serie A»
Ieri, intanto, due degli imprenditori arrestati l’altro giorno nell’ambito dell’inchiesta sulle società che reinvestivano i proventi dell’Alleanza di Secondigliano, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere all’interrogatorio del gip Triassi. Ciro Mantice e Vincenzo Esposito, titolari delle 10 società sequestrate, si sono rifiutati di rispondere alle domande del magistrato. Analoga strategia difensiva per il quarto arrestato, Antonio Aieta. Soltanto Mario Esposito, fratello di Vincenzo e suo socio, ha negato ogni cosa. L’imprenditore ha detto di non aver mai conosciuto esponenti della camorra e di non aver avuto contatti con i collaboratori di giustizia, in particolare con Gaetano Guida. Esposito, difeso da Sebastiano Giaquinto, ha ammesso di conoscere Ciro Mantice, limitando però tale conoscenza al fatto che Mantice, in passato, era socio dello stesso Esposito per poco tempo in una iniziativa commerciale.
La doppia stangata all’Alleanza di Secondigliano ha avuto larga eco sul piano nazionale. «È una buona notizia. Dimostra che in questo paese la sicurezza ha dei buoni guardiani»: ha affermato il presidente del Consiglio, Massimo D’Alema. Soddisfazione è stata espressa anche dal presidente della Commissione Antimafia, Ottaviano Del Turco. Subito dopo il blitz a Giugliano, il ministro dell’Interno Bianco ha telefonato per complimentarsi con il prefetto Romano, e il questore Manganelli. Bianco incontrerà nei prossimi giorni, a Roma, il vertice della questura di Napoli e gli agenti operanti «per esprimere di persona la soddisfazione per la conclusione della complessa operazione che – come è scritto in una nota del ministero – dimostra la capacità della polizia di sviluppare, sotto la direzione dell’autorità giudiziaria, indagini penetranti nei gangli criminali napoletani».
Ma non è mancata la polemica. Confermando «la massima stima per il prefetto di Napoli, Giuseppe Romano, francamente – afferma il Siulp in un comunicato – non si riesce a capire perchè il ministro abbia voluto complimentarsi con lui per un’operazione di pg, condotta da uomini della polizia e dall’Autorità giudiziaria». Il sindacato unitario lavoratori polizia commenta così i complimenti del ministro Bianco. «Escludendo a priori che il responsabile del ministero dell’Interno – ha proseguito, polemico, il Siulp – non si occupi di indagini e di Pg, rimane evidente il fatto che forse si vogliono attribuire meriti a tutti i costi, anche quando non è il caso».
«W La Rotonda e il suo gruppo. E ora il prossimo». La scritta, a grandi lettere, sulla lavagna attaccata a una parete nella stanza del capo della Mobile, Romolo Panico. Ieri è stato un grande giorno per gli 007 della questura. In particolare per il commissario La Rotonda, che per cinque mesi ha lavorato solo per la cattura del boss. In serata i complimenti del prefetto al questore.
IL MATTINO 15 APRILE 2000 – EDIZIONE NAZIONALE PAG. 27 E 28
http://ilmattino.caltanet.it/hermes/20000415/01_NAZIONALE/27/LOLA.htm