Anche nei centri di eccellenza possono esservi delle sacche di inefficienza e degli sprechi di denaro pubblico, la decisione di colpire anche loro nella generalizzata manovra di tagli alla spesa pubblica attuata dal governo, se davvero va nella direzione di una efficace razionalizzazione, non dovrebbe scandalizzare nessuno. Che il Cira di Capua e l’Anton Dohrn di Napoli siano centri di eccellenza penso non sfugge a nessuno e sarebbe davvero paradossale che ad essere colpiti e affondati debbano essere proprio i migliori, soprattutto in un panorama così povero come quello napoletano e campano in generale. Dovremmo, quindi, fidarci delle parole dell’assessore regionale alla Promozione culturale e all’Istruzione Caterina Miraglia che legge la proposta governativa come razionalizzazione della spesa e non come cancellazione o ridimensionamento dei centri di eccellenza. Naturalmente, staremo a vedere, ma non c’è dubbio che data la situazione deficitaria dei conti pubblici sia regionali che nazionali e il clima da crisi finanziaria europea la scure possa colpire un po’ tutti.
Dobbiamo seriamente preoccuparci?
I tagli alla spesa pubblica fanno un gran bene all’Italia nella misura in cui allontanano la minaccia di una crisi che colpisca il debito pubblico e si espanda un po’ a tutti i mercati finanziari. Fa invece molto male al Sud che continua ad avere un’economia fortemente legata alla spesa pubblica, per il quale ogni riduzione di spesa si traduce in una forte riduzione di reddito e quindi di consumi con l’effetto indotto inatteso ma inevitabile di aumentare la pressione sociale e la spinta assistenzialistica.
Il Sud paga le conseguenze del fallimento delle politiche di sviluppo attuate nei decenni passati, fallimento dovuto a errori di programmazione e a grandi problemi incorsi nell’attuazione che non è certamente possibile analizzare in un breve articolo. Che succederà in futuro? Quali saranno le conseguenze del federalismo fiscale? Aumenteranno i tagli di spesa? Se le cose dovessero continuare ad andare così come sono andate fino ad ora e il federalismo si manifestasse soprattutto in una riduzione di risorse per le regioni meridionali non c’è dubbio che dovremmo rivedere tenore e stili di vita, abituarci a redditi e consumi più bassi, inaugurare una stagione di austerity che, naturalmente, si trasmetterebbe anche alle regioni più ricche che vivono anche dei consumi delle popolazioni meridionali. E non c’è dubbio che il clima sociale rischierebbe di peggiorare alimentando i comportamenti negativi in una spirale che vedrebbe il ritorno in forme moderne della miseria sociale ed economica già vissuta tante volte dalle popolazioni napoletane e meridionali in generale.
È uno scenario che potrebbe risultare realmente pessimistico solo se le cose non dovessero andare come sono sempre andate e se il federalismo venisse attuato non nei termini di una riduzione di risorse, ma piuttosto nei termini di un “aumento di risorse”. Un aumento che scaturirebbe da un profondo cambiamento sociale ed economico indotto da politiche che nell’attuazione del federalismo stesso siano capaci di tagliare inefficienze e sprechi e di favorire eccellenze e meriti. Ma se qualcuno pensa che bisogna solo tagliare e che la spesa è solo assistenziale e che le popolazioni non sono capaci di cambiare in senso produttivo e che bisogna lasciare fare il più possibile al mercato commette il tipico errore di condannare tutto ciò che è semplicemente politico per favorire il privato, un privato che, soprattutto al Sud, esiste in forme molto limitate e inadatte allo sviluppo e ai compiti che il mercato oggi dovrebbe avere in economie moderne e avanzate.
Lo stesso errore lo commetterebbe, naturalmente, chi, volendo difendere la spesa pubblica, contesta senza mezzi termini ogni taglio proposto e costruisce barricate contro ogni provvedimento in tal senso.
Così accade che un giorno si propone di tagliare le province e il giorno dopo si cambia idea. O che qualcuno non capendo o non fidandosi della giustificata razionalizzazione tenti di immolarsi fino a far ritirare ogni proposta di riduzione della spesa.
Questo l’Europa non c’è lo permetterebbe. E quando Berlusconi dice che la firma sulla manovra c’è la mette Tremonti, la verità è che quella firma l’ha richiesta il presidente della Commissione Barroso e per esso, naturalmente, il cancelliere tedesco Angela Merkel, vero capo di un Europa che più che essere un Unione di Stati è sempre più un’associazione di Paesi.

