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L’omicidio al Magic World del 2007

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Una «eccezionale forza intimidatrice esterna», tanto forte da «piegare l’aspirazione alla punizione del colpevole». È tutto in queste poche righe il travaglio della ritrattazione di un teste d’accusa, «intimidito» in modo tanto violento da presentarsi in aula a raccontare l’esatto contrario di quanto aveva detto due anni prima.

Intimidito e costretto a mentire dallo stesso sistema camorristico che aveva firmato un omicidio proprio sotto i suoi occhi. Storia di un piccolo testimone, che a tredici anni si ritrova lì al centro di una scena da brividi: davanti ai killer che sparano, che uccidono a volto scoperto; e che a quindici anni è costretto poi a presentarsi in un’aula di giustizia a rappresentare una messinscena difficile da credere: «Non so nulla di quell’omicidio, so solo che mi stavate cercando. Eccomi, faccio il garzone in un bar, vorrei ”stare quieto”, se ho dichiarato qualcosa ho sbagliato». Messinscena plateale, tanto da costringere il pm della Dda ad aprire un’inchiesta a carico proprio del babytestimone (e della madre) per false dichiarazioni al pm.

Testimone di un delitto, in fuga volontaria per un paio di anni, poi autore di una ritrattazione poco credibile. Ma anche probabile oggetto di una denuncia per falso aggravato. Storia di una ritrattazione, raccontata in trentadue pagine: sono le motivazioni scritte dalla quinta Corte d’Assise di Napoli (presidente Adriana Pangia, estensore Francesco Pellecchia) della condanna del presunto killer Mario Buono: ergastolo, carcere a vita, fine pena mai, in attesa ovviamente di un probabile processo d’appello.

Omicidio di Nunzio Cangiano, è il delitto all’esterno del parco acquatico «Magic world» di Licola. Era il dieci agosto del 2007, quando Mario Buono e un complice entrarono in azione: Cangiano fu ucciso per il suo passaggio nelle fila degli scissionisti di Secondigliano. Fu il clan Di Lauro – spiega oggi la sentenza fresca di deposito – a mandare due killer all’esterno del parco dei divertimenti.

Non ebbero esitazione a sparare davanti a molti testimoni, né si mostrarono intimiditi per la presenza di quel ragazzino e della madre, entrambi conoscenti della vittima. Inchiesta sprint, affidata ai carabinieri del colonnello Fabio Cagnazzo di Castello di Cisterna, coordinata dai pm anticamorra Luigi Alberto Cannavale e Stefania Castaldi.

Tutto si fonda sulle dichiarazioni rese dal babytestimone, che fece il soprannome del presunto killer: «Quello che ha sparato si chiama ’o topo, è di Secondigliano, me lo ricordo – spiegò il ragazzino – stava spesso in sella a un’honda Sh o in una Audi». Tanto bastò a congelare le accuse. Per due anni, del ragazzino e della mamma neanche l’ombra. Inutili ricerche e convocazioni, fino ad indurre i giudici a dichiarare l’utilizzabilità delle accuse in assenza dei testimoni oculari.

Difeso dal penalista Diego Abate, l’imputato Mario Buono non ha battuto ciglio. Ha sempre protestato la sua innocenza e ha assistito in silenzio a un processo dal finale a sopresa: quando in aula si fiondano mamma e figlio – siamo allo scorso novembre – per impedire che le accuse di due anni prima si trasformino in un macigno sulla testa di Buono.

Ritrattazione indotta, coatta, ragionano oggi i giudici: imposta da «una eccezionale forza intimidatrice esterna», che zittisce i testimoni, anche quando è «forte l’aspirazione alla punizione del colpevole».

Leandro Del Gaudio

Il Mattino il 14/06/10

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