Un muro traccerà la linea di confine tra le imprese e le nuove case dei rom. La barriera di mattoni alta tre metri, finanziata dalla Provincia, assieme a una nuova ordinanza di sgombero, farà scattare a breve il conto alla rovescia per portare gli ex nomadi fuori dalla zona Asi. Dopo anni di braccio di ferro tra gli imprenditori e le associazioni, venerdì se ne discuterà in Prefettura. Sul tavolo le modalità di trasferimento e, probabilmente, di selezione dei 120 rom – sui quasi seicento presenti da metà degli anni Ottanta all’interno dell’area industriale – che dovranno alloggiare nel villaggio attrezzato dal Comune, sempre a pochi passi dall’Asi. Addio baracche di legno e lamiere, senza acqua e senza luce, ma solo per una parte delle famiglie, in pratica. Di soluzioni abitative alternative, infatti, finora non si è mai discusso, né era andato a buon fine il tentativo di provincializzare – cioè di spostare in altri comuni – i rom in esubero. Sul destino degli ex nomadi restano vigili le associazioni che già a dicembre 2009 erano scese in campo per strappare la sospensione dell’ordine di sgombero della Procura, legato all’inquinamento delle aree. Ora, però, i tempi sembrano maturi per andare avanti. Le condizioni per far scattare il piano ci sarebbero quasi tutte. Il villaggio attrezzato del Comune potrebbe essere completato entro ottobre con l’installazione dei 24 alloggi prefabbricati. Mentre si attende che sia tutto pronto il Comune paga un istituto di vigilanza per proteggere l’area dai vandali. È questione ancora di poco: la gara per i containers è già stata assegnata. Così come dovrebbe essere assegnato l’appalto per la realizzazione del muro di cinta, finanziato dalla Provincia al Consorzio Asi per 300 mila euro, che una volta per tutte isolerà dal contesto territoriale le imprese e, allo stesso tempo, disegnerà una linea di confine entro la quale i rom non potranno restare, né più rientrare. Secondo gli industriali, il muro e i due varchi di accesso controllati da videocamere impediranno le incursioni notturne nelle aziende, i furti di rame dai cavi elettrici e telefonici, l’ultimo la scorsa notte, che lascia ogni volta senza collegamenti decine di aziende. Ma si conta che il muro tenga fuori anche le prostitute e gli autotrasportatori senza scrupoli che scaricano i residui liquidi di lavorazioni industriali nei tombini dell’area o cumuli di rifiuti, tossici e ingombranti, sulle rampe di accesso alla zona.
Baracche-polveriera e imprese modello al capolinea la convivenza impossibile
La notizia dello sgombero imminente fa salire la tensione nei campi. I visitatori non sono più graditi e la minaccia di sassaiole da parte dei piccoli indispettisce ancora di più gli imprenditori, costretti a scortare clienti e fornitori. Le colonne di fumo nero che indicano i luoghi in cui si dà fuoco ai copertoni e alle auto rubate non giocano a favore della convivenza pacifica. Così se da un lato l’attesa dei rom si fa snervante, dall’altro gli imprenditori non vedono l’ora che si attui lo sgombero. «L’accusa di essere razzisti è gratuita – dice Angelo Punzi, presidente degli industriali di Giugliano – A noi preme fare impresa e qua non ci troviamo nella condizione di poterla fare. Ma non siamo affatto convinti che i rom siano l’unico ostacolo allo sviluppo dell’Asi. È solo il primo passo: poi pensiamo all’illuminazione, alla viabilità e alla sicurezza». In pratica, nella terra di nessuno, che ospita due impianti industriali che appestano l’aria (l’ex Cdr e l’impianto di depurazione che resta chiuso dal ’99) si parte dall’anno zero. Dal canto loro i membri del Consorzio imprese Giugliano (Cig) si stanno autotassando per la vigilanza diurna, pulire e abbellire l’area con le piante, provvedere alla manutenzione di segnaletica, strade e rotatorie. Ma il futuro è illuminazione, incentivi statali e regionali, nuovi insediamenti e poi, il sogno, fare formazione. Un timido tentativo si sta facendo mettendo telematicamente in sinergia le conoscenze con le altre aziende del Sud. Gli imprenditori si erano anche fatti parte attiva per trovare una soluzione: avevano anche proposto al Comune di acquistare un terreno altrove e attrezzarlo con acqua e luce. «Ma il progetto è rimasto chiuso in un cassetto», dicono. Nel frattempo le famiglie rom sono provate dall’incubo dello sgombero forzato che incombe su di loro da due anni. Immaginano l’arrivo di centinaia di poliziotti assieme alle ruspe che dovranno abbattere le loro casette di legno e lamiera e non sanno ancora dove potranno trovare rifugio. Le loro ragioni sono diventate quelle associazioni che tentano di placare gli animi e evitare che questo clima di paura e, al contempo, di intolleranza si arroventi. Sulle pagine di Facebook dell’associazione “La Terra dei fuochi” i commenti alle immagini di roghi sono feroci. «L’odore che vorrei sentire è quello di zingaro che brucia!», scrive un utente senza paura di aggredire una comunità che vive nella zona da quasi trent’anni. «Stiamo parlando di famiglie che vorrebbero mandare i loro figli a scuola se solo avessero la possibilità di farli lavare – dicono da Opera nomadi – Senza servizi igienici si ritrovano a vivere sulla loro pelle l’emarginazione, non solo culturale. Chiedono condizioni di vita più dignitose». Accanto ai rom si erano già schierati anche Cgil, Prc Napoli, Pixel, Less-onlus, il Tavolo Rom, l’Assopace, Attak, Archintorno, i comboniani di padre Alex Zanotelli. A queste si sono aggiunte le associazioni nate intorno all’Awop-Il festival della Pace e alla rete antirazzista. Del caso Giugliano si è discusso anche all’assemblea nazionale che si è svolta domenica scorsa a Roma. «Siamo fiduciosi nelle istituzioni- dice Sergio Sposito, comitato solidarietà antirazzista della Campania – ma pronti a scendere in piazza se verranno attuate politiche discriminatorie».
Il Mattino il 05/10/2010