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lunedì, Giugno 24, 2024
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«UCCISO DALL’EROINA LA VIGILIA DI NATALE»
L’intervento di Marcello Curzio

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NAPOLI. Ragazzi di Secondigliano, Giugliano, Mugnano e Melito rischiano, ogni notte, la morte in queste ultime ore del 2003, sudando gocce di eroina pura. Come è capitato il giorno della vigilia di Natale a Giuseppe Cecere, trenta anni compiuti da qualche mese, melitese purosangue, famiglia normale alle spalle e da oltre una dozzina d’anni “cliente” del Sert di Giugliano. L’hanno trovato privo di vita in quell suk di degrado e disperazione di piazza Garibaldi, a quattro passi dal terminal dei bus dell’Actp. E’ lui l’ultima vittima della droga killer a Napoli e in provincia in questo anno che volge al termine. Ma c’è anche l’altro lato della medaglia. Frotte di giovani nigeriani, che salgono sul volo Lagos-Roma con lo stomaco pieno di ovuli di cocaina destinazione la casbah del litorale domizio-giuglianese. Piccole navi che attraversano il braccio di mare tra il Montenegro e le coste pugliesi cariche di pistole ed eroina. Il resto è di pertinenza di quel patto di ferro tra i clan della della Sacra corona unita e i gruppi emergenti della camorra napoletana, in particolare quella “made in Secondigliano” & dintorni.
Cosi’ e’ l’universo della droga, un caleidoscopio senza nulla che somigli a un inizio, un centro e una fine. Cosi’ lo raccontano quelli che lo conoscono bene, quelli dello Sco, il Servizio Centrale Operativo della nostra Polizia: “Se il traffico delle droghe fosse in mano alle grandi organizzazioni criminali per noi sarebbe tutto piu’ facile – spiegano -. Invece, se escludiamo qualche citta’ siciliana o calabrese, non c’e’ piazza italiana in cui mafia e camorra abbiano il controllo totale del traffico. In generale, anzi, osserviamo che raramente i “grossi” si occupano materialmente dello smercio al dettaglio. La droga arriva attraverso vari canali, e nel gioco entrano una miriade di soggetti. Il che rende estremamente difficile il lavoro di repressione”.



ARMI E DROGA
. Qualche anno fa, a Banja Luka, oggi roccaforte serba in Bosnia, otto uomini morirono in una sparatoria tra croati e musulmani. Le rispettive propagande si addossarono le responsabilita’ dello scontro, che contribui’ alla corsa verso la guerra. Ma le divisioni etniche non c’entravano nulla. Si trattava, in realta’, di uno scontro tra cosche rivali per il controllo del traffico di droga, ovvero di una partita di “roba” diretta, con molta probabilità, sulla piazza partenopea. Durante il regime comunista di Tito il passaggio dei camion carichi di eroina raffinata in Turchia e diretta in Europa era in qualche modo garantito, in cambio di forti tangenti, da alti funzionari del governo jugoslavo. Il disfacimento della vecchia nomenklatura innesto’ una violenta guerra tra bande, mentre tutt’intorno il paese esplodeva per altri motivi. La lotta per il controllo del traffico di droga fini per diventare uno dei fattori dell’escalation di violenza del 1991. Nacquero figure – come il serbo Arkan e il rinnegato musulmano Abdic – che stavano a cavallo tra il fanatismo ideologico e i traffici illegali. Gli effetti di questo rimescolamento di carte cominciarono presto a farsi sentire sul confini italiani, con un aumento verticale dei traffici illegali. Tra Trieste e l’Adriatico grossi quantitativi di morfina base ed eroina cominciarono ad affluire nel nostro paese insieme a grandi quantita’ di esplosivo ed armi leggere, dai Kalashnikov russi alle pistole tedesche. Malgrado l’embargo, infatti, le neo repubbliche della ex Jugoslavia si erano trasformate in bazar d’armi, dove una bomba a mano o un visore a raggi infrarossi per sparare al buio costa un decimo che in Italia. Una opportunita’ che camorra, mafia, ndrangheta e Sacra corona unita non avrebbero perso per tutto l’oro del mondo. In direzione inversa, attraverso gli stessi canali, si apri’ un parallelo traffico di armi pesanti, preziosissime in vista di cio’ che stava per accadere: poco prima di dissolversi, nell’ottobre del 1991, la polizia federale jugoslava, denuncio’ l’arrivo a Zara e Karlovac, in territorio croato, di una grossa partita di micidiali missili Stinger provenienti da qualche magazzino italiano. La creazione di una “zona franca” tra Croazia e Slovenia, in conseguenza della guerra, incuriosi’ anche i grandi cartelli colombiani, che cominciarono a far sbarcare navi cariche di cocaina nei porti dell’Istria e della Dalmazia, in collegamento con organizzazioni criminali e paramilitari croate. Sul fronte opposto, la regione serba del Montenegro divento’ la sponda per variegati traffici (eroina, sigarette ed albanesi), gestiti dalla sacra corona unita e piu’ che tollerati dalle allegre autorita’ locali. Ma la novita’ degli ultimi anni, sul fronte balcanico, e’ senza dubbio la Macedonia. Secondo gli esperti la giovane Repubblica sarebbe sul punto di soppiantare la Turchia nel ruolo di capitale mondiale della raffinazione della morfina base proveniente dal triangolo d’oro (Thailandia, Birmania e Laos) e dalla mezzaluna d’oro (Afghanistan, Pakistan e Iran). Gli esperti della Dea, la polizia antidroga statunitense, spiegano cosi’ il fatto che negli ultimi due anni in Macedonia siano affluiti piu’ di cento tonnellate di prodotti chimici di base per la produzione di eroina; partiti con regolarissime bolle di accompagnamento da fabbriche belghe, olandesi e tedesche, e dirette a societa’ di copertura macedoni.



I NUOVI SNODI
. Ma nuovi fronti, in realta’, si aprono ogni giorno sulle molteplici rotte della felicita’ un tanto al grammo. Di recente i capi del cartello colombiano hanno deciso di eleggere la corrottissima Nigeria a nuovo snodo viario della cocaina proveniente da Colombia, Peru’, Ecuador e Bolivia. Ogni giorno giovani nigeriani col vestito buono si imbarcano sui voli diretti in Europa. Il sistema, vecchio ma sempre efficace, e’ quello degli ovuli di plastica a prova di succhi gastrici inghiottiti alla partenza ed espulsi all’arrivo. In un caso su cento l’ovulo si apre e il nigeriano finisce prima in ospedale e poi in carcere. Ma vale la pena correre il rischio, quando per alternativa hai solo la raccolta di pomodori nel Casertano. Stretti tra l’inesauribile fantasia latinoamericana e la silenziosa operosita’ asiatica i poliziotti di tutto il mondo si industriano come possono. Grazie alle nuove leggi che permettono l’infiltrazione dentro le organizzazioni criminali quelli italiani hanno potuto mostrare il loro valore di fronte al nemico. Allo Sco ricordano ancora la mitica operazione del marzo del 94, quando un carico di cinquemila chili di cocaina arrivato a Genova a bordo della nave “Cartagena de las Indias”, fu sequestrato a Milano, nel momento in cui stava per essere preso in carico da uomini della ‘ndrangheta. Parlando sempre per linee molto generali, come raccomandano gli esperti, si nota negli ultimi due anni una crescita del ruolo dei calabresi – e dei pugliesi sul versante balcanico – e una diminuzione del ruolo di siciliani e camorristi. Un secondo dato generale si ricava dall’entita’ dei sequestri di droga effettuati negli ultimi anni: nel 1994 – anno d’oro della repressione in Italia – sono stati sequestrati piu’ di sei milioni di chili di cocaina (6.418.595, per l’esattezza) e di 907 mila chili di eroina. Cifre che confermano una tendenza ormai molto ben definita nei paesi dell’occidente industrializzato: cresce il consumo della cocaina, cala quello dell’eroina. Stime grossolane parlano addirittura di una diminuzione del quaranta per cento (su un totale di cinque milioni di persone) – del numero degli eroinomani nel mondo tra il 1990 e il 94. Pero’ – avvertono gli esperti – e’ un dato che vale soprattutto per gli Stati Uniti, dove il rifiuto dell’eroina ha cominciato a manifestarsi con largo anticipo sull’Europa. I grandi trafficanti, soprattutto la triade cinese e la Yakuza giapponese, hanno naturalmente spostato il loro obiettivo sulle repubbliche dell’ex Unione Sovietica (dove gli eroinomani ufficialmente schedati sono un milione e trecentomila, ma la cifra reale sarebbe di sei milioni), sui paesi islamici e sulla Cina.



MEGLIO DEL PETROLIO
. Mentre l’eroina si appresta a gettare sui marciapiedi milioni di giovani sbandati dei paesi in via di sviluppo, la cocaina tende a imporsi come droga moderna droga occidentale, che aiuta a lavorare dodici ore al giorno, che ha effetti sociali non visibili, almeno sul breve periodo. La produzione ha toccato negli ultimi dodici mesi, secondo le solite stime approssimative, le mille tonnellate. Un terzo della produzione viene assorbita dal mercato statunitense, una quota inferiore al quaranta per cento arriva in Europa. Un ettaro di terreno coltivato a coca rende al campesino che lavora per il Cartel colombiano poco piu’ di sei milioni di lire l’anno. Un chilo di pasta di coca grezza costa, al produttore, settecentomila lire. Dalla prima lavorazione si ricava un chilo di cloridato di cocaina, e il costo – considerando le spese di lavorazione, sale a poco piu’ di un milione di vecchie lire. E a questo punto che il Cartel impone la legge del monopolio: il grossista che compra quel chilo di cocaina sul luogo di produzione lo paga al prezzo medio di venticinque milioni vecchie lire. All’arrivo in Italia il prezzo impazzisce ancora, per via del rischio-trasporto. E siamo intorno ai 50 milioni di vecchie lire, a secondo della piazza e della quantita’. A questo punto, pero’, chi ha comprato il famoso chilo a un prezzo 50 volte superiore a quello di partenza, lo taglia, ne ricava un chilo e mezzo, e lo rivende ai piccoli spacciatori. Il prezzo al consumo oscilla tra le 150 e le 200 mila vecchie lire al grammo. Vale a dire 100, 150 milioni al chilo. Sull’eroina l’affare e’ ancora piu’ evidente, perche’ si tratta di una droga che si puo’ tagliare moltissime volte senza perdere tutta la sua efficacia. Un chilo di oppio grezzo viene pagato al contadino con un biglietto equivalente a nostrani cinquanta euro. Da dieci chili di oppio si ricavano un chilo e trecento grammi di eroina pura al 98 per cento. Il costo, considerando la lavorazione, e’ di un milione e duecentomila di vecchie lire circa. Il grossista italiano la compra a un prezzo che oscilla, in base alla qualita’, tra i 45 e i 90 milioni di vecchie lire. Al dettaglio la dose costa tra I 20 e I 25 euro. Cosi’ si spartiscono la torta, dal contadino birmano o ecuadoregno al piccolo spacciatore napoletano o di periferia, passando per tutte le mafie esistenti. Il volume complessivo degli affari ammonterebbe – dicono gli esperti – a 500 mila miliardi di vecchie lire. Una cifra da far invidia alle “sette sorelle”, le multinazionali del petrolio.



MARCELLO CURZIO

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