“Ma la crisi sarà vera, oppure è stata inventata per screditare l’Italia?” Si è espressa così, nei giorni del tumulto italiano che ha contrassegnato la splendida Estate di S. Martino, la nostra vox populi . Provo a interpretare, e penso che il dubbio venga soprattutto a chi prova a ragionare e vede che i conti non tornano: “come è possibile che la seconda potenza industriale (per prodotto manifatturiero pro-capite) e uno dei paesi più ricchi al mondo per patrimonio finanziario, immobiliare e culturale sia stato colpito così duramente dalla crisi dei debiti sovrani?” Allora è proprio vero, è una truffa, reclama la vox populi!
Ma chi o cosa ha scatenato i mercati finanziari internazionali nell’estate-autunno 2011 e messo in ginocchio l’Italia fino a costringere uno dei governi più solidi della sua storia repubblicana a dimettersi?
L’arresto della crescita economica
La nostra vox populi non può non convenire su un punto fondamentale dell’attuale situazione italiana, vale a dire l’arresto della crescita economica che ha colpito il paese dall’inizio degli anni ’90 e la conseguente perdita di slancio di una società che aveva trovato nella piccola e media impresa industriale il suo cavallo di battaglia.
Da qui la metafora e la litania di un paese bloccato e in declino, incapace di riprendere vigore, con le comunità del nord arrabbiate soprattutto con quelle del sud colpevoli a loro modo del disastro e quelle del sud arrabbiate a loro volta con quelle del nord che non hanno rispettato gli accordi finanziari.
Starebbe qui dunque la risposta alla nostra vox populi, e quindi all’attacco dei mercati finanziari, starebbe cioè nella crisi del modello di sviluppo italiano che tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 si manifesta con la crisi del debito prima e con quella fiscale poi.
In un certo senso, ai mercati finanziari internazionali piacciono i paesi che producono debito, ma solo se contemporaneamente producono anche crescita, come è accaduto per molti anni all’Italia e poi agli Stati Uniti. Se la crescita si ferma, i mercati colpiscono senza se e senza ma e la politica può fare poco se non è capace di rimettere subito in moto la crescita.
Come e perché la crescita italiana si è bloccata?. Vuoi vedere che ancora una volta è colpa della globalizzazione e quindi in definitiva dei mercati finanziari internazionali? Più che un dubbio ideologico, però, questa affermazione mi sembra contenere in sé un profondo senso di paura e di smarrimento da parte di una società che si è adagiata sugli allori del miracolo economico e che non è riuscita a reinventarsi di fronte ai cambiamenti globali, dovuti anche a centinaia di milioni di persone che in mondi pressoché sconosciuti si affacciavano sulla via dello sviluppo.
Di domanda in domanda arriviamo spediti al cuore del problema e sorge spontanea un’ulteriore domanda: perché l’Italia non è riuscita e non riesce più a cambiare, a innovare, a ritrovare lo slancio, a sprigionare di nuovo le sue grandi energie di paese leader come è avvenuto tante volte nella sua millenaria storia?
Chi non si è sottratto per lunghi anni della sua carriera di docente universitario, e di consigliere politico e di dirigente pubblico, alla profondità e alla severità, e forse anche al fascino, di questa domanda è Luca Meldolesi che dopo essersi occupato a lungo di problemi dello sviluppo economico e, nello specifico, di sviluppo del Mezzogiorno, è approdato sul terreno nuovo e quasi del tutto inesplorato per l’Italia del Federalismo Democratico.
Alla scoperta del federalismo
L’ultima significativa prova del lungo esercizio meldolesiano di scoperta del federalismo democratico è il volume “Federalismo oltre le contraffazioni” (Napoli, Guida Editore, 12€) che in qualche modo fa giustizia anche di quell’imbroglio di cui si sente vittima la vox populi italiana.
Va detto subito che il libro si inserisce nell’arco di una decennale fatica intellettuale dell’autore che a partire da “Il giuoco degli Dei” (2006) prosegue con “La quarta libertà” (2007), “Il nuovo arriva dal Sud” (2009), “Milano-Napoli. Prove di dialogo federalista” (2010) e “Federalismo democratico” (2010) il libro che raccoglie la parte più teorica e di elaborazione intellettuale della nuova prospettiva federalista.
Ed è un libro, il nostro, che nasce proprio dal successo degli ultimi due, quelli che usciti quasi contemporaneamente nell’autunno del 2010, provocheranno un interessante quanto inatteso dibattito sull’asse Napoli Milano. Quel dibattito, con i contributi tra gli altri di Marco Vitale e Alberto Carzaniga, Piero Bassetti e Santo Versace, dà vita e corpo a “Federalismo oltre le contraffazioni” e introduce la speranza che in Italia si possa parlare di federalismo nel senso più autentico del termine.
Un punto chiave che emerge dal dibattito, così come lo si legge nel libro, è l’assoluta necessità di superare la logica strettamente fiscale e separatista che anima il federalismo fiscale italiano, quello per intenderci di Bossi, Calderoli e Berlusconi che ha trovato piena formalizzazione nella Legge 42 del 2009.
Federalismo maschera
Quel federalismo, sostiene il libro, è un autentico falso, una brutta imitazione. Ciò che il governo ha tentato di spacciare per federalismo è in realtà il tentativo di introdurre un nuovo sistema di finanziamento degli enti territoriali, una riforma quindi essenzialmente fiscale che si inserisce nella più ampia riforma italiana del decentramento amministrativo.
“Diffidare delle imitazioni” dice, dunque, Meldolesi e, soprattutto, diffidare delle scorciatoie, tutte italiane, che pretendono di risolvere problemi strutturali e a profonda matrice culturale con semplici quanto pericolosi stratagemmi fiscali.
“E’ una strada difficile, non v’è dubbio: ma sappiamo che esiste – scrive Meldolesi nella premessa. Il panorama mondiale – quello dei paesi più avanzati in questo campo, come la Svizzera, gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia – ce la indica. Sappiamo che afferma il merito e la responsabilità dei dipendenti pubblici e dei cittadini; la cooperazione e l’emulazione delle istituzioni e dei loro uffici su un piede di parità; l’interpenetrazione (il marble-cake) istituzionale e lo sprigionamento delle energie latenti, pubbliche e private. Sappiamo che, tramite architetture politiche ed istituzionali che possono essere tra loro assai diverse, la preoccupazione chiave del sistema pubblico nel suo complesso dovrà essere rivolta ai territori ed alle popolazioni; che i politici dovranno ‘sapere’ d’amministrazione ed i funzionari di politica; e che la partecipazione informata e consapevole dei cittadini alla cosa pubblica, come individui e come gruppi, dovrà aumentare considerevolmente”.
Il federalismo oltre le contraffazioni
Oltre ad un importante contributo di Marco Vitale, scritto per la presentazione napoletana dei due volumi del 2010, “Federalismo oltre le contraffazioni” reca un importante scritto di un grande servitore dello Stato, l’ing. Alberto Carzaniga, a cui dobbiamo l’immenso sforzo di introdurre anche in Italia la contabilità pubblica on-line, e la trascrizione integrale del convegno all’Ambrosianeum di Milano del 31 gennaio 2011, a cui ho avuto la fortuna di assistere in prima persona, con gli interventi ulteriori di Marco Vitale e Alberto Carzaniga, e quelli di Santo Versace, Piero Bassetti, Fiorello Cortiana, Giancarlo Pagliarini, Giuseppe Valditara, Andrea Kerbaker, Bruno Tabacci, Cesare Grossi, Alan Ferrari, Edoardo Croci, Caterina Farao e Pippo Civati. Completano il volume la recensione di Stefano Fracasso apparsa su Economia e società regionale, lo scritto di Rosaria Amentea su “Territorio e federalismo” e il manifesto “Imprenditori e federalismo democratico”.
Un dibattito, dunque, che dipanandosi tra Napoli e Milano, con due importanti momenti collaterali tra Giugliano e Castellammare di Stabia, alimenta quella “propensione all’incoraggiamento” necessaria per spingere il federalismo oltre le contraffazioni.
“Sappiamo che nessuno ci regalerà tale trasformazione ‘gratis et amore dei’ – scrive ancora nella premessa Meldolesi; anzi che bisognerà fronteggiare sfide difficili, molte delle quali oggi imprevedibili. E che tale processo è in gran parte da mettere ancora in moto”.
Così, dopo aver sviluppato ulteriormente il ragionamento, anche alla luce dell’acuirsi della crisi italiana e delle opportunità che questa dischiude, nella postafazione Meldolesi dichiara come “le idee riflettono, almeno in parte, l’esperienza”. “Nel mio caso, per quel poco che possa valere, si tratta indubbiamente di una conoscenza diretta, di prima mano della realtà politico-istituzionale centrale e locale – confrontata, da un lato, al funzionamento dei paesi leaders del federalismo democratico, e, dall’altro, al lavoro entusiasta e straordinariamente efficace/efficiente di tanti giovani che sono riuscito a mettere in movimento”.
“È questa verità accecante (e non un convincimento puramente intellettuale)– scrive ancora Meldolesi nelle ultime righe del libro –, che mi ha convinto a prendere la strada complessa del federalismo democratico”.


