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Duplice omicidio Montanino-Salierno, cancellati tre ergastoli per gli Abbinante e Pariante

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Tre assoluzioni. Tre ergastoli cancellati. Dopo 11 anni di processo e 13 dall’emissione della misura cautelare, il duplice omicidio di Fulvio Montanino e Claudio Salierno chiude forse il suo interminabile cerchio giudiziario. È il delitto che fece da apripista alla faida di Scampia, l’inizio di uno dei conflitti criminali più sanguinosi della storia recente di Napoli.

Nel terzo appello la Corte d’Appello di Napoli ha annullato gli ergastoli inflitti a Raffaele e Francesco Abbinante e a Vincenzo Pariante, fratello del boss Rosario, storico numero due del clan Di Lauro. L’ultima sentenza assolve tutti e tre gli imputati, facendo prevalere la linea difensiva degli avvocati Claudio Davino e Antonietta Genovino.

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In primo grado e nel primo appello i tre erano stati condannati all’ergastolo; la Cassazione aveva già annullato una prima volta, imponendo un nuovo giudizio. La Corte d’Appello (IV sezione, presidente Vescia) confermò comunque il primo verdetto. Poi un nuovo ricorso, un nuovo annullamento della Suprema Corte e infine questo terzo passaggio, che accoglie del tutto le tesi della difesa.

La “prova d’amore” alla Scissione

Nel giugno 2019 la Cassazione mise invece la parola fine al processo per i vertici della Scissione, il fronte che con quel duplice omicidio sancì la rottura definitiva dai Di Lauro. Condannati:
Cesare Pagano, Carmine Pagano, Arcangelo Abete, Antonio Della Corte, Angelo Marino, Gennaro Marino, Ciro Mauriello ed Enzo Notturno.

Condanne a 21 anni per Rito Calzone, Roberto Manganiello, Francesco Barone e Ferdinando Emolo. Quest’ultimo, unico imputato affiliato ai Di Lauro, fu riconosciuto colpevole di spari in luogo pubblico, porto e detenzione illegale di arma con aggravante camorristica: dopo l’omicidio Montanino-Salierno, infatti, il clan seminò il terrore nelle Case Celesti.

Determinante nel ricostruire il contesto il racconto di vari collaboratori, tra cui Luigi Secondo, che spiegò:
«Arcangelo Abete e Gennaro Marino spingevano per l’eliminazione di Montanino, perché presumevano che uccidendolo Paolo Di Lauro, allora latitante, sarebbe tornato a guidare il clan, ridimensionando il figlio Cosimo. Volevano dare la “prova d’amore” a Raffaele Amato e Cesare Pagano – che non si fidavano di Marino – e proposero l’omicidio, chiedendo anche di essere presenti all’esecuzione. Cesarino e ’o Lello acconsentirono perché era necessario iniziare la guerra».»

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