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Faida interna agli Amato-Pagano, assolto il ras Mauriello

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La storia della guerra tutta interna agli Amato-Pagano si arricchisce di un nuovo, clamoroso capitolo. La Corte d’Assise d’appello di Napoli (III sezione) ha infatti assolto
Raffaele Mauriello per l’omicidio di Andrea Castiello. Decisive le argomentazioni del collegio difensivo del ras di Melito (guidato dall’ avvocato Luigi Senese e comprendente gli avvocati Maria Grazia Padula e Lucia Boscaino).

Una decisione che ribalta completamente la situazione giudiziaria dell’imputato che in primo grado era stato condannato sulla scorta delle dichiarazioni di ben quattro collaboratori di giustizia. In particolare a carico di Mauriello c’erano le dichiarazioni dell’ex boss di Arzano Pasquale Cristiano che professandosi anch’egli colpevole per l’omicidio aveva tirato in ballo lo stesso Mauriello come partecipe all’omicidio.

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Lo scontro i maranesi e i melitesi degli Amato PAgano

Inoltre ad accusare Mauriello erano anche i fratelli Caiazza (Michele e Paolo) nonché Antonio Accurso. Gli avvocati sono riusciti a smontare totalmente le accuse dei pentiti hanno ottenuto una clamorosa assoluzione nell’interesse di Mauriello. L’assoluzione è da ritenersi ancora più clamorosa in quanto per lo stesso omicidio Dario Amirante, che è stato giudicato separatamente, aveva riportato il condanna all’ergastolo. L’omicidio di Andrea Castiello maturò nell’ambito della guerra di camorra scatenatasi all’indomani della cattura di Mariano Riccio, sino a quel momento capo del clan.

Il nepotismo del boss Pagano

La difficile legittimazione del suo potere, atteso il sospetto di un forte nepotismo da parte di Cesare Pagano nella scelta del genero come capo, aveva spinto Riccio a far assumere ruoli di sempre maggiore importanza ai suoi fedelissimi, denominati “maranesi”, a scapito della vecchia guardia (gli affiliati denominati i “melitesi”), i quali avevano covato la rivincita e le mire di riconquista delle posizioni di vertice, obiettivi che ineluttabilmente dovevano condurre all’epurazione dei “maranesi” ed all’eliminazione fisica dei sodali più vicini al Riccio.

Il movente di entrambi gli omicidi maturò nel contesto dello scontro strisciante tra le due fazioni (trasformatosi poi in faida interna), le cui ragioni di fondo sono rappresentate dalla contrapposizione tra i nuovi ed i vecchi affiliati. La caccia all’uomo si aprì immediatamente all’indomani dell’arresto di Riccio, con incursioni armate, azioni violente in pieno giorno nel centro di Melito e di Mugnano, unitamente all’organizzazione di vere e proprie trappole tese a tradimento in cui sono cadute le vittime degli omicidi ricostruiti poi negli anni dalla Dda.

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