venerdì, Agosto 15, 2025
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Rabbia al funerale di Emanuele Tufano, il Vescovo Battaglia: “Una routine perversa, l’ennesima giovane vita spezzata”

“Nessuno muore sulla terra finché vive nel cuore. Manu vive”. Questo lo striscione esposto all’esterno della Basilica di Santa Maria della Sanità dove si svolgono i funerali di Emanuele Tufano, 15enne ucciso la settimana scorsa in una traversa di Corso Umberto a Napoli. Le esequie sono presiedute dall’arcivescovo di Napoli Mimmo Battaglia.
Intorno alla chiesa, sul cui ingresso ci sono palloncini bianchi, si stanno radunando parenti, amici e abitanti del quartiere Sanità. Molti ragazzi hanno una maglietta dedicata al giovane con la scritta sulla schiena “Quel giorno mentre a te venivano donate delle splendide ali a noi veniva strappato via il cuore per sempre”.
Emanuele è stato ucciso nella notte tra il 23 e il 24 ottobre, nel corso di un conflitto a fuoco tra “paranze” di giovanissimi del rione Sanità e di piazza Mercato.

Pasquale Pellecchia, il nonno di Emanuele, dichiara: “Non ha spiegazione quello che è successo. Mio nipote si è trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Lui era sempre con me”- racconta seduto sulle scale della chiesa in attesa dell’arrivo del feretro. “Se avessi saputo dove voleva andare, gli avrei detto di rimanere in casa con me. Siamo disperati”.

L’OMELIA DI DON MIMMO BATTAGLIA

Un copione, un canovaccio, una routine perversa: l’ennesima giovane vita. L’ennesimo funerale. Gli ennesimi appelli. L’ennesima indifferenza e impotenza. L’ennesima voglia di non parlare, di non dire nulla poiché nulla è rimasto da dire e il tempo delle parole è ormai finito. Perché non ci sono parole che possano lenire il dolore di due genitori, di una famiglia che vede spezzata la vita del proprio figlio. E come comunità, come Chiesa, siamo qui per condividere questo dolore. Siamo qui per portare insieme il peso di una sofferenza che è troppo grande per essere sopportata da soli.

Quindici anni. Un’età in cui si sogna, si scopre il mondo, si costruiscono speranze. E invece, oggi ci troviamo di fronte a una morte assurda che lascia dentro di noi un vuoto terribile e uno sconcerto che sembra non passare. Ci chiediamo il perché. Perché tanta violenza? Perché dei ragazzi uccidono? Cosa e dove stiamo sbagliando? Perché molti nostri giovani sembrano essere attratti da appartenenze oscure piuttosto che da possibilità di luce e di bene? E noi adulti siamo ancora capaci in questa città di testimoniare queste possibilità, di accogliere e raccogliere il grido disperato e inconsapevole di tanti suoi figli? Queste domande ci abitano il cuore, e spesso restano senza risposte. Ma proprio in momenti come questo, quando la disperazione sembra prendere il sopravvento, l’unica sorgente di speranza in cui intingere il nostro dolore è quella del Vangelo. Come discepoli di Gesù, solo nelle “parole di vita eterna” del Maestro possiamo trovare una speranza che supera la morte stessa.

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Forse questo è il nostro grido e la nostra preghiera oggi. Forse questa è la preghiera carica di rabbia e disperazione dei tanti che sono rimasti attoniti dinanzi a quest’ennesima morte violenta e senza senso. Dio mio, perché ci hai abbandonato? Perché hai abbandonato i tanti ragazzi che a volte anche a causa di scelte sbagliate e ambienti che non sanno custodire la vita si ritrovano a morire così giovani, così piccoli? Possibile che Napoli continui a partorire molti dei suoi figli per poi sacrificarli sull’altare di un’inutile e insensata violenza?

Sono queste le nostre preghiere oggi, queste le nostre domande, domande che pesano come macigni, che annebbiano la vista dell’anima, imprigionandoci nel buio della morte e della disperazione. Ma il Vangelo ci dice che la morte di Gesù non è stata l’ultima parola e che il Padre non ha permesso che la pietra sepolcrale si trasformasse in un sipario pesante e definitivo sulla Sua vita. Il buio del Venerdì Santo è stato infatti illuminato dalla luce della Resurrezione. Ed è quella luce, oggi, che vogliamo e dobbiamo celebrare. E a quella luce che oggi dobbiamo affidare Emanuele. Gesù ci dice: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 11,25). Noi affidiamo Emanuele a queste parole di Gesù, alle mani misericordiose di Dio, il Dio che perdona, accoglie, ama, e fa fiorire la vita dove gli uomini non sanno preservarla e seminano la morte.

Emanuele, il tuo nome porta in sé una promessa, un messaggio di speranza perché racconta la presenza di un Dio che non è lontano dagli uomini, ma accanto a loro, con loro, con noi. Ma per te, Emanuele, quel significato sembra essersi smarrito, infranto in una notte di violenza che non avrebbe mai dovuto esserci. E così, in un paradosso amaro, il significato del tuo nome sembra una promessa tradita. Ma Dio non viene meno alle sue promesse e non permetterà, che la nostra la vita, che la tua vita, che la vita di ciascuno dei suoi figli resti prigioniera della morte. Perché è fedele alle sue promesse e non le dimentica. Noi si invece, noi le dimentichiamo. Noi dimentichiamo con troppa facilità. Dimentichiamo il sangue che scorre, dimentichiamo il terrore negli occhi, dimentichiamo le urla delle madri, dimentichiamo i figli di questa città abbandonati a sé stessi e consegnati alle celle di un carcere o al cimitero. Noi si, noi dimentichiamo. E tiriamo a campare. Distraendoci e stordendoci. Raccontando di una città che esiste solo in parte, rifugiandoci nei numeri del turismo, nei protocolli avviati, distogliendo lo sguardo da questa follia di un mondo adulto che non vede più i suoi figli più giovani e più fragili.

Fratelli e sorelle, basta con le promesse tradite!

Basta con la violenza che spezza vite innocenti e lascia intere famiglie nel dolore e nella disperazione!

Basta con ragazzi abbandonati a sé stessi che trattano la vita dei coetanei come merce senza valore!

Basta con l’indifferenza che ci rende complici di un sistema malato!

Basta con la paura di affrontare le ingiustizie che ci circondano!

Basta con il traffico di armi che arriva fino ai più piccoli!

Basta con la criminalità che ruba il futuro ai nostri giovani!

Basta con una politica che non mette al centro di tutto i più piccoli, nostro presente e il nostro futuro!

Basta con la rassegnazione, che ci fa vivere come se non ci fosse più speranza!

Basta con il lasciare che i nostri ragazzi crescano senza alternative, senza opportunità!

Basta con una Napoli che si lascia soffocare dal buio, senza reagire!

Fratelli e sorelle, non possiamo più ignorare ciò che sta accadendo intorno a noi. Non possiamo far finta che la violenza che strappa i nostri giovani dalle loro famiglie non ci riguardi tutti. Non possiamo indignarci superficialmente per ridarci appuntamento alla prossima tragedia. Questo è un momento in cui dobbiamo interrogarci come comunità: cosa possiamo fare per proteggere i nostri figli? Come possiamo costruire una Napoli diversa, una città che non consegni i suoi giovani alla violenza, ma offra loro un futuro di speranza? Ognuno di noi ha una responsabilità. Le parole del Vangelo ci invitano all’amore, alla compassione, al perdono, ma anche alla giustizia. Dobbiamo essere costruttori di pace, nelle nostre famiglie, nelle scuole, nei quartieri. Dobbiamo offrire ai nostri giovani una strada diversa, una via che non sia quella della criminalità e della violenza, ma quella dell’amore e del rispetto per la vita.

Preghiamo oggi per Emanuele, preghiamo per chi è nel dolore, preghiamo per tutte le vittime della violenza e del sopruso, preghiamo anche per la conversione di chi continua a spargere morte, affinché si converta e scelga la vita. E infine preghiamo per tutta la nostra città, affinché possa risorgere, possa diventare un luogo dove i nostri giovani crescano serenamente. Chiediamo al Signore di aiutarci, di svegliarci dal torpore della rassegnazione per fare in modo che nessuno di loro si senta mai solo o inascoltato, che ogni bambino, ragazzo e giovane possa vivere senza paura, nella sicurezza del presente e nella speranza di un domani diverso. Che dia nuovo vigore al nostro impegno a lavorare sul serio, senza più rimandi per tutti i ragazzi di Napoli, per i loro sogni e il loro futuro affinché trovino nelle strade della nostra città non pericoli, ma cammini sicuri per la loro crescita, per la loro felicità. Che il Signore ci dia la forza di trasformare ogni dolore in impegno, la disperazione in speranza, e la morte in una nuova vita. Chiediamo al Signore per tutti noi adulti il dono dell’inquietudine, affinché non restiamo indifferenti, affinché troviamo il coraggio di cambiare ciò che deve essere cambiato, di disarmare una città dove le armi la fanno da padrone, di costruire una comunità più giusta, dove ogni vita sia rispettata e amata. Preghiamo insieme per la nostra Napoli, affinché ritrovi la sua bellezza e la sua dignità, e sia davvero un luogo dove tutti possano vivere in pace, nella giustizia, senza paura, con fiducia.

E voi ragazzi, amici di Emanuele, compagni di scuola, ragazzi tutti che oggi piangete un vostro coetaneo, ragazzi e giovani di Napoli, io sono qui per tutti voi. A voi dico, supplicandovi come un padre che non sa più che fare oltre ad appellarsi a tutti coloro che possono aiutarlo nel costruire per voi un presente e un futuro migliore: scegliete la vita, disprezzate la violenza, prendete le distanze dai modelli criminali che vi vengono proposti, amate, servite, custodite la vita, la vostra vita, la vita degli altri, disarmate cuori e mani, disarmate parole e pensieri. Questa vita, nel suo tempo terreno, è una sola e dovete celebrarla con la bellezza della vostra gioia luminosa e non con il ghigno della prepotenza e del sopruso! Ve ne prego, servite la vita, la vostra vita, la vita che vi pulsa dentro, vivetela a pieno, non sprecatela, rispettatela in voi stessi e negli altri, amatela, amatevi, sognate, camminate insieme, gli uni accanto agli altri, costruendo una città più fraterna, inclusiva, pacifica! Un ultimo messaggio lo rivolgo a quei ragazzi che credono di risolvere tutto con la violenza: vi prego, deponete le armi, abbandonate la logica del sopruso e della prepotenza e lasciatevi raggiungere, educare ed accompagnare da chi crede ancora in voi, da chi vede nel vostro cuore un punto sacro e accessibile al bene. Perché è in gioco la vostra vita e cambiare è possibile.

 

Il prefetto di Napoli: “Omicidio di Emanuele Tufano sintomo di una realtà. L’emergenza educativa riguarda tutti”

“Quello che è successo l’altro giorno è sintomo di una realtà. Non è un episodio. Questo significa che qualcosa non sta funzionando sul piano della cognizione dei valori da parte dei ragazzi. Abbiamo giovanissimi che non sanno quale è il valore della vita”. A parlare è Michele di Bari, prefetto di Napoli, in merito alla morte di Emanuele Tufano, il 15enne ucciso la notte del 24 ottobre in una sparatoria che sarebbe collegata ad uno scontro tra bande di giovanissimi.
La sparatoria sintomo di una emergenza sociale
A Fanpage.it, il Prefetto si sofferma soprattutto sul contesto in cui maturano episodi del genere. “Qui a Napoli, di progressi, ne sono stati fatti – dice – c’è un sistema di videosorveglianza diffusissimo, oltre mille dispositivi e altri 350 in arrivo a breve. Ma dobbiamo incrementare sempre di più. Però, quando sento le persone che si lamentano che la notte ci sono scorribande di giovanissimi… è un tema che dobbiamo porci tutti. Perché, mi chiedo, un ragazzo di 14 anni, dove dovrebbe stare la notte? Non mi dò risposte, ma c’è una emergenza educativa che tutti dobbiamo affrontare“.
Armi e dispersione scolastica, temi collegati
Nei mesi scorsi il tema delle armi è stato centrale nell’operato della magistratura e delle forze dell’ordine e della Prefettura, nell’ottica secondo cui toglierle dalla strada significa prevenire dei reati. “I dati ci dicono che il nostro lavoro è stato premiato – dice di Bari – ma non è ancora sufficiente. Noi avevamo attivato anche servizi di controllo nelle scuole, perché è lì che possono entrare armi e droga. Alla famiglia di Emanuele Tufano bisogna dare giustizia non solo sul piano giudiziario, e per questo la magistratura sta lavorando alacremente, ma soprattutto sul piano umano. Morire a 15 anni è una scossa alla città
, questo ci deve fare pensare tutti. La nostra attività è a 360 gradi, sia sulla prevenzione delle armi sia sull’elusione e la dispersione scolastica, perché i temi sono tra loro collegati”.

Antonio Sabbatino
Antonio Sabbatinohttp://InterNapoli.it
Iscritto all'Albo dei pubblicisti dall'ottobre 2012, ho sviluppato nel corso degli anni diverse competenze frutto dell’esperienza sul campo in ambito politico, sociale, della cronaca, sia bianca che nera. Sono stato conduttore radiofonico di programmi musicali presso Radioattiva, radio web napoletana e redattore e collaboratore di diverse testate online. Attualmente sono inviato per InterNapoli.it che rappresenta una delle realtà più dinamiche del panorama giornalistico napoletano, campano, la neonata testata Tell che approfondisce i grandi temi politico-sociali a più livelli e Comunicare il Sociale rivista specializzata di Terzo Settore. Vincitore di diversi premi giornalistici locali e nazionali, sono mosso sempre dalla curiosità: il vero sale di questo mestiere.