Da giorni tutta la Spagna è in ansia per Julen, il bimbo caduto in uno strettissimo ma profondissimo pozzo a Malaga, che i soccorritori stanno cercando con tutte le forze di riportare in superficie. Un episodio simile si verificò nel 1981 in Italia e vide protagonista Alfredino Rampi, il bambino di 6 anni capace con la sua tragica disavventura di attaccare alla tv milioni di italiani.
Di seguito la tragica storia che vide protagonista il povero Alfredino, riassunta dall’enclopedia multimediale Wikipedia.
Nel giro di pochi minuti i soccorritori si radunarono all’imboccatura del pozzo. Come prima cosa venne calata nella voragine una lampada, tentando invano di localizzare il bambino. La prima stima rilevò che Alfredo era bloccato a 36 metri di profondità: la sua caduta era stata arrestata da una curva o una rientranza del pozzo.
Le operazioni di soccorso
Le operazioni di soccorso si rivelarono subito estremamente difficili in quanto la voragine presentava un’imboccatura larga 28 cm, una profondità complessiva di 80 metri e pareti irregolari, piene di sporgenze e rientranze. Giudicando impossibile calarvi dentro una persona, il primo tentativo di salvataggio consistette nel calare nell’imboccatura una tavoletta legata a corde, allo scopo di consentire al bimbo di aggrapparvisi per sollevarlo; tale scelta si rivelò un grave errore, in quanto la tavoletta si incastrò nel pozzo a 24 metri, ben al di sopra di Alfredino e non fu più possibile rimuoverla, poiché la corda che teneva la tavoletta si spezzò e di conseguenza il condotto ne risultò quasi completamente ostruito.[5] Attorno all’una di notte alcuni tecnici della Rai, allertati allo scopo, piazzarono una telecamera nelle vicinanze e calarono nel budello roccioso un’elettrosonda a filo, per consentire ai soccorritori in superficie di comunicare con Alfredino. Il bambino, almeno per il momento, rispondeva lucidamente.
Le difficoltà
Non essendo possibile calare una persona direttamente nello stretto pertugio, si pensò di scavare un tunnel parallelo al pozzo, da cui aprire un cunicolo orizzontale lungo 2 metri, che consentisse di penetrare nella cavità poco sotto il punto in cui si supponeva si trovasse il bambino. Per far ciò occorreva una sonda di perforazione, che fu reperita alle ore 6:00, dalla ditta Tecnopali di Roma, grazie alla pronta disponibilità del giornalista del TG2 Pierluigi Pini, che aveva visto per caso un appello in tal senso su una emittente televisiva privata laziale e ne possedeva una.
Alle ore 4:00 dell’11 giugno giunse sul posto un gruppo di giovani speleologi del Soccorso Alpino, che si offrirono come volontari per calarsi nel sottosuolo. Il caposquadra, il ventiduenne Tullio Bernabei, di corporatura sufficientemente magra, fu il primo a scendere nel pozzo: calato a testa in giù, tentò di rimuovere la tavoletta che era rimasta incastrata. Tuttavia i restringimenti del pozzo gli consentirono di arrivare solo a un paio di metri da questa. Dopo di lui si calò un secondo speleologo, Maurizio Monteleone, ma anch’egli arrivò a pochissima distanza dalla tavoletta, non riuscendo a prenderla. Nel frattempo i Vigili del fuoco avevano incominciato a pompare ossigeno nel pozzo, allo scopo di evitare l’asfissia del bambino.
Alfredino cominciò a lamentarsi
Il comandante dei Vigili del fuoco di Roma, Elveno Pastorelli, giunto nel frattempo sul posto, ordinò allora di sospendere i tentativi degli speleologi e concentrare gli sforzi nella perforazione del “pozzo parallelo”. Una geologa lì presente, Laura Bortolani, ipotizzando i substrati di terreno molto duri che si sarebbero incontrati in profondità, fece notare a Pastorelli che sarebbe occorso un lungo tempo per la perforazione, e pertanto propose di proseguire anche con gli altri tentativi nel pozzo in cui si trovava Alfredino. Secondo Tullio Bernabei tale suggerimento sarebbe stato respinto da Pastorelli, il quale avrebbe ribadito il divieto di ulteriori discese, ordinando pertanto agli speleologi di sgomberare.[5]
Alle ore 8:30 la sonda cominciò a scavare: a tutta prima il terreno si rivelò friabile e la macchina riuscì a calare di 2 metri in due ore. Verso le 10:30 tuttavia, come previsto dalla dottoressa Bortolani, l’apparato incontrò uno strato di roccia granitica (noto come “cappellaccio”) dura e difficile da scalfire. Nel frattempo Alfredino si lamentava per il forte rumore e alternava momenti di veglia a colpi di sonno; al contempo cominciò a chiedere da bere.
Onde medie off
Alle 10:30, per non interferire con le comunicazioni via etere dei soccorritori, la Rai e le stazioni radiofoniche laziali disattivarono i loro ponti radio in onde medie.[5]
Verso le 13:00, su specifica richiesta dei soccorritori, arrivò sul posto un’altra perforatrice, più grande e potente della prima. All’incirca alla stessa ora andavano in onda le edizioni di mezza giornata del TG1 e del TG2: fu a questo punto che la Rai incominciò a occuparsi con vivo interesse del fatto (già affrontato con alcuni servizi trasmessi nei notiziari della notte precedente). Il giornalista Piero Badaloni affermò che il comandante Pastorelli aveva diramato la previsione che nel giro di pochissime ore la perforazione si sarebbe conclusa e l’operazione di salvataggio sarebbe andata a buon fine; per questa ragione il TG1 si collegò in diretta con Vermicino, nella prospettiva di riprendere il salvataggio in tempo reale.[5][6] Poco dopo anche il TG2 e il TG3 decisero di unirsi alla cronaca diretta dei fatti.
in 10.000 per Alfredino
Nel frattempo attorno al pozzo si era raccolta una folla di circa 10 000 persone: fu a questo punto che incominciarono ad arrivare anche i venditori ambulanti di cibo e bevande. Probabilmente anche questo colossale assembramento (la zona non era transennata e chiunque poteva arrivare fino all’imboccatura della cavità) ebbe un ruolo rilevante nel rallentare la macchina dei soccorsi.
Intorno alle 16:00 entrò in azione la seconda perforatrice: la prima era riuscita a scavare un pozzo di 20 metri di profondità (contro i 25 pronosticati all’inizio) e 50 cm di diametro. I tecnici operatori di questa nuova macchina, che l’avevano montata a tempo di record (3 ore contro le 12 previste dal manuale), sottolinearono la cospicuità del problema rappresentato dal sottosuolo duro e compatto, prevedendo non meno di 8-12 ore di lavoro per arrivare alla profondità richiesta.
Alle 18:22 il pozzo parallelo aveva raggiunto una profondità di 21 metri e 4 centimetri: la sonda continua a scavare con difficoltà. Interpellato allo scopo, Elvezio Fava, primario di rianimazione all’ospedale San Giovanni, si dedicò a controllare le condizioni di salute del bambino, che era affetto da una cardiopatia congenita in attesa di essere operata a settembre: per il momento non si ravvisavano disfunzioni.
Il terzo impianto di perforazione
Alle ore 20:00 entrò in funzione un terzo impianto di perforazione, più piccolo e agile; al contempo fu calata nel pozzo una flebo di acqua e zucchero, per tentare di dissetare Alfredino. Ritenendo non più necessario lasciare libere le frequenze, le stazioni radio locali ripresero le trasmissioni in onde medie.[5][6]
Alle 21:30 si rese necessaria una pausa nella perforazione; alle 23:00 fu autorizzato a scendere nel pozzo un volontario: Isidoro Mirabella, un manovale siciliano cinquantaduenne, residente a Castelchiodato di Mentana, dal fisico minuto e subito ribattezzato “l’Uomo Ragno”; egli però, a causa di ostacoli tecnici, non riuscì ad avvicinarsi a sufficienza al bambino, anche se poté parlargli.[7]
Il bisogno di accelerare
Alle 7:30 del 12 giugno la perforatrice era scesa soltanto a 25 metri di profondità.[8] Un’ora e mezzo dopo incontrò un terreno più morbido, che le consentì di accelerare la discesa; nel frattempo i soccorritori continuavano a parlare col bambino. Alfredino aveva cominciato a piangere dicendo di essere stanco, tramite l’elettro-sonda (primo fra tutti il pompiere Nando Broglio, che non lasciò un attimo il bordo del pozzo).
Alle 10:10 lo scavo parallelo era arrivato a una profondità di 30 metri e 5 centimetri. Un ingegnere dei vigili del fuoco rivide al ribasso la stima della profondità cui si trovava il bambino: 32,5 m invece di 36. Si decise pertanto di accelerare i lavori e di incominciare immediatamente a scavare il raccordo orizzontale fra i due pozzi, prevedendo di sbucare un paio di metri sopra Alfredino. Alle 11:00 giunse sul posto una scavatrice a pressione per scavare il tunnel di connessione, che tuttavia si bloccò poco dopo l’accensione. Tre vigili del fuoco incominciarono quindi a scavare a mano. Nel frattempo Alfredo aveva smesso di rispondere ai soccorritori, e i medici presenti sul posto, che ascoltavano il suo respiro, riferirono che stava peggiorando: 48 espirazioni al minuto.
L’arrivo di Sandro Pertini
Alle 16:30 giunse sul posto il Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Alle 19:00 il cunicolo orizzontale fu completato e finalmente il pozzo di Alfredino fu posto in comunicazione con il pozzo parallelo, a 34 metri di profondità. Tuttavia, si dovette prendere atto del fatto che Alfredino non era nelle vicinanze del foro appena aperto. Probabilmente anche a causa delle vibrazioni causate dalla perforazione, era scivolato molto più in basso. E nemmeno si sapeva di quanto. Pastorelli richiamò gli speleologi e Bernabei fu calato nel secondo pozzo. Si affacciò dal cunicolo orizzontale e calò una torcia legata ad una cimetta per calcolare almeno in termini di massima la posizione del bimbo, che risultò lontano circa una trentina di metri. In seguito, si accertò che Alfredino si trovava a circa 60 metri dalla superficie.
La discesa di eroici volontari
L’unica possibilità rimasta era la discesa di qualche volontario lungo il pozzo artesiano, fino a quota -60 metri. Il primo fu uno speleologo, Claudio Aprile, che si pensò di introdurre nel pozzo artesiano dal cunicolo orizzontale. Tuttavia, l’apertura di comunicazione si rivelò troppo stretta per permettere di accedere da lì al pozzo artesiano ed il giovane speleologo dovette desistere.
Un coraggioso volontario, Angelo Licheri[9], piccolo di statura e molto magro, autista-facchino presso la tipografia romana “Quintily” di via di Donna Olimpia, si fece calare nel pozzo artesiano per tutti i 60 metri di distanza dal bambino.[10] Licheri, cominciata la discesa poco dopo la mezzanotte fra il 12 ed il 13 giugno, riuscì ad avvicinarsi al bambino, tentò di allacciargli l’imbracatura per tirarlo fuori dal pozzo, ma per ben tre volte l’imbracatura si aprì; tentò allora di prenderlo per le braccia, ma il bambino scivolò ancora più in profondità. Per di più, nell’effettuare il suo coraggioso tentativo, involontariamente gli spezzò anche il polso sinistro. In tutto, Licheri rimase a testa in giù ben 45 minuti, contro i 25 considerati soglia massima di sicurezza in quella posizione,[11][12] ma dovette anch’egli tornare in superficie senza Alfredino.
Il tentativo di Denis Rock
Dopo Licheri cominciarono ad offrirsi vari volontari, fra cui nani, esperti di pozzi e persino un contorsionista circense soprannominato “Denis Rock”. Intorno alle ore 3:00 venne imbracato, per un altro tentativo, Pietro Molino, un ragazzo di 16 anni originario di Napoli. Anch’esso di corporatura esile e giunto sul posto accompagnato da un cugino. Ma poiché minorenne e senza il diretto consenso dei genitori per tentare di salvare Alfredino, il ragazzo venne fermato dal magistrato presente sul posto, proprio nel momento in cui era pronto ad effettuare la discesa.
Gli ultimi disperati tentativi
Verso le 5:00 del mattino ebbe inizio il tentativo di un altro speleologo, Donato Caruso. Anch’egli raggiunse il bambino e provò a imbracarlo. Ma le fettucce da contenzione psichiatrica che aveva usato e che avrebbero dovuto assicurare una sorta di effetto cappio, scivolarono via al primo strattone. Caruso si fece ritirare su fino al cunicolo di collegamento, dove si fermò per riposare e poi ritentare. Dopo un poco, infatti, ridiscese. Effettuò altri tentativi con delle manette. Un metodo molto più rischioso anche per il soccorritore perché queste erano legate alla stessa sua corda di sicurezza. Alla fine, anche Caruso tornò in superficie senza esser riuscito nell’intento, riportando inoltre la notizia della probabile morte di Alfredino.



