Domenica 8 e lunedì 9 giugno tutti i cittadini italiani aventi diritto di voto saranno chiamati alle urne per esprimere il proprio parere in merito a ben cinque referendum abrogativi. Si trattano di ben cinque quesiti – promossi da una serie di associazioni e organizzazioni sindacali e civiche – con i quali si propone ai cittadini italiani di approvare o meno la cancellazione di leggi già esistenti, o di alcune sue parti. In particolare, sono incentrati sui temi del lavoro e sulle questioni dell’accoglienza e dell’integrazione degli stranieri in Italia.
Affinchè siano validi è necessario che venga raggiunto il quorum – ossia una soglia minima, prevista anche dall’articolo 75 della Costituzione italiana. Ciò significa che dovrà recarsi alle urne almeno il 50% più uno degli aventi diritto di voto. I seggi elettorali saranno aperti domenica dalle ore 7.00 alle ore 23.00 e lunedì dalle ore 7.00 alle ore 15.00. Inoltre, per la prima volta, gli elettori che si trovano fuori Italia potranno votare anche all’estero, grazie al voto per corrispondenza.
Quesito n. 1 – «Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione»
Testo del quesito: «Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?».
Il primo quesito – su scheda verde – riguarda il Jobs Act, ossia quell’insieme di misure, strumenti e provvedimenti normativi avviato dal Governo con la Legge delega n. 183/2014. Si tratta di uno strumento normativo volto a incentivare e a promuovere il rilancio dell’occupazione, riformare il mercato del lavoro e il sistema delle tutele. In Italia, infatti, attualmente un lavoratore licenziato illegittimamente da imprese che contano un numero di dipendenti maggiore di 15 non può sperare di essere in alcun modo reintegrato.
Dunque la cancellazione – o abrogazione – di questo decreto impone l’obbligo di reintegro del lavoratore nel suo posto di lavoro nei casi in cui sia stato licenziato illegittimamente, come sancito dall’articolo 18 dello statuto dei lavoratori introdotto nel 2015. Tuttavia questo dispositivo normativo fu oggetto di una serie di sentenze della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione. Queste, infatti, dichiararono l’incostituzionalità di alcune sue parti, fornendo interpretazioni piuttosto restrittive della sua applicazione.
Quesito n. 2 – «Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale»
Testo del quesito: «Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.”?»
Il secondo quesito – su scheda arancione – punta ad eliminare qualunque limite temporale all’indennità in caso di licenziamento illegittimo da parte delle piccole imprese – con un numero di dipendenti inferiore a 15. Attualmente, infatti, i risarcimenti non possono superare le sei mensilità. Dunque un’abrogazione parziale del dispositivo di legge consente di superare il limite delle sei mensilità di indennità. Inoltre, ciò permette al giudice di valutare l’importo senza limiti prestabiliti.
Quesito n. 3 – «Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi»
Testo del quesito: «Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1 -bis , limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?»
Con il terzo quesito – su scheda grigia – si propone ai cittadini di abrogare alcune norme quelle norme che sanciscono quando un’azienda può assumere lavoratori con contratti a tempo determinato, oltre che le condizioni che sanciscono che permettono di prolungare o di rinnovare gli stessi contratti. Così, cancellando le norme in vigore dal 2015, si impone l’obbligo di una causale per i contratti a tempo determinato inferiori a 12 mesi, e dunque l’obbligo di specificare per quale ragione si decide di adottare un contratto del genere. Attualmente, infatti, l’obbligo sussiste soltanto per quei contratti che durano dodici mesi o più.
Quesito n. 4 – «Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione»
Testo del quesito: «Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.”?»
Il quarto quesito – su scheda rosa – si incentra sulla questione della sicurezza sul lavoro. In particolare, il quesito offre ai cittadini italiani la possibilità di abrogare quella norma che attualmente esclude la responsabilità solidale del committente – cioè chi affida un lavoro in appalto – dell’appaltatore – ossia chi riceve l’incarico di fare il lavoro – e del subappaltatore – che talvolta svolge il lavoro per conto dell’appaltatore – per gli infortuni sul lavoro legati al tipo di attività che svolgono le imprese appaltatrici o subappaltatrici. Ci si riferisce a questi tipi di rischi con il linguaggio tecnico “infortuni derivanti da rischi specifici dell’attività delle imprese“.
Inoltre, per “responsabilità solidale” si fa riferimento a tutti i soggetti coinvolti – il committente, l’appaltatore e il subappaltatore – che dunque condividono gli stessi obblighi verso chi subisce un danno sulla propria pelle e di cui sono diretti responsabili – ad esempio, il risarcimento.
Attualmente la responsabilità solidale negli appalti non è prevista. Se dovesse trionfare il sì, allora, in caso di infortunio di un lavoratore, dovrebbe risponderne anche il committente. Questa tipologia di obblighi investe particolari settori trainanti dell’economia italiana, come quello dell’edilizia.
II) Referendum sulla cittadinanza italiana
Quesito n. 5 – «Cittadinanza italiana – Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana»
Testo del quesito: «Volete voi abrogare l’art. 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”?»
Il quinto e ultimo quesito – su scheda gialla – sposta l’attenzione sul tema della cittadinanza. Ad oggi le persone maggiorenni nate in un Paese extra europeo, per ottenere la cittadinanza italiana, devono risiedere in Italia per almeno 10 anni. La proposta referendaria consiste nel dimezzare – da 10 a 5 anni – il periodo di residenza legale, cancellando così la norma vigente – risalente al 1992 – e ritornando a quella precedente – che appunto sanciva come limite temporale minimo 5 anni. Dunque rimarrebbero invariati tutti gli altri requisiti sanciti dalla stessa norma per ottenere la cittadinanza.
Ogni italiano che si recherà alle urne riceverà una scheda per ogni quesito referendario: dunque, cinque schede di colore diverso. Ogni scheda contiene una breve descrizione della norma che potrebbe essere cancellata – abrogata – in tutto o in parte, e si chiede a chi vota se è favorevole o contrario alla sua cancellazione. Quindi, per abrogarla basta votare sì, per mantenerla bisogna invece votare no.


