Una vera e propria bomba colpisce la camorra napoletana. Come riportato in anteprima dal collega Luigi Nicolosi sulle pagine de Il Roma (leggi qui l’articolo) stamattina in edicola, Marco Di Lauro si sarebbe dissociato dalla camorra. Dissociamento che non vuole dire pentimento, ma che significa un taglio netto col passato, ossia la sua volontà di non avere niente più a che fare col mondo camorristico. Un modo dove è nato e cresciuto, Marco Di Lauro, fino a diventare prima il rampollo del clan poi il reggete e capo inconstrastato fino alla sua cattura.

Marco Di Lauro fu arrestato sabato 2 marzo del 2019  dopo quattordici anni di latitanza. E’ rinchiuso nel carcere di Sassari al regime del carcere duro. Su di lui pende già una condanna all’ergastolo per l’omicidio dell’innocente Attilio Romano e diversi processi ancora pendenti.

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L’ultimo arresto di Marco di Lauro

L’ultimo mandato di arresto a Marco di Lauro risale a pochi giorni fa quando fu raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare per l’omicidio di Ciro Maisto. Ras ucciso nell’agosto del 2008 nella villa comunale di Secondigliano. Maisto, secondo la ricostruzione degli inquirenti, aveva messo in discussione la leadership del clan. Gruppo in quel momento retto proprio da ‘F4’. latitante ma presente sul territorio. I vertici del sodalizio hanno deciso, pertanto, di uccidere Maisto pensando che potesse tradirli, aderendo agli “Scissionisti” oppure collaborando con la giustizia. Ad eseguire quel delitto alcuni degli uomini più fedeli del capoclan. Nomi già tirati in ballo da diversi collaboratori di giustizia come Carlo Capasso, ex baby killer al soldo del clan del Terzo Mondo.

La latitanza come uno qualunque

Nessuna parrucca e nessun travestimento. Marco Di Lauro, nei limiti del possibile, girava nel quartiere con la complicità di insospettabili. Una vita – quasi – normale, ma da latitante quella vissuta da “f4”. Come raccontato dal pentito Salvatore Tamburrino, riusciva a spostarsi anche autonomamente con auto che riuscivano a passare inosservate.

“In questi anni, Marco mi contattava su un cellulare dedicato, solo da usare per sms. Lo accendevo dalle 16 alle 17 di ogni venerdì, su cui ogni tanto perveniva il messaggio di Marco il quale mi chiedeva di andare dalla sua amica”. Ovvero la titolare di un negozio di Secondigliano dove venivano lasciati i messaggi e le raccomandazioni del boss. Una rete semplice che si basava sulla collaborazione di fabbri, barbieri, fruttivendoli. Gente comune che aveva “adottato” il boss latitante e lo proteggeva nel covo di via Emilio Scaglione.

Trovavo i pizzini che mi mandava il negozio di abbigliamento, oppure mediante il negozio di telefonia non lontano al commissariato di Secondigliano. Oppure tramite mio zio Giuseppe, fruttivendolo…”, dice Tamburrino. Da latitante sarebbe andato comunque dal suo barbiere di fiducia, sempre. Nonostante la polizia lo ricercasse e lo considerasse tra i latitanti più pericolosi.

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