Il carabiniere Giuseppe Improta avrebbe favorito la fuga dell’ex boss Pasquale Cristiano avvisandolo dell’imminenza di una misura cautelare. L’episodio del 2 febbraio 2018 è stato incluso nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Carla Salerno del Tribunale di Napoli. La soffiata avrebbe permesso l’occultamento delle prove dei reati e dei beni custoditi, nonché la rimozione del dispositivo DVR di registrazione dei filmati del sistema di videosorveglianza.
Decisive per la concretizzazione delle indagini, risalenti al 2016, le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia “Mi avvisò prima dell’arresto del 2018. Ad agosto o settembre del 2017 mi avvisò della denuncia. Una settimana prima ci avvisò che dovevamo essere arrestati, mio figlio sottovalutò la cosa mentre invece Giuseppe Monfregolo scappò per fare la latitanza. È stato Aldo Bianco a comunicarmi dell’arresto su incarico di Improta“, ha dichiarato Pietro Cristiano, detto Pierino, in un interrogatorio del maggio 2022.
“Il Mar. Improta ci informava se veniva presentata qualche denuncia e diceva che la avrebbe tenuta nel cassetto. Mio padre iniziò a fargli regali, vestiti o bottiglie, ma lui non voleva questi regali ma solo soldi“, ha dichiarato l’ex boss Pasquale Cristiano nel giugno del 2022.
Pietro e Pasquale Cristiano, i due pentiti del clan 167 di Arzano
Pietro Cristiano ha iniziato a collaborare con la giustizia il 31 maggio 2022. Dall’anno 2018 rivestì un ruolo importante nel clan della 167 gestendo in regime di monopolio il traffico di droga ad Arzano e rifornendo tutte le piazze di spaccio sul territorio. Pierino venne sottoposto agli arresti domiciliari nell’aprile 2020 dopodiché gli subentrò il figlio Pasquale poi divenuto anche lui un collaboratore di giustizia.
Le soffiate del carabiniere al clan 167 di Arzano
Emergono ancora particolari sull’inchiesta che ha portato all’arresto di un luogotenente dei carabinieri all’epoca dei fatti in servizio presso la Tenenza di Arzano. Il militare risulterebbe sul libro paga del gruppo arzanese, costola del clan Amato-Pagano, dalla quale avrebbe ricevuto uno stipendio mensile di 1000 euro oltre a regali e altri favori in cambio di soffiate sulle indagini e sulle operazioni in corso.
Si tratta di persone, considerate dagli investigatori ai vertici della mala arzanese, che gli avrebbe versato un mensile e altre regalie affinché, tra l’altro, rivelasse segreti d’ufficio su indagini come, per esempio, l’imminenza delle notifiche delle misure cautelari e agevolare così la fuga degli indagati.
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