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Ucciso e sciolto nell’acido dal clan Polverino, chiesta l’aggravante camorristica per i 3 imputati

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La Procura generale di Napoli ha chiesto il riconoscimento dell’aggravante mafiosa, finora sempre negata, alla Corte di Assise di Appello di Napoli (quinta sezione), davanti alla quale si sta per chiudere il processo di secondo grado sull’omicidio di Giulio Giaccio, il giovane ucciso a soli 26 anni perché scambiato per l’amante indesiderato della sorella di un camorrista legato al clan Polverino.
La vittima venne sequestrata il 30 luglio del 2000, ucciso con un colpo di pistola alla nuca e il suo cadavere sciolto nell’acido, affinché di lui non rimanesse più nulla.
A formulare la richiesta, oggi, è stato il sostituto procuratore generale di Napoli che ha chiesto la conferma delle condanne inflitte in primo grado a due dei tre imputati e una riduzione di pena per il terzo imputato: fu quest’ultimo a raccontare agli inquirenti la vera storia di Giaccio e il magistrato inquirente ha chiesto il riconoscimento per lui l’attenuante prevista per i collaboratori di giustizia.
A processo ci sono Salvatore Cammarota (colui che voleva vedere morto l’amante della sorella), Carlo Nappi e Roberto Perrone: i primi due sono stati condannati in primo grado a 30 anni di carcere, mentre l’ultimo, il pentito, a 14 anni.

Per lui oggi è stata chiesta una riduzione di pena a 9 anni e 4 mesi di reclusione.
Oltre alla requisitoria dell’accusa oggi si è svolta anche la discussione del legale della famiglia Giaccio, l’avvocato Alessandro Motta, che ha fatto sue le richieste della Procura generale ribadendo la sussistenza dell’aggravante mafiosa: “Giulio deve essere considerato una vittima di camorra, per la sua età e perché erano onesti lui e la sua famiglia”.

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Aveva appena 26 anni ed è stato annichilito da un gruppo di camorristi composto da gregari e capoclan di camorra, senza alcuna pietà, e con una metodologia tipicamente mafiosa”.
Anche l’Associazione Polis, assistita dall’avvocato Gianmario Siani, ha rassegnato le proprie conclusioni allineandosi alle richieste formulate dal sostituto procuratore generale e dell’avvocato Motta.
“I familiari di Giaccio – ha ricordato ancora Alessandro Motta – hanno rifiutato l’offerta di risarcimento presentata da Cammarota affidandosi nuovamente alla Giustizia, consapevoli di essere i familiari di una vittima di camorra”.

L’imputato, per ben due volte, ha offerto un risarcimento alla famiglia di Giulio Giaccio, l’ultima delle quale pari a circa 200mila euro. La prima volta venne offerta una casa, nell’ultima istanza la stessa abitazione e 80mila euro.
Giulio venne sequestrato da finti poliziotti nei pressi della sua abitazione, nel quartiere Pianura di Napoli. Era in compagnia di un amico e fu proprio lui a riferire l’accaduto ai familiari di Giaccio i quali, il giorno dopo, presentarono denuncia di rapimento dopo avere capito che non erano state le forze dell’ordine a prelevare Giulio. L’amico riferì agli investigatori la dinamica del rapimento di Giulio, prelevato con la forza dai finti agenti della Polizia di Stato malgrado avesse negato più volte di chiamarsi Salvatore, come invece sostenevano e ripetevano i suoi rapitori.

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Antonio Mangione
Antonio Mangionehttp://www.internapoli.it
Giornalista pubblicita iscritto dalll'ottobre 2010 all'albo dei Pubblicisti, ho iniziato questo lavoro nel 2008 scrivendo con testate locali come AbbiAbbè e InterNapoli.it. Poi sono stato corrispondente e redattore per 4 anni per il quotidiano Cronache di Napoli dove mi sono occupato di cronaca, attualità e politica fino al 2014. Poi ho collaborato con testate sportive come PerSempreNapoli.it e diverse testate televisive. Dal 2014 sono caporedattore della testata giornalistica InterNapoli.it e collaboro con il quotidiano Il Roma