di ANTONIO POZIELLO
MELITO. Non aveva ancora compiuto 18 anni, ma due killer l’hanno ucciso come fosse un boss, massacrandolo con più di dieci colpi di pistola al bar. Andrea Maisto, incensurato, era entrato nel solito locale, quello dove passava tutte le sere, in via Traversa Marrone a Melito. Era da poco passata la mezzanotte. Il barista stava per chiudere. Il ragazzo gli ha chiesto un caffè, ma, appena gli è stato servito, hanno fatto irruzione i due sicari col volto coperto da caschi neri. Non ha avuto nemmeno il tempo di capire cosa stesse accadendo. Gli hanno vuotato addosso i caricatori delle pistole: calibro 38. Dieci, dodici colpi. Sarà l’autopsia a stabilirlo. Poi i killer sono fuggiti via, a piedi. Dietro l’angolo c’erano due complici con le moto.
L’allarme è stato dato solo molto tempo dopo. Poliziotti e carabinieri hanno trovato il barista (figlio della proprietaria del locale) sdraiato a terra, dietro al bancone. A pochi metri il corpo senza vita del ragazzo, crivellato dai proiettili. Il volto sfigurato dalle pallottole. Il giovane era terrorizzato. Continuava a ripetere di non aver visto nulla. «Stavo chiudendo – ha detto – mi ha chiesto un caffè. Gliel’ho preparato e mentre lo beveva ho ripreso a sistemare. Mi ero abbassato per riporre delle bibite nel frigo quando ho sentito qualcuno che entrava. Ho intravisto dei caschi, poi ho udito gli spari, mi sono sdraiato sul pavimento e non ho più rialzato la testa. Non so altro».
Sull’omicidio indagano adesso gli agenti del commissariato, diretti dal vicequestore Alberto Francini. Per loro, questo, è un omicidio di camorra. Non ci sono dubbi. L’agguato era stato studiato nei minimi dettagli. Chi ha sparato lo ha fatto per uccidere, e non solo: per dare un segnale preciso e i killer, infatti, non hanno risparmiato proiettili. Insomma questo omicidio doveva servire da monito per tutte le teste calde, per i cani sciolti, per i bulletti che si davano arie da boss. E Andrea Maisto, nonostante avesse solo 17 anni e fosse incensurato, non era sconosciuto alle forze dell’ordine. Era stato fermato diverse volte, per sciocchezze, è vero, ma qualche volta era finito nel mirino di polizia e carabinieri, sospettato di aver messo a segno rapine o altro. Non sono, però, mai riusciti ad incastrarlo. Per loro Andrea Maisto era una testa calda, uno che cercava guai e che, l’altra sera, in quel bar di Via Traversa Marrone li ha trovarti. Non è servito a salvargli la vita, la parentela con un noto pregiudicato. Uno di quelli che, a detta degli investigatori, contano sul serio: il boss Andrea Maisto, ritenuto uno degli elementi di spicco del clan Lo Russo, che gestisce la maggior parte degli affari illeciti di Melito.
Andrea Maisto, è lo zio del ragazzo ucciso, insomma il fratello del padre oramai da tempo deceduto.Ma perchè gli inquirenti tirano in ballo la cosca di cui fa parte? Perchè (ed è questa l’ipotesi più accreditata) sembra che ad ucciderlo sia stato lo stesso clan di cui, forse, faceva già parte Andrea junior. Probabilmente, il ragazzo aveva dato fastidio, potrebbe aver mancato di rispetto ad uno di quelli che contano. Si ipotizza, anche, che abbia potuto creare problemi ad alcuni commercianti. Polizia e carabinieri ritengono che possa addirittura essere stato oinvolto in alcuni episodi di violenza ed intimidazione. La conferma che quest’omicidio sia, in un certo senso, anomalo, viene dal fatto che nessun familiare della vittima si è fatto vivo dopo l’agguato. Nessuno che si sia precipitato nel bar, nessuno che abbia chiesto cosa fosse accaduto agli investigatori. Nesssuno della famiglia si è fatto vivo. Nè la madre, nè i fratelli. Nessuno. Quasi che sapessero già tutto. Quasi che se l’aspettassero. Quasi che nessuno volesse aver nulla a che fare con lui, nemmeno da morto. Certo, vengono prese in considerazione anche altre piste. La polizia sta valutando anche la possibilità che l’omicidio possa essere una vendetta trasversale per colpire lo zio. Recentemente non ci sono stati, però, altri episodi per giustificare una simile ipotesi.
Tra la gente: o uno sbaglio o se lo meritava
Aveva meno di 18 anni, però di nemici ne aveva molti Andrea Maisto. Sicuramente, non era un tipo che risultasse simpatico a molti. In città tutti sanno dell’omicidio, ma nessuno si azzarda a parlarne. A chiedere qualcosa in giro, c’è il rischio di essere presi per matti. «Per carità, io non so niente», grida spaventato il titolare di un circolo ricreativo che si trova a poca distanza dal bar dov’è stato ucciso il giovane. Qualcun altro, in Traversa Marrone, si lascia però sfuggire qualche parola. Frasi spezzate, che delineano il ritratto di un bulletto che si dava arie da boss. «Dava fastidio a tutti, era uno schizzato», dice la proprietaria del negozio di verdure all’angolo della strada. «Non so niente, però, non ho idea di chi possa averlo ucciso», precisa poi. Stessa cosa il fioraio poco più avanti. «Deve aver dato fastidio a qualcuno, non era uno simpatico». Anche lui non sa niente, non ha visto niente e, al solito, non ha idea di chi possa avergli sparato. Alla fine, un’anziana che sta uscendo dalla salumeria: «Forse se lo meritava».
LO SCENARIO. Città blindata dalla camorra Cosche in pace
Dal 1994, Melito vive una ininterrotta “pax camorristica”. Ci sono stati diversi omicidi, una decina circa, ma erano i riflessi delle guerre di camorra scoppiate a Napoli. Prima quella tra l’Alleanza di Secondigliano e i Mazzarella, poi gli scontri all’interno della stessa alleanza. Difatti, Melito è regno incontrastato dei Lo Russo di Secondigliano, anche se permangono interessi marginali del clan Verde di Sant’Antimo. Quest’ultimo, legato ai casalesi, ha da sempre rapporti di buon vicinato con i secondiglianesi.
Fino al 1994, il controllo del piccolo comune era conteso tra i Verde, i Puca-Ranucci, pure di Sant’Antimo, ed i Licciardi, con l’appoggio dei Mallardo di Giugliano e dei Lo Russo. Dopo la disfatta dei Puca, i clan dell’Alleanza avevano esteso il loro controllo su tutti i traffici illeciti della città, lasciando la possibilità ai Verde di esercitare un ristretto controllo su alcuni affari. L’unica anomalia, fino al suo arresto, era data dalla presenza di Costantino Petito, fuoriuscito dal clan Ranucci: una scheggia impazzita nel panora camorristico locale. Quest’ultimo, per gli investigatori, avrebbe sfidato l’egemonia dei secondiglianesi, inserendosi nel racket del pizzo.
Dopo l’arresto di Petito, due anni fa, Melito era rimasta, però, saldamente nelle mani dei clan dell’Allenza di Secondigliano, con i Licciardi che hanno lasciato il campo ai Lo Russo. La città ha conosciuto, così, un lungo periodo di calma. Senza guerre, senza agguati, senza attentati. Il racket c’era ma non si vedeva. Questo lungo periodo di tranquillità si è interrotto la notte del 3 febbraio scorso, quando una bomba ha fatto saltare in aria sei negozi al Corso Europa. Uno di questi, quello in cui era stata collocato l’ordigno, era di proprietà della compagna di un noto pregiudicato di Giugliano.
Secondo gli investigatori l’omicidio dell’altra notte potrebbe essere in qualche modo collegato a quella bomba. Una bomba che tutti si affrettarono a definire anomala. Con i soliti bene informati che tennero a precisare che «questa volta il racket non c’entrava nulla». I carabinieri, che su quell’episodio indagavano, sottolinearono che probabilmente chi aveva messo la bomba aveva esagerato con l’esplosivo, che quasi certamente non voleva, o non doveva, combinare quel putiferio, rischiare di far crollare l’intero palazzo, rischiando d’ammazzare anche chi in quell’edificio ci viveva.
In che modo i due episodi siano collegati, che ruolo possa avere avuto il ragazzo ucciso l’altra notte in quella tremenda esplosione, è quello che la polizia sta ora cercando di capire.
IL MATTINO 22 FEBBRAIO 2001