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venerdì, Aprile 19, 2024
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QUINDICI ANNI FA LA MORTE DEL GIUDICE BORSELLINO

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Quindici anni fa. Erano circa le cinque del pomeriggio del 19 luglio 1992. Era domenica. A Palermo, in via D’Amelio, all’improvviso scoppia l’inferno. Salta per aria un’auto 126 carica di esplosivo. Bersaglio dell’attentato il procuratore aggiunto Paolo Borsellino. Muoiono il magistrato e cinque agenti della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cusina, Claudio Traina e Vincenzo Limuli. Si tratta dell’ennesimo assassinio a danno di chi combatte in trincea contro la mafia, a soli 56 giorni dalla strage di Capaci in cui fu ucciso Giovanni Falcone.

Non si può dimenticare che la mancata istituzione di una zona di rimozione in via D’Amelio, davanti alla casa dove abitava la madre del giudice, facilitò di fatto gli esecutori materiali dell’eccidio. Alcuni rappresentanti della Cupola della mafia sono stati condannati ma lo Stato ha sulla coscienza la morte di un altro eroe che non è riuscito a proteggere. Borsellino fu sempre un magistrato coraggioso e tenace, nonostante gli intralci al suo lavoro posti addirittura dal suo stesso capo Giammanco, alla guida della procura di Palermo. Negli ultimi giorni di vita, Borsellino confida alla moglie: “Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”. Cosa era riuscito a scoprire prima di essere ammazzato? Oggi si indaga sul ruolo che alcune persone legate agli apparati deviati dei servizi segreti potrebbero aver avuto nella strage e su chi azionò il pulsante del telecomando che innescò il massacro. Nei pressi del luogo dell’attentato vi era la sede di un gruppo operativo del Sisde. Ed è al vaglio degli investigatori anche la presenza anomala di un agente di polizia (trasferito a Firenze) in via D’Amelio subito dopo l’esplosione.

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Sono ancora molti i misteri che avvolgono questo delitto. In particolare, la scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino, documento su cui il magistrato annotava le sue riflessioni e che portava sempre con sé. Quell’agenda, all’interno di una borsa portadocumenti, era con lui nella Croma blindata anche il giorno dell’attentato. Qualcuno però la fece sparire nei momenti immediatamente successivi all’esplosione. Di questa vicenda e dell’ultimo periodo di vita di Paolo Borsellino due giornalisti dell’Ansa di Palermo, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, parlano in un libro interessante intitolato “L’agenda rossa di Paolo Borsellino” (Chiarelettere editore) uscito pochi giorni fa. Quell’agenda potrebbe contenere verità scomode sulla strage di Capaci e perfino su quella di via D’Amelio. Pochi giorni prima del tragico 19 luglio, Borsellino interroga il pentito Gaspare Mutolo che gli annuncia rivelazioni su personaggi di un certo livello collusi con la mafia, ma nel mezzo del colloquio il magistrato viene convocato al ministero dell’interno. Ancora oggi non si sa con certezza chi incontrò al Viminale e perché. E’ certo, però, che le parole di Mutolo lo sconvolgono e che Borsellino viene assassinato alla vigilia della verbalizzazione di quelle rivelazioni. Su questo fatto la politica ed i mass media hanno detto poco o nulla. Perché? Eppure ciò apre scenari spaventosi.

In questo anniversario, alla luce delle recenti ed inquietanti novità, le istituzioni devono scoprire chi sono i mandanti occulti esterni a Cosa nostra delle stragi del ’92-’93. Per fare questo siano rafforzati gli organici degli uffici delle procure siciliane. Recuperare quell’agenda è indispensabile per far luce su un periodo drammatico della storia del nostro Paese. Il silenzio della politica e dell’informazione sui misteri della strage di via D’Amelio finora è stato, invece, assordante. Occorre alzare la voce. Queste cose le dobbiamo scrivere e ripetere a chiare lettere perché non possiamo tollerare che i responsabili dell’assassinio di Borsellino abbiano, magari, ancora in mano le leve del potere. Ed è deludente constatare come, in questi anni, la politica abbia sistematicamente oltraggiato la memoria di Borsellino, il quale affermava che i partiti politici dovrebbero fare pulizia al proprio interno di tutti coloro che si sono resi protagonisti di fatti inquietanti perché, diceva sempre Borsellino, bisogna non solo essere onesti ma anche apparire tali. Ecco, coloro che oggi stanno in Parlamento o presiedono una Regione ed hanno ricevuto condanne o sono sotto inchiesta dalla magistratura, riflettano su queste parole di Borsellino. E, assieme ai loro leader di partito che li hanno ugualmente candidati alle elezioni, abbiano almeno la decenza, oggi, di starsene lontani dalle commemorazioni ufficiali.

MARCELLO CURZIO

Direttore di Provincia Oggi

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