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mercoledì, Giugno 26, 2024
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Un bollettino di guerra per la sanità del Sud: più di due anni per un’ecodoppler cardiaca

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La situazione delle liste d’attesa per visite specialistiche e accertamenti diagnostici in Italia è diventata drammatica, soprattutto al Sud, dalla pandemia in poi. I pazienti sono costretti ad attendere mesi, a volte più di un anno, per prestazioni mediche di base. I dati raccolti da Federconsumatori e Fondazione Isscon, con il contributo della CGIL, sono sconvolgenti.

Emergenza liste d’attesa per visite

In Campania, alla ASL Napoli 1 Centro, si attende da 118 giorni per un elettrocardiogramma urgente a 403 giorni per uno normale. In Sicilia, presso la ASL di Messina, una visita endocrinologica richiede 612 giorni. Un paziente siciliano ha aspettato 354 giorni per una visita pneumologica, e uno napoletano 361 giorni per lo stesso tipo di visita.

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Le attese non sono limitate ai casi non urgenti. Un sospetto caso di tumore deve attendere 176 giorni per una visita oncologica a Crotone. Il quadro è desolante: 545 giorni per un’ecografia addominale a Milazzo, 142 giorni per una visita cardiologica in Puglia, 139 giorni per una visita neurologica in Basilicata, 223 giorni per una visita oculistica in Calabria, e 357 giorni per una visita ortopedica in Campania.

Questi tempi di attesa sono solo la punta dell’iceberg di un problema che affligge profondamente il sistema sanitario nazionale. Federconsumatori evidenzia come i tagli alla sanità, la carenza di personale e l’aumento dei costi di produzione dei servizi dovuti all’inflazione abbiano aggravato la situazione, già resa critica dai ritardi accumulati durante la pandemia.

Al Sud, la situazione è ulteriormente complicata da fattori specifici come le differenze di riparto tra le regioni, che hanno avvantaggiato quelle settentrionali, e dai commissariamenti delle ASL locali per risanare i conti, spesso a scapito dei servizi ai cittadini.

Secondo Agenas, l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, tutto ciò ha provocato un aumento della spesa privata per le cure, arrivata nel 2021 a 41 miliardi di euro. Il 47% delle famiglie italiane ha visto il proprio bilancio messo a dura prova dalle spese sanitarie.

È chiaro che il sistema sanitario italiano, soprattutto nel Mezzogiorno, necessita di interventi urgenti per ridurre i tempi di attesa e garantire un accesso equo e tempestivo alle cure per tutti i cittadini.

 «Non si può accettare – incalza la Cgil – che un patrimonio pubblico di solidarietà ed eccellenza professionale sia svenduto sul mercato privato per incapacità, o per monetizzare le possibilità di cura a vantaggio delle assicurazioni o di altri commercianti di salute».

Quanto potrà influire in concreto il piano contro le liste attesa, approvato dal governo pochi giorni prima del voto europeo? Le Regioni lo definiscono «astratto e privo di coperture finanziarie». «Non c’è un euro – taglia corto com’è solito fare il governatore campano Vincenzo De Luca – E non c’è nessuno che possa fare il lavoro annunciato». Questo è il nodo vero. Perché misure come un Cup unico regionale o infraregionale che garantisca la prestazione in intramoenia o nel privato accreditato, la possibilità di fare visite ed esami anche sabato e domenica, un rafforzamento dei servizi sanitari e sociosanitari nelle regioni meridionali e una flat tax al 15% delle prestazioni orarie aggiuntive dei sanitari impegnati nella riduzione delle liste, sono il classico pannicello caldo. Per di più, per renderle operative, il piano governativo prevede prima il varo di almeno sette decreti attuativi. Tempi biblici. La verità è che, se non si investono consistenti risorse per tagliare le liste d’attesa, e soprattutto per evitare che se ne formino di nuove, non si caverà un ragno dal buco.

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