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lunedì, Giugno 24, 2024
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Detenuto sulla sedia a rotelle picchiato, la figlia: “Giustizia per il mio papà”

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Oggi ha parlato Antonella Cacace, figlia di Enzo, il detenuto sulla sedia a rotelle aggredito dagli agenti penitenziari al carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020.  “La vicenda di mio padre la conoscono tutti, i video sono evidenti, era su una sedia a rotelle. Mio padre ha sbagliato nella sua vita, ma non avevano nessun diritto di fargli quello che hanno fatto. Lui rimase molto sconvolto: ha subito uno stress post traumatico per gli abusi in carcere. E ora da questo processo ci aspettiamo giustizia per lui e tutti i detenuti picchiati selvaggiamente“, dice la giovane mamma di 3 figli.

Le manganellate furono riprese dai video interni del carcere, usati poi dalla Procura per le indagini. Cacace è poi deceduto il 18 giugno scorso. La figlia Antonella, con la madre e il fratello, ha proseguito la battaglia giudiziaria iniziata dal papà con la costituzione di parte civile nell’udienza preliminare. Oggi i tre si sono sono presentati all’aula bunker del carcere per assistere alla prima udienza del maxi-processo che vede imputati 105 tra poliziotti penitenziari, funzionari medici e dell’Amministrazione Penitenziaria.

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“NON CI HA MAI DETTO COS’ERA ACCADUTO”

La 32enne è provata nel ricordare gli ultimi anni di vita del padre, contrassegnati dallo choc profondo per le violenze in carcere. Eppure Enzo inizialmente non ne aveva parlato con i familiari. “Fin quando è stato in cella – ricorda Antonella – non ci ha mai detto cos’era accaduto. Dopo siamo venuti a sapere che delle rivolte in carcere, e quando è stato scarcerato perché la sua salute era peggiorata, anche degli abusi. Eravamo arrabbiati. Nonostante fosse sulla sedia a rotelle, papà ha combattuto tanto, facendo denunce, parlando con i giornalisti degli abusi subiti”. Antonella ha assistito il papà, una volta uscito di carcere e fino alla morte. “Non riusciva più a dormire; si svegliava spesso e diceva ‘appuntato accendimi la luce, fammi questo, fammi quell’altro’; quelle botte gli erano rimaste impresse”. 

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