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mercoledì, Aprile 24, 2024
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Camorra e religione: le mani dei clan su statue, processioni e altarini

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Nei secoli la religione cattolica è stata usata da antichi regnanti e da moderni governanti per cercare il consenso e la legittimazione popolare. Spesso, però, il dogma religioso è stato piegato agli interessi del Potere a partire dal celeberrimo caso della Visione di Costantino risalente al 325. L’età moderna è stata scandita dallo scontro tra scienza e religione, perciò, molti uomini di potere si sono schierati talvolta dalla parte del progresso mentre altri sono diventati paladini della tradizione: naturalmente ogni scelta veniva presa alla luce delle contestuali necessità politiche.

Nemmeno le organizzazioni criminali sono rimaste neutrali nella disputa, piegando a loro piacimento i significati delle liturgie cattoliche. Un meccanismo emblematico di questa rielaborazione è la figura del padrino, infatti, le mafie ne hanno stravolto la funzione originaria, accompagnatrice di bimbi e adulti al ricevimento dei sacramenti, rendendola invece la massima autorità criminale che può decidere della vita e della morte degli affiliati e dei nemici.

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Dunque un giuramento con un santino rovente diventa la promessa di fedeltà al clan da rispettare anche al costo della morte, un altarino di una madonna può segnalare la presenza di una roccaforte del clan o l’abitazione di un boss, così come una processione può dimostrare pubblicamente il potere di un famiglia mafiosa.

L’OMBRA DELLE MAFIE SULLA FEDE

Storicamente i clan hanno usato i valori del cattolicesimo per giustificare l’efferatezza delle loro azioni o per intercettare il consenso sociale. Il rispetto esteriore dei riti religiosi vuole dimostrare, in maniera posticcia, un legame con la comunità che crede nelle liturgie. Secondo molte inchieste della magistratura clan di Cosa Nostra, Camorra e Ndrangheta sostengono economicamente le festività dei Santi Patroni per dimostrare i loro legami con i territori incassando un tornaconto in termini di popolarità.

Nel giugno 2016 venne documentato anche l’inchino della statua della Madonna davanti alla villa del boss, episodio svelato dalle indagini sul clan Sangermano. A fronte di quel gesto il parroco di San Paolo Belsito si allontanò togliendosi i paramenti, seguito dal maresciallo dei carabinieri che immediatamente segnalò il caso ai superiori e alla Procura.

Il vescovo di Nola, Beniamino Depalma, appoggiò la condotta di don Ferdinando e condannò l’inchino: “Gesto prepotente rivolgere la statua verso l’abitazione di una famiglia del paese, nota alle forze dell’ordine in quanto parte attiva in quello scellerato sistema di malaffare e ingiustizia chiamato camorra“.

I QUADRI DI LORENZO NUVOLETTA

Due quadri raffiguranti la Madonna di Pompei e Santa Rita, donati dal defunto boss Lorenzo Nuvoletta, furono rimossi nel marzo del 2021 dalla chiesa di Maria Santissima della Cintura e della Consolazione a Marano. La decisione fu presa dall’Arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia.

I quadri rimossi dalla chiesa di Marano: Santa Rita e la Madonna di Pompei

I dipinti erano collocati a lato del portale d’ingresso della chiesa, che non è parrocchia, e recavano la scritta: “A devozione di Lorenzo Nuvoletta“. In un comunicato la Curia arcivescovile di Napoli rese noto il motivo della rimozione: “Per non turbare i fedeli disorientandoli con azioni che potrebbero anche lontanamente essere ricondotte ad una ambiguità tra vangelo e vita e per per dare un inequivocabile esempio di incompatibilità tra i percorsi del Vangelo e quelli dell’iniquità a qualsiasi livello“. Nuvoletta era il padrino dell’omonimo clan di Marano che si alleò al cartello della Nuova famiglia nella guerra contro Raffaele Cutolo all’inizio degli anni ’80.

GIURAMENTO CON LA SANTINA

Per l’affiliazione alla Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo ideò un apposito giuramento di sangue ispirato alla punciuta di Cosa Nostra e a quello del santino di San Michele Arcangelo, formula d’iniziazione alla ‘Ndrangheta. “Battezzo questo locale come lo battezzarono i nostri tre vecchi antenati. Se loro lo battezzarono con ferri e catene, io lo battezzo con ferri e catene. Alzo gli occhi al cielo, vedo una stella volare, è battezzato il locale“. Eppure quella liturgia ancestrale fu scoperta quasi per caso, infatti, il cosiddetto giuramento di Palillo fu sequestrato al camionista, Antonio Palillo, mentre entrava nel carcere di Novara.

Il rito della punciuta di Cosa Nostra

L’uomo, infatti, nascondeva in una tasca un’audiocassetta sulla quale lo stesso boss registrò la formula di affiliazione: “Il 24 ottobre nel castello mediceo di Ottaviano, sette cavalieri della camorra si abbracciarono in un serio giuramento, raccolsero il sangue dell’onorata società… giuro sul mio onore di essere fedele alla Nco che è nata nel 1970 il 24 ottobre nel castello mediceo di Ottaviano come la Nco è fedele a me”. Inoltre alcuni boss della camorra sono stati punciuti dai mafiosi siciliani: è il caso di Antonio Bardellino, Lorenzo e Angelo Nuvoletta e Michele Zaza.

LE STATUE DEL ‘600 E I BOSS DELL’ALLEANZA DI SECONDIGLIANO

I familiari dei boss dell’Alleanza di Secondigliano avrebbero ordinato di rimuovere 3 statue dalla chiesa di Santa Maria del Rosario. Per volere della suocera di Patrizio Bosti, Francesco Mallardo ed Edoardo Contini le sculture della Madonna del Santissimo Rosario, Santa Rosa e San Domenico sarebbero state sottratte da una chiesa sconsacrata di Napoli. Nel marzo del 2021 le tre statue, risalenti al Seicento, furono scovate dai carabinieri nei locali di un’associazione della Madonna dell’Arco nel quartiere Arenaccia, roccaforte dell’Alleanza di Secondigliano.

I boss Edoardo Contini, Francesco Mallardo e Patrizio Bosti

Sulle sculture il reparto del Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale eseguì controlli che diedero esito positivo in merito all’autenticità. Sulle tre statue raffiguranti la Madonna del Rosario con il bambino Gesù, San Domenico e Santa Rosa, erano state già apposte le targhe con i nomi dei tre boss dell’Alleanza di Secondigliano attualmente detenuti in regime di 41 bis.

Secondo la Procura di Napoli le 3 sculture avevano una notevole importanza per il quartiere, infatti, all’ultima ordinanza di sequestro sono state allegate diverse foto, risalenti agli anni ’70, che ritraggono le 3 statue portate in processione dai fedeli lungo via San Giovanni e Paolo. Le madonne e santi sono oggetto di culto degli abitanti del quartiere, la cosiddetta pietà popolare.

GLI ALTARINI DELL’ALLEANZA DI SECONDIGLIANO

L’uso distorto della religione da parte della camorra è emerso anche nell’operazione dello scorso 21 marzo condotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Napoli, supportati dai militari del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale e dalla Polizia Municipale partenopea. Militari e agenti sequestrarono 11 edicole votive nei quartieri del Vasto-Arenaccia e di San Carlo Arena.

Tutti gli altarini sono riconducibili a persone già condannate per delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso associazione o legate al cartello criminale dell’Alleanza di Secondigliano. Dalle indagini, coordinate dal procuratore Giovanni Melillo, sono emersi nomi eccellenti circa la riconducibilità delle edicole votive sequestrate.

Gli altarini presenti tra il Rione Amicizia, San Giovanniello, Ponti Rossi e Arenaccia rappresentano un simbolo di ostentazione del potere del clan Contini, colonna portante dell’Alleanza. Inoltri questi luoghi di pellegrinaggio sono usati dagli affiliati più zelanti che vogliono testimoniare la loro fedeltà.

L’URNA DEL BABY BOSS NELL’ALTARINO DELLA MADONNA DELL’ARCO

L’urna funeraria di Emanuele Sibillo

Nell’aprile 2021 fu rimossa e consegnata alla famiglia l’urna funeraria contenente le ceneri di Emanuele Sibillo, scultura sistemata all’interno di un altare dedicato alla Madonna in via Santissimi Filippo e Giacomo. I carabinieri e la Dda di Napoli arrestarono 21 appartenenti al gruppo camorristico dei Decumani, inoltre, fecero rimuovere dall’altare i simboli dedicati a Sibillo.

Gli affilati del clan veneravano, di fatto, il baby-boss ucciso nel 2015 all’età di 19 anni. Il capo della paranza dei bimbi morì in un agguato in una stradina soprannominata vicolo della morte, roccaforte della famiglia Buonerba rivale dei Sibillo.

LA CHIESA CONTRO LA CAMORRA

Naturalmente ci sono stati esempi di sacerdoti e alti prelati che hanno denunciato il potere criminale della camorra. Il caso emblematico è don Peppe Diana che invitava i giovani a far sentire la propria voce e partecipare al dialogo culturale, politico e civile della vita di Casal di Principe. Invece invitava i camorristi a tenersi in disparte e a non inquinare e affossare il paese.

Il19 marzo del 1994 il parroco della chiesa di San Nicola di Bari giunse in sacrestia per celebrare la messa quando venne sorpreso da un uomo col giubbotto.  “Chi è don Peppe?”, chiese lo sconosciuto e il sacerdote rispose: “Sono io”. Il killer tirò fuori la pistola dalla cintola e sparò quattro colpi, al volto e al petto.

Don Peppe Diana

Per omicidio di don Diana, il 4 marzo 2004, la Corte di Cassazione condannò all’ergastolo Mario Santoro e Francesco Piacenti come coautori dell’omicidio, mentre riconobbe come autore materiale dell’omicidio il boss Giuseppe Quadrano condannandolo a 14 anni, perché divenuto collaboratore di giustizia. Decisiva fu la testimonianza di Augusto Di Meo. La giustizia accertò che la morte di Diana venne ordinata dalla Spagna, dal boss Nunzio De Falco detto ’o Lupo, con l’intento di colpire la fazione Schiavone-Bidognetti.

LA CONDANNA DEL PAPA E DEL CARDINALE DI NAPOLI

Nel 2015 Papa Bergoglio, in occasione della sua visita a Napoli, pronunciò un duro monito contro la camorra: “Cari napoletani, largo alla speranza, e non lasciatevi rubare la speranza! Non cedete alle lusinghe di facili guadagni o di redditi disonesti. Reagite con fermezza alle organizzazioni che sfruttano e corrompono i giovani, i poveri e i deboli, con il cinico commercio della droga e altri crimini”.

Avranno anche le case con i rubinetti di oro ma sono come i topi, sono costretti a vivere nelle fogne per paura, se tutto va bene di fare un bel numero di anni nelle carceri. E quando non va bene si ritrovano al cimitero“, disse il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli durante l’omelia nella giornata dei Defunti del 2019.

Questo articolo non vuole criminalizzare la religione cattolica, bensì far emergere l’uso strumentale del culto da parte della camorra. Le liturgie rappresentano per i clan l’occasione per sfoggiare la loro devozione artificiosa al fine di consolidare il loro Potere nella dimensione pubblica. 

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Alessandro Caracciolo
Alessandro Caracciolo
Redattore del giornale online Internapoli.it. Iscritto all’albo dei giornalisti pubblicisti dal 2013.
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