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Stop dalla Cassazione, Flora Bosti non era la cassiera del clan Contini

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Flora Bosti non era la persona addetta a gestire le casse del clan. A stabilirlo la Corte di Cassazione che ha rigettato il ricorso presentato dal pubblico ministero contro il precedente verdetto del Riesame che aveva dato ragione alla difesa della donna rappresentata dagli avvocati Domenico Dello Iacono ed Elisabetta Valentino. Una vicenda giudiziaria tortuosa quella a carico della figlia del boss Patrizio, uno delle colonne portanti dell’Alleanza di Secondigliano.

Gli ordini del boss Bosti partiti dal 41 bis

Secondo quanto emerso dalle indagini, il boss comandava e dava ordine e direttive, nonostante fosse al 41bis nel carcere di Parma; anche il figlio Ettore, sottoposto allo stesso regime detentivo a Cuneo, per la Procura impartiva i suoi ordini mentre Flora Bosti era ritenuta la longa manus del padre gestendo la cassa del clan grazie alla quale manteneva gli affiliati e le loro famiglie. Per l’accusa era lei a occuparsi di investire i proventi illeciti e a tenere i rapporti con gli affiliati al clan.

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Dopo gli arresti del luglio dello scorso anno il Riesame confermò le misure cautelari: contro quella decisione l’avvocato Dello Iacono presentò ricorso in Cassazione e gli ermellini diedero ragione al penalista annullando il Riesame e disponendo un nuovo giudizio. Quest’ultimo accolse le argomentazioni difensive ma contro questa nuova decisione c’è stato il ricorso del pubblico ministero con la Cassazione che ha respinto la richiesta dando nuovamente ragione alla di difesa. Adesso per Flora Bosti potrebbe ben presto concretizzarsi la scarcerazione visto che la donna risponde di ricettazione che non è un reato ostativo.

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