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Cristina uccisa a Posillipo, 49enne patteggia 13 mesi di carcere

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Un anno, un mese e sei giorni di reclusione con pena sospesa. È quanto patteggiato da un 49enne napoletano che un anno e mezzo fa, nelle acque di Posillipo, travolse e uccise
con la sua imbarcazione Cristina Frazzica, intenta a pagaiare sul kayak insieme a un amico.

Il commento dei familiari di Cristina

“Ci sentiamo ancora totalmente inermi di fronte a quello che è accaduto – commentano i genitori e la sorella di Cristina che, in quest’anno e mezzo, si sono affidati a Giesse – La sentenza, seppur bassa e non commisurabile alla vita di Cristina che nessuno potrà mai restituirci, ci permette però di credere un po’ di più in un’idea di giustizia che credevamo persa. Per noi era importante che emergesse la verità e così è stato”.

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Cristina, di origini calabresi ma cresciuta a Voghera e laureata in Biotecnologie, “avrebbe potuto scegliere qualsiasi città, anche estera, per lavorare. Eppure, decise di iniziare il percorso di formazione “Pharmatech Academy” della Federico II, incentrato sulla ricerca e produzione di farmaci a RNA e sulla terapia genica perché Cristina amava Napoli e amava il mare. Per lei era una forma di libertà di cui tutti dovrebbero poterne godere. A questo proposito, ci teniamo ad aggiungere altre due considerazioni. Abbiamo ricevuto un affetto straordinario da parte di Napoli, a partire dall’Università, dal sindaco Gaetano Manfredi e dal Coni con cui abbiamo organizzato il funerale hawaiano. Ma questa grande mobilitazione che si è innescata a seguito della tragedia deve portarci a lottare ogni giorno per mantenere alta l’attenzione sulla sicurezza in mare affinché tragedie di questo tipo non accadano più”.

Il commento del gruppo Giesse

È stato un anno intenso in cui abbiamo cercato di stare accanto alla famiglia sia umanamente che professionalmente tramite il nostro legale fiduciario Gianluca Giordano e tutti i periti nominati nel corso del tempo – sottolineano Giuseppe Vacca e Domenico Mesiano del gruppo Giesse – La Procura si è mossa fin da subito in modo attento e scrupoloso attraverso numerosi accertamenti che hanno permesso di arrivare alla condanna odierna: l’autopsia, gli accertamenti sulla barca e sul kayak, la perizia sui cellulari dell’indagato, la consulenza anatomopatologica, gli accertamenti di genetica forense e quelli sulla strumentazione di bordo. Per noi, così come per i familiari, era
importante che venisse ristabilita la verità, evidenziata anche dal ctu nella sua perizia: il kayak navigava legittimamente nello specchio d’acqua in cui è stato travolto. I ragazzi, cioè, si trovavano in una zona in cui potevano stare legittimamente e che d’estate è tra le più affollate al mondo, specie di domenica. È capitato a Napoli; poteva capitare ovunque. Sicuramente, è necessaria un’ancora maggiore sensibilizzazione sulla sicurezza in mare. È stato fatto tanto in questo ultimo anno e mezzo, ma bisogna fare di più”. Per quanto riguarda il risarcimento Giesse ha trovato un accordo in via stragiudiziale evitando così una causa civile.

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