Stamattina i Carabinieri della Compagnia di Roma Centro, a conclusione di una complessa attività d’indagine, diretta dai magistrati della Procura della Repubblica di Roma, hanno dato esecuzione ad un decreto di fermo di indiziato di delitto del PM nei confronti di 11 cittadini colombiani, gravemente indiziati, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere finalizzata al reclutamento transnazionale, induzione e sfruttamento della prostituzione nonché spaccio di sostanze stupefacenti.
I fermati sono stati tutti tradotti presso nei carceri Regina Coeli e Rebibbia, mentre la moglie di Don Carlos, rintracciata dai Carabinieri di Torre del Greco in compagnia di tre ragazze che si prostituivano, è stata associata al carcere di Secondigliano.
I Gip dei Tribunali di Roma, Tivoli e di Torre Annunziata, in sede di udienza di convalida, hanno emesso per tutti ordinanza di custodia cautelare in carcere, tranne per una donna madre di un bambino piccolo, la misura cautelare degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
Dovevano ingoiare la cocaina
Secondo le severe direttive impartite dal vertice, in caso di controllo in strada delle forze dell’ordine, le giovanissime donne avrebbero dovuto ingoiare immediatamente la cocaina, cripticamente chiamata ‘Fiesta’ e comunque mai avrebbero dovuto rivelare il loro reale domicilio o il motivo della loro permanenza in Italia, al fine di impedire agli inquirenti di ricostruire l’intera filiera criminale e la base logistica – definita “La Central” – dell’organizzazione.
Prostitute nelle case dormitorio
L’attività investigativa condotta dai Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Roma Centro da aprile ad agosto scorsi, ha consentito di raccogliere gravi indizi di colpevolezza in ordine all’esistenza di un’organizzazione criminale composta esclusivamente da cittadini colombiani che, ciascuno con proprio ruolo e incarico, avevano messo a punto un collaudato sistema di reclutamento di giovanissime connazionali che, dalla Colombia, venivano fatte giungere in Italia con la prospettiva di facili guadagni, per poi essere subito avviate alla prostituzione, con l’onere di ripagare le spese sostenute dall’organizzazione per il loro viaggio, il vitto e l’alloggio in “case-dormitorio” disseminate nel quadrante est della Capitale, rifornendole di stupefacenti da smerciare ai clienti che ne facessero richiesta e traendo diretto vantaggio economico dalla loro attività di meretricio e dalla cessione della droga .
Le matrone di Don Carlos
Le indagini hanno consentito di raccogliere elementi indiziari circa l’esistenza di una sofisticata struttura organizzativa con al vertice un dominus, da tutti chiamato Don Carlos, che con sua moglie e sua cognata, considerate le “matrone” del gruppo, avrebbe amministrato una solida rete di drivers, autisti, accompagnatori e protettori, a loro volta coordinati da una vera e propria centrale operativa H24 preposta a curare ogni fase dell’attività di prostituzione “porta-a-porta”, dalla fissazione degli appuntamenti all’accompagnamento delle ragazze presso hotel, ville e abitazioni private, anche fuori Regione.
I Carabinieri hanno raccolto elementi indiziari circa il fatto che le donne venivano anche rifornite di cocaina o tusi, nota come “cocaina rosa”, da vendere ai clienti che, durante l’incontro sessuale, ne avessero fatto richiesta. Ogni prestazione sessuale sarebbe stata obbligatoriamente rendicontata al dominus, sul cui Iban arrivavano i bonifici dei clienti, come indicato dalle donne ammaestrate in tal senso, le quali non potevano lasciare l’abitazione del cliente fino alla conferma, da parte della centrale operativa, dell’avvenuta transazione.


