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“La avvelenò per farla abortire e non per ucciderla”, le motivazioni della sentenza sull’omicidio Tramontano

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Già nel dicembre 2022 aveva iniziato a fare ricerche online e a somministrarle del topicida, sciogliendolo nelle bevande. In quel modo, stando agli elementi acquisiti nelle indagini e nel processo, voleva farla abortire, eliminare il figlio che portava in grembo e che per lui era solo un “problema”, ma non uccidere anche lei.

Lui che, poi, mostrò la sua “furia rabbiosa” e la accoltellò a morte quel pomeriggio di quasi sei mesi dopo, quando venne smascherato dalle due donne con cui mentiva in continuazione e aveva relazioni parallele.

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“La avvelenò per farla abortire e non per ucciderla”, le motivazioni della sentenza sull’omicidio Tramontano

E’ così che, in sintesi, la Corte d’Assise d’appello di Milano ha spiegato, nelle motivazioni depositate con largo anticipo, perché ha deciso di confermare la condanna all’ergastolo per Alessandro Impagnatiello, l’ex barman che ammazzò con 37 coltellate la fidanzata incinta di sette mesi Giulia Tramontano il 27 maggio 2023, facendo ritrovare il corpo dopo 4 giorni, ma con l’esclusione dell’aggravante della premeditazione nell’omicidio.

Una sentenza, quella del 25 giugno, a cui i familiari della vittima avevano reagito con toni durissimi. “Vergogna, vergogna. La chiamano legge ma si legge disgusto”, aveva scritto la sorella Chiara, aggiungendo: “L’ha avvelenata per sei mesi. Ha cercato su internet ‘quanto veleno serve per uccidere una donna’. Poi l’ha uccisa. Per lo Stato, supremo legislatore, non è premeditazione”.

Per la Corte (giudici togati Caputo e Anelli), però, “non vi sono” prove che “consentano di retrodatare il proposito” del 32enne di uccidere la fidanzata di 29 anni “rispetto al giorno” in cui l’ha accoltellata nella loro casa a Senago, nel Milanese. Averle fatto ingerire veleno per topi nei mesi precedenti, avrebbe avuto lo scopo di causare un aborto spontaneo e dare “una drastica ‘soluzione'”, scrivono i giudici, al figlio che la donna aspettava e che lui “identificava come ‘il problema’ per la sua carriera, per la sua vita”. Lo scopo dell’avvelenamento era “l’aborto del feto” e non “l’omicidio (…) della madre”.

Nelle 59 pagine di motivazioni, con passaggi molto tecnico-giuridici, pur confermando le altre due aggravanti della crudeltà (undici coltellate quando era ancora in vita, consapevole che stava morendo anche il figlio Thiago) e del vincolo della convivenza, la Corte chiarisce che non vi è stata una “deliberazione criminosa coltivata nel tempo e mai abbandonata fino a raggiungere il proposito” maturato “solo alle 15 del 27 maggio”, poche ore prima del delitto.

Impagnatiello “smascherato” da Giulia e dall’altra ragazza con cui aveva una relazione

Quel pomeriggio il barman aveva compreso che sarebbe stato “smascherato” da Giulia e dall’altra ragazza con cui aveva una relazione, perché le due si erano incontrate nello stesso giorno e si erano scambiate confidenze. Non appena saputo che la compagna stava “piombando” all’Armani Hotel di Milano, dove lui era in servizio, alle 17 aveva lasciato il posto di lavoro ed era rientrato in motorino a casa. E verso le 19, quando Giulia “metteva piede nell’appartamento dove era attesa, veniva assalita e uccisa” con 37 fendenti. Si tratta di un “intervallo temporale troppo breve per soddisfare il requisito cronologico” richiesto per contestare la premeditazione e le “azioni ‘neutre”, come il rincasare e aspettare la compagna, “non riescono a disegnare alcun agguato, significativo” per ritenere sussistente l’aggravante.

Per la Corte, si legge ancora, Impagnatiello ha ucciso la fidanzata “non già perché lei voleva lasciarlo, non già perché gli stava dando un figlio che, in fondo, non desiderava affatto, e neppure perché paventava un futuro di carte bollate, controversie giudiziarie per obblighi di mantenimento e affido congiunto”, ma “perché lei (…) lo aveva sbugiardato dinnanzi a coloro che, ai suoi occhi, rappresentavano la proiezione ‘pubblica’ di sé, la facciata ostensibile, infiggendogli quella che era per lui intollerabile umiliazione” su quel “palcoscenico”, che era il bar di quell’albergo di lusso in pieno centro a Milano.

La Procura generale potrebbe ricorrere in Cassazione sulla premeditazione, che era stata contestata dall’aggiunta Mannella e dalla pm Menegazzo nelle indagini dei carabinieri, e la difesa potrà insistere nel chiedere la cancellazione pure della crudeltà e il riconoscimento di attenuanti

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Nicola Avolio
Nicola Avolio
Giornalista pubblicista, mi sono avvicinato per la prima volta alla professione iniziando a collaborare con la testata "La Bussola TV", dal 2019 al 2021. Iscritto all'albo dei pubblicisti da giugno 2022, ho in seguito iniziato la mia collaborazione presso la testata "InterNapoli.it", e per la quale scrivo tuttora. Scrivo anche per il quotidiano locale "AbbiAbbè" e mi occupo prevalentemente di cronaca, cronaca locale e sport.