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Cosimo Di Lauro, aperta inchiesta sulla morte: non si esclude nessuna ipotesi

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Per la morte nel carcere di Opera a Milano del boss Cosimo Di Lauro non si trascura alcune pista di indagine, dopo l’apertura di un fascicolo da parte dei pm meneghini. Al momento, si propende per un decesso dovuto a cause naturali in quanto nella cella di Lauro non sarebbero stati trovati elementi che facciano pensare a un suicidio o a una morte violenta.

Non si escluderà in fase di indagine però, secondo apprende AGI, una ipotesi di morte per avvelenamento. Intanto la Questura di Napoli ha vietato i funerali. La salma dopo l’autopsia sarà portata direttamente al cimitero per la tumulazione dopo una cerimonia in forma strettamente privata.

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La morte di Cosimo Di Lauro

Il boss Cosimo Di Lauro è morto questa mattina al carcere di Milano Opera dove era detenuto al carcere duro dal 2005 quando fu arrestato durante la prima faida di Scampia a Napoli. Alle 7.10 la comunicazione all’avvocato difensore Saverio Senese: “Suo assistito è deceduto”. Aveva 49 anni ed era recluso per 416 bis e omicidio. La difesa aveva chiesto più volte una perizia per turbe psichiche sospette.

‘Il principe’, ‘The designer don’, ”o chiatto’. Cosimo Di Lauro, classe 1973, nella galassia del crimine organizzato di Napoli si era guadagnato un posto di primo piano ben prima di diventare il reggente dell’omonimo clan nel periodo in cui il quartiere di Scampia entrò nelle cronache internazionali per la cruenta lotta tra cosche legata al controllo di quella che era la piazza di spaccio più grande d’Europa.

Il primo soprannome glielo avevano regalato i cronisti, anche perché era il primogenito di Paolo Di Lauro, detto ‘Ciruzzo ‘o milionario’, capoclan di quel quartiere dell’area Nord di Napoli che aveva creato un impero sullo spaccio di droga grazie ai suoi contatti nella penisola iberica che gli assicuravano fiumi di stupefacenti per alimentare la sua rete di pusher.

Il secondo era legato alla sua passione per abiti, accessori e oggetti firmati e vistosi. Quando Paolo Di Lauro divenne latitante, nel settembre 2002, la gestione della cosca passò naturalmente nelle mani di Cosimo, che centralizzo’ sempre di più l’affare droga, uno di quelli più redditizi del gruppo criminale, delegando nelle mani dei capi piazza il commercio al minuto in cambio del pagamento ai Di Lauro di una ‘tassa’. A lui, secondo più di un pentito, si deve anche una epurazione interna, liquidando a colpo di agguati vecchi affiliati e sostituendoli con elementi più giovani e più violenti a lui fedeli.

La causa della scissione

Una scelta che scatenò mugugni e poi, a ottobre 2004, la ribellione di un gruppo legato a Cesare Pagano e Raffaele Amato, elementi di punta dei Di Lauro che diverranno poi noti come scissionisti, e che alla nuova cosca da loro creata portarono in dote i contatti in Spagna per l’approvvigionamento di droga.

Una sfida che nel giro di pochi mesi fece decine di morti a Napoli e che è ora nota come prima faida di Scampia, ispiratrice del romanzo di Roberto Saviano ‘Gomorra’ e poi dell’omonima serie. Proprio nella serie, la figura di Genny Savastano sarebbe ispirata a Cosimo Di Lauro.

Il boss era stato arrestato il 21 gennaio 2005, nel rione denominato Terzo mondo del quartiere di Secondigliano, altro fortino della criminalità organizzata e della famiglia Di Lauro. Per impedire che fosse ammanettato, contro le forze dell’ordine ci fu anche un lancio di oggetti dai balconi. Nove mesi piu’ tardi venne arrestato anche il padre Paolo, nascosto in una casa poco lontano dall’abitazione di famiglia in via Cupa dell’Arco. Nel febbraio 2008, la condanna a 15 anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso.

La spietatezza

Il 13 dicembre 2008 un ergastolo per aver ordinato il 21 novembre 2004, l’omicidio di Gelsomina Verde, l’ex fidanzata di un affiliato passato dalla parte degli scissionisti, Gennaro Notturno. Fu torturata e uccisa perché ne rivelasse il nascondiglio e il corpo venne dato alle fiamme. Di recente, Cosimo Di Lauro era stato condannato, sempre all’ergastolo, per gli omicidi di Raffaele Duro e Salvatore Panico, e di Federico Bizzarro, avvenuti a Mugnano prima della faida del 2004.

Per le cause del decesso non si trascura alcune pista di indagine, dopo l’apertura di un fascicolo da parte dei pm meneghini. Al momento, si propende per le cause naturali in quanto nella cella di Lauro non sarebbero stati trovati elementi che facciano pensare a un suicidio o a una morte violenta. Non si escluderà in fase di indagine però, secondo apprende AGI, una ipotesi di morte per avvelenamento.

Il boss con le allucinazioni

Di Lauro aveva turbe psichiche, allucinazioni, rifiutava la terapia, non voleva incontrare i familiari. Nel 2018, gli avvocati avevano chiesto ai giudici della terza Corte d’Assise di Napoli di “sospendere il giudizio e di disporre una perizia psichiatrica” per accertare “le condizioni di salute psicofisica” e la capacità “di stare coscientemente al processo”.

“Assume dosi massicce di psicofarmaci somministrati da anni come a un paziente psichiatrico”, scrivevano. Per i legali del boss non doveva restare in prigione e doveva essere sottoposto a cure specifiche. Oltre dieci anni fa, il 15 gennaio 2008, la prima perizia di parte, come altre visionata dall’AGI, “che dimostra come le attuali condizioni di salute, lungi dall’essere nate improvvisamente o per effetto di una simulazione, ma siano piuttosto il risultato di un lento processo”. I medici elencavano ansia, disturbi mentali e comportamenti bizzarri “come ridere a crepapelle anche nel cuore della notte”.

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