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giovedì, Aprile 25, 2024
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Usura al 910%. Sei arresti tra Giugliano, San Giorgio e il Salernitano. NOMI

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Dalle prime ore della mattinata ad Albanella, Baronissi, Capaccio Paestum, Salerno, San Giorgio a Cremano e Villaricca, i carabinieri della Compagnia di Agropoli, agl’ordini del cap. Francesco Manna, in collaborazione con quelli delle Compagnie territorialmente competenti, hanno dato esecuzione a 6 ordinanze di custodia cautelare (di cui 3 agli arresti domiciliari) emesse dal G.I.P. del Tribunale di Vallo della Lucania su richiesta di questa Procura della Repubblica, nei confronti di 6 pregiudicati: si tratta del 48enne Antonio Cosentino di Polla, del 34enne Antonio Castaldi di San Giorgio a Cremano, del 46enne Vincenzo Seiello di Giugliano in Campania, del 27enne Vito Marotta di Agropoli, del 49enne Gaetano Pirozzi di Albanella e del 36enne Vincenzo Citro di Capaccio Paestum poiché ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di “usura in concorso” e di “associazione per delinquere finalizzata alla ricettazione e all’indebito utilizzo di carte di credito”.
Cosentino, Seiello e Castaldi sono finiti in carcere, mentre Marotta, Pirozzi e Citro sono stati condotti agli arresti domiciliari: l’intera attività investigativa permetteva di deferire complessivamente 19 persone in stato di libertà, nonché di sottoporre a sequestro la somma di circa 15mila euro, depositata su uno dei conti correnti in cui veniva fatto confluire il denaro provento dell’attività illecita.

L’INDAGINE

L’attività d’indagine, avviata nel 2015 dalla Stazione carabinieri di Torchiara, si sviluppava a seguito di una serie di denunce relative ad alcuni pagamenti fraudolenti, effettuati mediante carte di credito oggetto di pregressi furti, effettuati presso una ditta con sede a Laureana Cilento. Dalle successive investigazioni emergeva che il proprietario dell’attività si era prestato a tale dinamismo criminoso concedendo a due degli indagati l’uso esclusivo del pos, nonché del conto corrente abbinato alla propria ditta, per estinguere un debito di 8mila euro, e che aveva contratto con i due e che non era riuscito ad onorare, in quanto la somma da restituire era lievitata in poco tempo a 10mila euro. Per far fronte alla palese attività usuraia praticata nei suoi confronti, l’imprenditore si rivolgeva ad altri due indagati che, in concorso tra loro, concedevano un prestito di 4mila euro in contanti, la restituzione della somma doveva avvenire con 4 assegni post datati dell’importo di 1.600 euro cadauno, restituzione poi ricontrattata con un pagamento mensile di 14 cambiali da 600 euro l’una, per un importo totale di 8.400 euro a fronte dei 4mila euro iniziali, traducendosi, chiaramente, in un ulteriore attività usuraia.

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Le successive attività tecniche nonché lo studio e l’analisi dei tabulati telefonici di alcuni degli indagati, permettevano non solo di cristallizzare i fatti dei quali traeva genesi l’intera attività investigativa ma, soprattutto, di accertare che altri cittadini del territorio erano rimasti vittime di usura, ad operare dei due degli indagati che applicavano un tasso di interesse oscillante dal 77% al 910%.

Infine, la captazione delle conversazioni telefoniche intercettate aprivano un ulteriore scenario investigativo, ben più complesso, grazie al quale veniva accertata l’esistenza di un gruppo criminale attivo nel Cilento, dedito alla ricettazione di carte di credito provento di furto e al successivo indebito utilizzo delle stesse; alcuni degli indagati erano infatti legati tra loro da un vincolo associativo teso alla clonazione di carte di credito canalizzate e riconducibili a conti correnti accesi presso istituti bancari asiatici e con le quali, poi, con la connivenza di esercizi commerciali della provincia di Salerno, effettuavano pagamenti di ingenti somme (che andavano da 1.000 a 9.000 euro) le quali poi venivano divise tra i consociati.

Lo spessore delinquenziale del sodalizio si concretizzava, inoltre, con l’effettuazione delle citate operazioni, dal profilo formalmente legale, in quanto, in caso di contestazione da parte dell’istituto di credito asiatico proprietario della carta di credito, il commerciante avrebbe potuto mostrare lo scontrino del ‘pos’ a dimostrazione dell’apparente regolarità dell’operazione.

Mentre per i promotori, ovverosia per coloro che materialmente clonavano ed utilizzavano le carte di credito, l’identificazione si rilevava più difficile, tant’è che l’attività criminosa non poteva essere svelata, se non grazie al prezioso strumento delle intercettazioni telefoniche e quindi con la captazione delle conversazioni, tra i promotori e i commercianti conniventi, in cui venivano decise le somme che avrebbero dovuto spartirsi.

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