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mercoledì, Maggio 8, 2024
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Pupazzi impiccati e sacchi sui vigili, la guerriglia della vergogna

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Il bambolotto di pezza penzola dal cartello alla fermata dell’autobus. Dalla pancia gli escono batuffoli di lanugine. Qualcuno lo ha sventrato con un coltello, dal basso verso l’alto, e lo ha impiccato, proprio davanti alla chiesa di Santa Gertrude. Bassolino e Iervolino, finirete così, recita la scritta rossa accompagnata da una freccia che indica il pupazzo. Un sabato pomeriggio a Napoli, in via Salvator Rosa, la strada che da piazza Dante porta al Vomero, zona del Cavone, malfamata ma centrale. I motorini sfrecciano sul marciapiede a velocità folli, costringendo la gente a buttarsi per terra. Le campane della raccolta differenziata sono state rovesciate e messe di traverso. A impedire il passaggio delle auto ci sono anche cassonetti bruciati, vecchi mobili, le carcasse di un paio di frigoriferi. L’asfalto non si vede, per almeno quaranta metri si pattina su un tappeto di rifiuti, sacchetti squarciati dai quali escono pummarola marcia, pannolini usati, cocci di bottiglia. Un vigile fugge inseguito dai ragazzi che gli tirano addosso i sacchetti della monnezza, insozzandogli la divisa. In lontananza, si sente una sirena, ma la polizia non c’è. L’aria è impregnata di un odore nauseabondo, i passanti corrono tenendosi le mani sulla bocca. Una donna si sente male, vomita sul marciapiede.

Commercianti e abitanti approvano questa Intifada di quartiere. «Hanno ragione » dice il titolare di un negozio di gastronomia. «Chi sono? Cittadini, brave persone » aggiunge un signore che dice di chiamarsi Ciro Amodio. «Era un intervento normale, uno dei tanti. Stavamo spegnendo dei rifiuti a terra quando ci hanno scaricato addosso un estintore a polvere, che ha colpito soprattutto gli operatori di Annozero che stavano filmando il nostro lavoro». Via Mercalli è una strada buia, che collega il quartiere Barra al comune di San Giorgio a Cremano. La notte scorsa Giuseppe e la squadra B1 dei vigili del fuoco sono usciti per spegnere uno dei cento roghi che hanno punteggiato la città. Gli aggressori sono arrivati da dietro, ovviamente su uno scooter. «Non saprei riconoscerli — dice Giuseppe —. E ormai a questa cose ci stiamo facendo l’abitudine. Però ci rimango sempre male. Con la città in queste condizioni, attaccare i pompieri equivale a sparare sulla Croce rossa in tempo di guerra».


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Giorno e notte, centro e periferia, ormai non c’è differenza. Napoli ha la febbre alta, e i rifiuti che ingombrano le strade sono ormai la rappresentazione simbolica di una città senza guida, completamente fuori controllo, chiusa in una gabbia di immondizia. A vederla dall’alto, la scorsa notte il panorama era da Blade runner, una città post atomica. Ogni tanto si alzavano delle fiammate nel buio, e dopo un quarto d’ora si sentivano le sirene dei vigili del fuoco. Si accendeva e si spegneva, Napoli, fino all’alba è stato così. E quando arriva la luce, è quasi peggio. C’è un’afa senza sole, il caldo è appiccicoso. L’odore è ovunque, i bar del centro tengono la porta chiusa, meglio sudare che respirare. Nelle strade intorno a piazza del Plebiscito ci sono cumuli che arrivano a due metri di altezza. Appena dietro alla questura è stata gettata calce viva su un ammasso di rifiuti, trasformandolo in una grottesca statua. Nel salotto di Chiaia sono state fermate due donne esasperate che lanciavano il contenuto dei sacchetti tra i piedi dei turisti, a pochi metri dai tavolini dello storico bar Gambrinus. La monnezza vola in strada anche dai balconi delle case popolari di Taverna del Ferro, il rione più malfamato della periferia di San Giovanni a Teduccio. In via Michelangelo, nel civilissimo e borghese Vomero, ieri le tre campane per vetro, plastica e carta, completamente piene da giorni, erano sommerse da altre buste, che lambivano la strada.



Gli abitanti fanno la raccolta differenziata, nessuno passa a ritirarla. Passeggiando al Parco Virgiliano durante la festa della polizia, il prefetto Alessandro Pansa non riesce a darsi pace. «Il paradosso è che a Napoli la criminalità diminuisce. Ma queste manifestazioni di tensione e disagio sociale sono un fenomeno imprevedibile, che atterrisce. I rifiuti fanno da detonatore alla rabbia. La gente si è creata delle aspettative, ha atteso miglioramenti. Adesso si ritrova di nuovo sommersa, e reagisce con furore. Queste rivolte sono manifestazioni di sfiducia verso lo Stato. Non credono più a noi. Sentono che c’è sfilacciamento, che manca feeling tra le istituzioni». Il cappio intorno alla città si è chiuso lentamente, nella sconcertante indifferenza della politica locale, così presa dalle proprie pratiche di sopravvivenza quotidiana da anteporle al bene comune. Sono amari, gli ultimi dieci giorni del commissario Gianni De Gennaro. Il sottile filo con il quale gestiva l’emergenza si è spezzato proprio sui titoli di coda. Alla fine di aprile la magistratura ha messo i sigilli agli impianti di stoccaggio di Eboli e — soprattutto — Pianodardine, due sequestri che hanno fatto saltare ogni possibile programmazione. Il sito di Ferrandelle, aperto dopo una trattativa estenuante, si è quindi riempito velocemente. I sette impianti di Cdr lavorano a singhiozzo, e non hanno pattumiere dove portare l’immondizia. Tutto fermo. Nel giro di due giorni, il sindaco Rosa Russo Iervolino è passata dal sì «doloroso ma necessario» all’apertura della discarica di Chiaiano, il grande buco che dovrebbe dare sollievo a Napoli, alla richiesta di valutare altre soluzioni. La stessa inversione di marcia eseguita a gennaio, quando sul tavolo c’era la pratica di Pianura.



In fondo a via Cupa del cane c’è una barriera fatta di terra, rifiuti, tronchi d’albero e relitti di auto impastati tra loro. Oltre, ci sono le cave che dovrebbero diventare il grande buco da 400.000 tonnellate. Chiaiano non si fida di nessuno, e si prepara al peggio, «alla battaglia», come dicono gli abitanti che presidiano i gazebo. Sui muri, le scritte contro la discarica si sovrappongono a quelle, molto più vecchie, che insultavano l’allora sindaco Maurizio Valenzi per l’arrivo del colera. All’improvviso, al primo piano di una casa scoppia una tubatura. Dal balcone l’acqua si riversa sulla strada, inonda gli striscioni stesi sul marciapiede, sui quali c’è scritto «Non ci avrete mai». A Napoli può succedere di tutto, ora più che mai.




Marco Imarisio- Corriere della Sera 18 maggio 2008

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