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giovedì, Aprile 25, 2024
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FORTAPASC, IL FILM SUL GIORNALISTA GIANCARLO SIANI

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La prima cosa da fare per avvicinarsi al meglio a questo film è quella di dimenticare Gomorra e la sua tragica (dis)umanità. L’accostamento, pure da più parti proposto, è totalmente fuori luogo. Nell’opera del bravissimo Matteo Garrone si è spettatori di un acquario, in cui nuotano piccoli e grandi personaggi inesorabilmente triturati da un meccanismo perverso ed inarrestabile. Un film, come lo ha definito onestamente lo stesso Marco Risi, “rapsodico, frammentato, un durissimo reportage di guerra”. Non è questa invece la cifra stilistica di Fortapàsc, con cui Risi junior torna sul luogo del delitto, quello di un cinema di impegno civile, abbandonato dai tempi (infelici) di “Il branco” ma da cui scaturirono prodotti come “Mery per sempre” e “Ragazzi fuori”. Il film è stato dedicato alla memoria del padre, l’incommensurabile Dino, che lo avrà sicuramente benedetto dall’alto dei cieli. Fortapàsc narra gli ultimi quattro mesi della vita di Giancarlo Siani, coraggioso cronista del Mattino, ucciso dalla camorra il 23 settembre del 1985, a soli 26 anni. Un ragazzo normale, gentile, curioso, occhialini spartani, taccuino in mano, amante della macchina da scrivere, preferita al pc; un giovane precario che sognava di diventare un vero giornalista, mostrato anche nelle sue debolezze e con un pizzico di goffaggine che mette quasi tenerezza. Nella Torre Annunziata del post-terremoto dell’80 spadroneggia il boss Valentino Gionta, incoronato principe della città nel corso di un summit tra i clan dei Nuvoletta, degli Alfieri e dei Bardellino. Sullo sfondo una politica corrotta ed incapace, simboleggiata dal sindaco di Torre, impersonato dal sempre bravo Ennio Fantastichini. Nel suo personale percorso di formazione, Siani cresce passo dopo passo, da giovanotto qualunque, con la lingua di fuori ad inseguire scoop che non sempre realizzerà a cronista sempre più consapevole, disvelatore di micidiali intrecci di affari illeciti, in un grumo inestricabile di malapolitica e mala tout court. Con leggerezza, con affetto, senza retorica nè cinismo, Risi ci racconta la parabola di un ragazzo che aveva scoperto troppo, un abusivo in tutti i sensi, nella sua redazione di Torre come nella vita che gli si parava davanti. Giancarlo, con le sue domande dirette, naìf, formulate quasi con candore, sventra una coltre ai più inaccessibile; sale i primi gradini della scala, viene promosso a giornalista regolare, arriva nella redazione napoletana del Mattino, che nel film appare a dir poco smisurata ma di lì a poco il suo sogno fatto di giustizia e sete di verità verrà bruscamente spezzato. Spezzato senza un gemito come vediamo nel sanguinoso epilogo, in una delle scene meglio riuscite del film: il giovane Siani che vede arrivare ad un soffio dal naso i suoi killer e porge loro un tenue e disarmante sorriso, a suggello di un appuntamento con la morte tanto “atteso” quanto inesorabile. Fortapàsc non è tanto l’ennesimo (ma sempre necessario) film sulla camorra; è un’opera dallo stile piano, classico, spezzato solo qui e lì da squarci improvvisi di violenza e bestialità, che racconta come un certo modo di fare giornalismo faccia a pugni con la dura realtà. Giornalisti-giornalisti e giornalisti-impiegati: così si divide la categoria secondo il caporedattore Sasà, interpretato da un Ernesto Mahieux quasi macchiettistico e Siani è ovviamente tra i primi, nè santo nè eroe, semplicemente un uomo solo che racconta la verità. Il parallelismo mostrato tra il rissoso consiglio comunale di Torre e i vertici tra le famiglie della camorra; il ferocissimo agguato orchestrato dai Bardellino con cui cadono a terra otto uomini di Gionta, sotto un diluvio di proiettili, sono tra i piatti forti del film. L’irruzione delle forze dell’ordine alla comunione del figlio del boss torrese è quasi tragicomica e ci mostra un camorrista da quartierino, scurrile ed oscenamente popolaresco, incarnato da un Massimiliano Gallo molto bravo ma perennemente sopra le righe; lontano anche questo dalle figure di certi malavitosi tratteggiate nel Gomorra savianesco, veri imprenditori del crimine, spesso indistinguibili dai potenti ufficiali. Fortapàsc è un omaggio sincero e sentito ad una figura non sempre ricordata a dovere; tratteggia bene l’uomo-Siani, il giornalista-Siani, molto meno la sua dimensione sociale e politica. Il cammino verso il suo destino fatale appare un pò affrettato nella seconda parte ed alcuni momenti forse meritavano una sottolineatura più incisiva. Complessivamente buona la prova del cast, con note di merito per la vecchia guardia, in particolare per Gianfelice Imparato, già ammirato in Gomorra, qui nel ruolo del pretore Rosone e per Renato Carpentieri, l’Amato Lamberti maestro di vita e di giornalismo dello sfortunato protagonista. Il Siani di Libero De Rienzo, dalla cadenza lievemente strascicata, è intriso di umanità e coraggio non urlato. Nel finale si legge che ci sono voluti ben dodici anni e tre pentiti per assicurare alla giustizia mandanti ed esecutori del delitto. Struggente la ballata “Ogni volta” di Vasco Rossi, con cui si apre e si chiude un film bello e utile, senza la statura del vero capolavoro ma autenticamente commovente. Fortapàsc o, se preferite, la solitudine del cronista.

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