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martedì, Marzo 19, 2024
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Sant’Antimo. Il pentito dei Puca: «Così avevamo appalti e subappalti, ma ci fu un problema…»

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Nel tempo passato in carcere Lorenzo Puca avrà pensato e ripensato a tutti i soldi fatti dall’organizzazione criminale con le costruzioni. Sull’edilizia aveva puntato forte la cosca ideata da suo padre Pasquale Puca, meglio conosciuto come Pascalin o’ minorenne, e così pensare ai proventi nelle lunghe giornate passate in cella era probabilmente la cosa che capitava più spesso.

Una volta tornato a Sant’Antimo pensava di ritrovarsi tra le mani valigie piene di milioni ed invece il quadro che gli fu presentato era di più modesto tenore.

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Protagonisti della vicenda sono Claudio Lamino, attuale collaboratore di giustizia, e Vincenzo D’Aponte, imprenditore del posto attualmente ristretto ai domiciliari.

Gli affari del clan nel giro di un anno tra il 2012 ed il 2013 si sarebbero aggirati intorno ai 13 milioni di euro, ma meno di un milione di euro sarebbe poi entrato in possesso, sotto forma di ‘mattone’, di Lorenzo Puca. A riferirlo è il pentito Claudio Lamino, che il 14 luglio del 2017 ha spiegato al Pubblico Ministero alcuni dei segreti della cosca santantimese.

“L’interesse di Vincenzo D’Aponte era soprattutto eseguire i lavori per le concessioni che venivano rilasciate. Infatti anche quando le concessioni venivano rilasciate a costruttori, D’Aponte riusciva ad ottenere i subappalti ed anche la fornitura dì manodopera così da guadagnarci. Ovviamente il D’Aponte doveva dividere i guadagni con il suo socio Lorenzo Puca – ha riferito Lamino al pm – Ricordo che Lorenzo Puca non si trovava con i conteggi del D’Aponte e lo accusava di averlo derubato. Infatti, Vincenzo D’Aponte negli anni dal 2006, data di creazione della società denominata Ellevi che vedeva soci lo stesso D’Aponte e Puca Lorenzo, e fino al 2017, aveva fatto un volume di affari di circa 13 milioni di euro e, pur togliendo tutte le spese e le tasse, Lorenzo calcolava che doveva avere un utile di almeno 3/4 milioni di euro mentre il D’Aponte gli aveva riportato quale utile solo un fabbricato grezzo di 9 appartamenti, del quale ho già parlato, dì un valore di circa 600 mila euro”. 

 

Si tratta naturalmente di dichiarazioni che devono trovare riscontro nei procedimenti a carico degli indagati, innocenti fino a prova contraria.

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