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Condividere video hot di OnlyFan è reato, si rischia fino a 6 anni di carcere

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La Suprema Corte, con una ordinanza depositata il 2 settembre 2025, ha chiarito che la condivisione non consensuale di contenuti provenienti da Onl Fans, anche se acquistati, può configurare il reato di revenge porn.

Primo episodio di Revenge Porn su OnlyFans denunciato

La vicenda giudiziaria nasce quando, durante il lockdown del 2021, una ragazza decide di iscriversi a OnlyFans, per realizzare contenuti espliciti. Contenuti che di lì a poco vennero condivisi, a pagamento, su una chat in cui partecipavano due ragazzi iscritti alla piattaforma. Tutto cambia a ottobre 2021, quando uno dei ragazzi invia tramite whatsapp un video a luci rosse della donna a un quarto soggetto, estraneo al gruppo.

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La condanna 

La vittima viene a sapere della diffusione e presenta querela il 12 novembre del 2021.  La Procura di Pavia rinvia a giudizio l’imputato per revenge porn. Il gup lo condanna a 5 mesi e 10 giorni di reclusione. La Corte d’appello di Milano, però, accogliendo il ricorso della difesa, riforma la sentenza di primo grado dichiarando di “non doversi procedere per tardività della querela”. Secondo i giudici di secondo grado, infatti, la mancanza del consenso della vittima alla diffusione del video erotico di cui era protagonista è riferibile al momento in cui l’aveva inviato inizialmente al suo amico, e quindi al 2 febbraio 2021.  La Cassazione ribalta la decisione. “Il video è uscito dal ristretto circuito di condivisione “a tre” solo a partire da ottobre 2021″, si legge.

Ad oggi il reato di revenge porn, in cui viene condiviso un contenuto acquistato dalla piattaforma per adulti, prevede una condanna di reclusione che va da uno a sei anni, o una sanzione che varia dai 5.000 ai 15.000 euro; con l’accusa di “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza consenso”.

La Svezia proibisce i contenuti personalizzati su OF

L’ordinanza del 2 settembre non è l’unica stretta recente della piattaforma bianca e blu. Infatti, il 1° luglio 2025 in Svezia è stata varata un’ordinanza che dichiara illegale l’acquisto a distanza di atti sessuali in cui non c’è contatto fisico diretto, ma la cui realizzazione è richiesta o influenzata da chi paga. Il governo sostiene che la legge estenda il cosiddetto modello nordico – già in vigore in Svezia e in altri paesi – in cui a essere perseguiti sono i clienti e non le persone che si prostituiscono, anche se questa volta la battaglia si sposta nel mondo virtuale.

In sintesi, è possibile realizzare e vendere contenuti erotici pur che siano generici o pre-registrati e non su commissione di un cliente. La violazione di tali regole, però, ha ripercussioni solamente sul cliente che paga il contenuto in questione, ma non sul creatore del video.

Sex worker messi al lastrico 

Molti lavoratori e lavoratrici di OnlyFans mettono in guardia: la legge rischia di mettere a rischio il loro sostentamento senza offrire una reale tutela alle persone sfruttate. La normativa prende di mira in particolare i cosiddetti contenuti personalizzati, richiesti individualmente dagli utenti e che rappresentano la principale fonte di guadagno per molti sex worker digitali. Restano invece legali i contenuti generici, come foto e video standard, accessibili con un abbonamento base.

OnlyFans, che aveva chiesto senza successo modifiche alla legge durante l’iter parlamentare, è citata esplicitamente nel testo in quanto piattaforma più diffusa nel settore. L’impatto della norma sarà quindi profondo, limitando drasticamente la possibilità di guadagno attraverso contenuti su misura e live stream interattivi.

Europa presto come Turchia e Arabia Saudita 

La Svezia acquisisce, così, il primato di primo paese occidentale a mettere limiti stringenti a questo fenomeno, già vietato in paesi come Turchia e Arabia Saudita.

La legge svedese potrebbe fare da apripista a iniziative simili in altri paesi occidentali, dove si dibatte ormai da tempo su come regolamentare piattaforme come OnlyFans. In molti vedono in questa norma un esperimento che potrebbe ridefinire il confine tra libertà di espressione, tutela dei lavoratori digitali e contrasto allo sfruttamento sessuale online.

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