La musica italiana sta piangendo, in queste ore, Peppe Vessicchio. L’amato direttore d’orchestra e volto della televisione si è spento a 69 anni a causa di alcune complicanze sopraggiunte in seguito ad una polmonite interstiziale che l’aveva colpito.
Aveva 69 anni ed era ricoverato nel reparto di Rianimazione dell’ospedale San Camillo di Roma.
Il lato tifoso di Peppe Vessicchio, quando il Maestro suonò per il primo scudetto del Napoli
Ma Peppe Vessicchio non è stato solo un grande musicista. Era un grande tifoso del Napoli: originario di Fuorigrotta, nel quartiere dove lo stadio “Maradona” la fa da padrone, proprio nel tempio azzurro c’era stato tantissime volte a vedere la sua squadra del cuore, da bambino e da ragazzo, accompagnato dal padre.
E in quel 10 maggio 1987, data che resterà scolpita per sempre nel cuore di tutti i tifosi napoletani, Vessicchio non era allo stadio ma in tv, alla Rai, e per l’occasione suonò in onore del Napoli fresco campione d’Italia.
Del suo rapporto con il Napoli, ne parlò qualche tempo fa in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera: “Sono tifoso nella misura in cui nella mia borsa di tradizione c’è la squadra ma poi ci sono la pastiera, il casatiello, Pino Daniele e Domenico Scarlatti, Eduardo, Totò e Troisi. Tutto questo, senza distinzioni di genere, fanno un quadro coerente della mia vita. Se davanti all’ipotesi di uno scontro Napoli-Inter dovessi desiderare che vinca l’Inter, vuol dire che il corredo cromosomico s’è guastato”.
“Allo stadio ci andavo con mio padre, mi ci portava lui. Quel 10 maggio 1987 ero alla Rai con Gianni Minà per festeggiare lo scudetto, nel duplice ruolo di tifoso e musicista”, disse in riferimento alla data del primo scudetto azzurro.
Su come visse il primo scudetto: “Ci eravamo abituati all’idea di non vincerlo. Rassegnati, quindi è stato lo scudetto del risveglio. All’improvviso è nata la consapevolezza che, per quanto si è marginali, è possibile vincere. Non era scontato. Nel calcio Napoli non brillava per niente, rispetto a tante manifestazioni culturali e economiche della città, era un dato amaro. Eppure ci eravamo andati vicino. Avevamo calciatori all’altezza delle altre squadre. Per questo quel primo scudetto fu il segno della speranza. E della rinascita. Perché hai bisogno di un battesimo”.
Su Maradona e un pensiero sulla squadra: “Una squadra che ha puntato su una forza unitaria contro il singolo. E poi la società che ha dato un segnale importante, quello dell’efficienza. Una squadra come questa non è fatta di punte che emergono, ma di un insieme potente e coeso: in musica si chiama il potere dell’armonia. Una metafora interessante. Poi l’eterogeneità della provenienza dei calciatori è un altro segnale degli incroci e degli incontri che arricchiscono il mondo”.
Dal ricovero per polmonite alle complicanze, com’è morto Peppe Vessicchio


